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 Anno I n° 2 del 23/06/2005    -   PRIMA PAGINA


Politica e scuola
I Giovani hanno un giudizio negativo della politica
I poltici danno un cattivo esempio ai giovani svendendo gli ideali in cambio di favori
Di Concetta Bonini


Politica e scuola. Due mondi che dovrebbero essere distanti, se non nella misura in cui la politica deve ben amministrare la scuola. Perché per il resto, pur lasciando che i giovani maturino liberamente la propria coscienza politica, il mondo politico e partitico non dovrebbe mai strumentalizzare la scuola e i ragazzi come oggetti di campagna e propaganda elettorale, né dovrebbe subdolamente indottrinarli.
Ma un tema delicato, che si tende generalmente ad evitare o forse addirittura ad ignorare, è anche l’esempio che le istituzioni devono fornire ai ragazzi e l’attenzione che va loro rivolta per educarli ad essere classe dirigente del domani. Spesso noi giovani consideriamo oggi la politica un teatrino di pochezza e demagogia e tendiamo ad allontanarcene, a disinteressarcene. Non solo perché non ci sentiamo coinvolti nei progetti politici e amministrativi, ma anche perché ci sentiamo disgustati. E’ proprio così. L’esempio che oggi la politica ci fornisce è offensivo nei confronti degli ideali che abbiamo e che non dobbiamo né vogliamo perdere. E non si tratta tanto delle iniziative governative e degli interventi sul territorio: ogni compagine ha (o almeno si presuppone che abbia) in merito un suo progetto e linee guida specifiche che ognuno, giovani compresi, può liberamente condividere o meno. Ciò che è veramente grave è il modo di intendere la politica come da anni, almeno da quando siamo nati, ci dimostrano gli uomini politici. Assistiamo continuamente ad alleanze, scambi di favori, manovre volte solo al soddisfacimento dei più svariati interessi personali. E tutto questo dettagliatamente descritto da giornalisti che non si preoccupano di diventare strumento di propaganda dell’uomo politico di turno, pubblicamente ostentato quasi fosse qualcosa di cui farsi vanto. E noi lo guardiamo attentamente, guardiamo come sono abili certi personaggi quando lottano per restare a galla, lo guardiamo e ce ne sdegniamo. Perché su questi scambi da fiera di paese si costruiscono i dibattiti, si costruiscono le verifiche, si impantanano i programmi delle belle promesse. Siamo delusi, amareggiati, perché troppo spesso assistiamo solo a miseri teatrini di voltafaccia e menzogne, in cui restano per di più coinvolte quelle poche persone integre che ancora –e questo è vero- ci sono quando non vengono schiacciate dal peso dell’opportunismo.
Oriana Fallaci ha scritto: “Per me la parola politica non è una parolaccia. E’ una parola santa. Un nobile impegno, un dovere. Non uno strumento per far carriera, per assicurarsi privilegi immeritati, per compiacere la propria vanità o brama di potere. E dacché mondo è mondo la politica appartiene quasi sempre a chi non la pensa come me. "In politica" disse un giorno Mieczyslaw Rakowski "anche un angelo diventa una sgualdrina". Triste realtà. Triste realtà anche che oggi si corra il rischio di considerare la parola politica una parolaccia, idea a cui in verità noi italiani siamo affezionati. Tutto per colpa dei mestieranti di cui parla la Fallaci (una di quelle che in un paese come il nostro certo non può essere ascoltata e ben accetta). Ma il fatto è che quella che fanno loro non è politica: questo è davvero solo un teatrino nel quale agli attori piace sentirsi politici, dirsi politici. E così compiono un ulteriore abuso, un’ulteriore bestialità. Nessuno di loro evidentemente ha imparato cosa vuol dire veramente politica, o almeno nessuno ha avuto intelligenza sufficiente per saperne avere rispetto. Cos’è la Politica, quella con la “P” maiuscola, i nostri attori lo ignorano. E siccome non esistono due tipi di politica, siccome non basta un carattere minuscolo o maiuscolo per autorizzare una tale contraddizione e un tale scempio del suo senso più alto, non possiamo associarlo agli episodi a cui assistiamo quotidianamente. Queste valutazioni troppo spesso sottaciute dalla stampa complice che rischia di trasformare anche l’opinione pubblica in una massa intorpidita, indifferente e perciò incosciamente connivente, sono valutazioni che vanno fatte, a costo di diventare ripetitivi e fastidiosi, o peggio a costo di apparire esageratamente disfattisti. Vanno fatte e vanno urlate, continuamente, senza mai apparire rassegnati. Per non rischiare che tutti i giovani si convincano definitivamente della moralità di cose che invece sono immorali, della giustezza di cose che invece sono profondamente ingiuste. O peggio che finiscano col credere che non vale nemmeno la pena sognare di essere un giorno tra coloro che decidono. Perché in fondo, dandoci questo squallido spettacolo e, soprattutto, umiliando continuamente la Politica, umiliate il nostro desiderio di crederci ancora e la nostra speranza di poterla vivere, un giorno, come una missione.



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