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L’economia italiana è in crisi di sistema

La finanza creativa non ha salvato l’Italia!

La procedura di infrazione UE è l’ultimo passo di una sequenza di bocciature

Di Concetta Bonini

l sistema Italia non sta vivendo decisamente una delle sue fasi migliori. Senza la guida autorevole di classi politiche e dirigenti capaci di imprimere un punto di svolta, il nostro Paese appare oggi una nave in tempesta prossima al naufragio.
La situazione economica italiana ci perseguita con i suoi tragici bollettini, un allarmante stillicidio di apocalittiche previsioni. Da mesi e mesi ormai non trascorre giorno senza che giungano rimproveri al deterioramento della nostra economia e filippiche contro chi non sa assumere coscienziosamente le redini del controllo.
E' di pochi giorni fa l'annuncio della procedura di infrazione a carico dell'Italia da parte dell'Unione Europea, un segnale preciso dell'inaffidabilità della nostra gestione economica. L'Italia infatti contravviene ripetutamente da due anni ai parametri di Maastricht sul deficit. Ma questo è solo l'ultimo tassello di una lunga serie di minacciosi avvertimenti.
Le ultime sferzate letali provengono dal recente rapporto OCSE: un Pil inferiore e un'inflazione superiore alla media dell'area euro, una debolissima produttività e una competitività oramai in negativo (l'avanzata dei mercati orientali e la crisi del Made in Italy di cui ci occupiamo in questo numero ne sono la cartina al tornasole), carenze normative nel settore societario che hanno permesso casi come i crac Cirio e Parmalat, sono solo esempi paradigmatici di una realtà economica al dir poco dissestata, con un dinamismo in graduale erosione e una finanza pubblica malamente amministrata.
Sul tema ritorna poco dopo il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio che traccia un panorama drammatico della situazione economica italiana: agli stessi problemi già evidenziati nel rapporto OCSE, Fazio aggiunge che la perdita di competitività strutturale ci sta portando ad una graduale esclusione dal mercato, la nostra situazione di stallo non ha paragoni di fronte alla crescita sproporzionata dei mercati asiatici e di quella degli altri paesi europei, i settori tecnologici stentano ad ammodernarsi.
Le imprese non sono sufficientemente supportate da un quadro economico di stabilità e crescita e di interventi mirati al loro sviluppo.
Su questo terreno non può che farsi strada anche il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo che, com'è suo costume ormai da parecchio tempo, non risparmia critiche al governo parlando di “emergenza economia” e di “paese in recessione”. Per Montezemolo e per gli industriali nella strada d'uscita dal tunnel buio di questa crisi economica è primaria l'abolizione dell'Irap. Questo taglio è considerato infatti fondamentale per dare impulso allo sviluppo e promuovere gli investimenti. Ma è ovvio che ciò sarebbe significativo se si trattasse di un taglio radicale, cosa che non rientra nelle intenzioni del governo. Ma del resto, se è legittimo pensare che il taglio dell'Irap potrebbe in qualche modo sgravare le aziende e dar loro modo di rilanciarsi in un'azione di crescita, è anche vero che risulta una manovra a lungo termine insufficiente e soprattutto pericolosa nel quadro della gestione finanziaria globale che non ricaverebbe alcun beneficio.
E' comprensibile allora il giudizio dell'Economist, che proprio la scorsa settimana è piovuto sull'Italia come un macigno: un'Italia in prima pagina raffigurata con le stampelle perché in preda ad una economia stagnante, ad una attività imprenditoriale depressa, a riforme moribonde. Un'Italia che è definita “the real sick man of Europe”, il vero malato d'Europa.
Il governo minimizza sempre, minimizza su tutto.
Non si può negare che per risanare l'economia andrebbe prevista una riforma fiscale capace di guardare realisticamente alle risorse dell'Italia e al suo futuro, e notevoli interventi sarebbero necessari sul fronte sanitario, pensionistico e delle privatizzazioni, oltre che in campo infrastrutturale specialmente al Sud, dal momento che la carenza di infrastrutture compromette lo sviluppo di alcuni settori come quello turistico e in generale della competitività.
Le infrastrutture infatti sono indubbiamente uno degli anelli deboli della catena: si guarda alla previsione di grandi opere fantascientifiche come il Ponte di Messina ma intanto la gestione, le manutenzioni, i controlli e le opere-chiave vengono a mancare.
Allo stesso modo la scuola attraversa una fase di crisi in balia di riforme fatte a mozziconi e affidate alle mani di persone che con la scuola hanno ben poco a che vedere.
A molti di questi temi ci dedicheremo in futuro con lenti di ingrandimento approfondite.
Ma se di solito la scuola, la giustizia e la sanità vengono considerate il metro di civiltà di un Paese, a dire il vero c'è poco da aggiungere e poco spazio per chiedersi come mai l'Italia vada globalmente allo sbando.
Il vero problema è che la classe politica italiana ha sempre un unico chiodo fisso: la campagna elettorale. I politici italiani vivono una perenne campagna elettorale che li porta ad operazioni demagogiche di immagine, alla previsione e alla promessa di megalomanie irrealizzabili mentre la gestione quotidiana del Paese resta ignorata e abbandonata. Un uso ragionevole delle risorse che il governo ha a disposizione comporterebbe anche manovre probabilmente impopolari ma sicuramente necessarie per lo sviluppo del Paese. Ma il bisogno di creare consenso elettorale travalica i limiti della ragionevolezza e naturalmente chi ne fa le spese sono sempre i cittadini. Che sia anche questo un limite della democrazia è probabile, che i politici siano per condizione esistenziale votati al loro tornaconto personale altrettanto, ma è anche vero che l'opinione pubblica dovrebbe saper vivere la sua democrazia. Nell'attesa che un giorno il consenso elettorale sia sinonimo immancabilmente ed esclusivamente di buon governo.

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