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                 Quando  il dolore mi entra nella mente, occupandola fino all'ultimo 
neurone, chiudo le porte della mia vita, che continua indifferente, con 
sorrisi che non coinvolgono gli occhi, parole che non vengono dal cuore, 
azioni meccaniche di pura sopravvivenza, solo la fonte del turbamento 
scatena  sentimenti ed urla silenziose.
  
Il tempo, solo il tempo mi permette di metabolizzare la realtà vissuta, e, 
lentamente, riaprire  qualche porta, per riportare alla luce l'ennesimo 
gradino della mia crescita, tradurlo prima in suoni e poi in parole scritte, 
e liberare la mente per continuare il cammino, un po' più curva ed un po' 
più stanca, ma più ricca della saggezza dell'età, che, anno dopo anno, punta 
dritto alla meta destinata.
  
E' nel mio essere vivere con intensità ogni momento, e i rapporti umani, pur 
anche solo passeggeri, hanno per me un valore aggiunto, come lo hanno i 
principi fondamentali della mia esistenza, come la correttezza, l'onestà e 
la sincerità a qualsiasi costo, il rispetto per qualunque forma di vita, 
comprese quelle disprezzabili nel comune sentire. Ed è sempre nel mio 
carattere il credere che tutti siano come me, capaci di scegliere tra il 
bene ed il male, tra il giusto e lo scorretto, e dimentico, troppo spesso, 
che il mio lavoro mi porta più  verso la delusione che verso il successo, 
perché vivo  in un mondo di adolescenti, che pensano che tutto sia loro 
lecito, che nulla sia sbagliato, specialmente se comune, che ogni cosa sia 
loro dovuta, e nulla loro debbano agli altri.
  
In quest'ottica è normale "farsi le canne", magari comprandole a scuola dall'amico 
che le vende, e rientrare dopo l'intervallo rincretiniti peggio di prima. 
Sono convinti che le "canne" non diano dipendenza, come lo credono tanti 
miti del loro mondo, sportivo e musicale, le cui parole sono Vangelo, mentre 
quelle di quella povera idiota della prof. di chimica, che , a differenza 
dei succitati miti, ha una inutile laurea, con il massimo dei voti,  non 
valgono una cicca.
  
Così, in un mattino qualsiasi, nell'atmosfera surreale di un corridoio 
deserto di una scuola, un ragazzo che conosci bene, passa tra due 
rappresentanti delle forze dell'ordine, che gli hanno trovato parecchi 
grammi di "roba" nelle mutande, e sparisce dalla tua vita, gridandoti che 
sei tu che gliel'hai rovinata.
  
Con lui, altri ragazzi, la testa bassa per non incontrare il tuo sguardo, l'aspetto 
svuotato dalla paura per le conseguenze  immediate, più che per la 
consapevolezza dell'errore.
  
Del primo hai seguito la crescita, hai giocato con il suo modo di fare 
impertinente, hai usato tempo e parole per imporgli un cammino retto, come 
il suo sguardo privo di timore, anche quando lo sgridavi, ma nei suoi occhi 
neri mai hai visto la sfida, mai hai immaginato l'arroganza della 
dipendenza, ed ogni discussione è finita con un patto verso l'atteggiamento 
più positivo, ed ora si scopre che era una menzogna per "tirarsi fuori".
  
Gli altri  accettano le colpe minori, non sanno spiegare le loro scelte, 
alcuni mentono spudoratamente   per minimizzare le loro responsabilità. Ma 
io conosco o intuisco la verità, perché l'azione è frutto di un lungo 
lavoro.
  
Ed ora, per proteggere gli altri è necessario trovare il filo della 
giustizia, e non farlo arrotolare con quello della pietà, per non farlo 
diventare debolezza, né con quello della rabbia, per non farlo divenir 
vendetta.
  
Non avrei mai voluto conoscere lo sguardo ferito o quello colpevole delle 
madri, non avrei voluto sentire le parole di scarico della responsabilità 
sull'istituzione,  nel tentativo di diminuire il peso del loro dolore, non 
avrei mai voluto cercare la corda che unisce le due realtà di educatori, per 
trovare il bandolo di una matassa di sentimenti  duri e pesanti come il 
granito.
  
Per colmare la misura è nata anche una polemica perché il nome della scuola 
era stato lordato, polemica che ha fatto riaffiorare vecchi  rancori e 
rivalse tra ordini di scuole, che erano  sopiti, ed è dovuta ricominciare la 
sottile diplomazia, prioritariamente per smorzare i toni, poi per calmare 
gli animi, con la visione della realtà dal punto di vista più corretto.
  
Al termine di tutto, ho trovato solo la certezza del dubbio, quello che le 
tante bugie hanno fatto radicare : ricominceranno? Avranno creduto 
finalmente nelle mie competenze? Saranno ancora capaci di mentire a se 
stessi prima che agli altri?
  
Unica certezza, in tutto questo fatto, è stata che il mondo intorno a loro 
era egoisticamente più preoccupato per la macchia sulla cravatta, che per la 
vita disprezzata di un pugno di adolescenti, rappresentanza di un mondo che 
non è ormai più sommerso, perché oggi, per i giovani, è peggio essere 
"froci" che farsi di cannabis o di coca, e troppo spesso, questo è vero 
anche per le loro famiglie, ed indifferente per la società. 
                 
                
                             
                                 
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