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 Anno I n° 2 del 23/06/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


Intervista al Segretario Nazionale dall’ AgeSC
Gerardo Veneziani: La parità è il principale obbiettivo per le scuole cattoliche
Con la “Scuola pubblica Integrata” si è avuto un importante riconoscimento, ma non basta.
Di Giovanni Gelmini


Qual è l’incidenza numerica nel mondo della scuola italiana le scuole private e la scuola cattolica?
Premetto, immediatamente, che con il varo della legge n. 53, la scuola cattolica è, con le altre scuole non statali, scuola pubblica integrata cioè facente parte di un unico sistema pubblico dell’istruzione, e rappresenta, dello stesso, circa il 3,3 % . ….quindi è una parte preponderante dell’offerta integrata… Si, e con una struttura scolastica consolidata da una lunga tradizione di serietà e capacità . Voglio dire, che nel settore della scuola cattolica non proliferano certo i “diplomifici” cioè quegli istituti maggiormente orientati alla produzione del proprio reddito che alla fornitura di un vero servizio educativo.

La Scuola Cattolica , se rappresenta come appena detto una area qualificata, penso che abbia problemi interessanti da conoscere?
Attualmente il problema di maggior peso per la scuola cattolica è quello della “ parità”.
La parità è quel fatto di libertà per il quale da 30 anni si batte la mia Associazione. La parità da noi sollecitata, non è la parità fra le scuole, che provocherebbe omologazione defraudando di fatto l’autonomia, ma la parità fra le famiglie nel diritto di scelta educativa a pari condizioni economiche.
In Europa, in gran parte del mondo, ora persino nell’ex impero russo, alle famiglie che scelgono la scuola non statale viene riconosciuto il diritto anche economico della scelta fatta, ricevendo un contributo che copre in toto o in gran parte i costi.
Questo non accade in Italia, dove una ininterrotta e demagogica visione politica continua a vietare la libertà di scelta educativa.
Motivo per il quale il cittadino che sceglie per l’istruzione e l’educazione dei suoi figli una scuola non statale, paga due volte il servizio scelto: una volta tramite le tasse ed una seconda attraverso la “retta” scolastica dovuta alla scuola scelta.
A partire dagli anni ’50 sino ai giorni nostri tutte le proposte di legge volte ad un cambiamento di questa evidente “non libertà” hanno trovato una rigida opposizione da parte di quel mondo politico che invoca l’agibilità sociale per ogni tipo di libertà, rifiutando un sacrosanto diritto familiare.
L’approvazione della già citata legge n. 53 del 2003, definita appunto della “Parità” ha abilitati, come si diceva, gli istituti scolastici non statali, che ne facevano richiesta, a fare parte di un unico sistema pubblico integrato. Si è, cioè, arrivati a definire la parità giuridica, senza stabilire alcun trattamento economico che ne permette la vera attuazione. Così gli istituti integrati sono tenuti ad uniformarsi a tutti gli obblighi previsti per la scuola statale senza però avere gli stessi diritti.
L’AGeSC si è fatta promotrice, nel tempo, anche con il sostegno di altre illuminate aggregazioni sociali, di alcune formule finanziarie che tentassero di risolvere il problema. Mi riferisco al “buono scuola” alla “deducibilità fiscale”, al “credito d’imposta”. Abbiamo presentato una “petizione” al Parlamento Europeo” provocando una precisa quanto inutile “raccomandazione” al Governo italiano perché ponesse fine ad una ingiustizia evidentemente contraria alla volontà democratica della nuova Europa. Abbiamo agito localmente sollecitando forme di riconoscimento, quali sono il “buono scuola” adottato in Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria: interventi finanziari di modesta entità a favore delle famiglie ma significativi per la risoluzione del problema.
Anche dal sistema politico attuale, che pure aveva fatto precise specifiche promesse, abbiamo ottenuto solo un modesto riconoscimento economico per le famiglie attraverso stanziamenti nelle apposite “finanziarie”, per gli anni scolastici 2003-2004-2005-2006.
Ciò, in effetti, che noi da sempre chiediamo è una legge quadro nazionale che sancisca la libertà di scelta, prevedendo un equilibrato riconoscimento finanziario che, secondo la Costituzione della nostra Repubblica, ha il diritto/dovere di istruire ed educare i figli secondo il progetto educativo che ritiene più consono e che lo Stato deve assicurargli.

Una delle richieste, che viene da tutti, è la “qualità della scuola”, ma a questo punto la scuola integrata non è avvantaggiata rispetto alla statale?
Dunque la scuola pubblica cattolica ha da sempre posto una grande attenzione alla “qualità”. Non può essere, infatti, diversamente previsto da un sistema educativo e formativo che sin dagli albori della propria costituzione (si pensi ad esempio alle scuole romane del Calasanzio, del 1500) ha posto a fondamento del proprio agire un vero progetto educativo desunto dall’ordinamento evangelico, cioè dalla fede cristiana, ma proprio per questo strettamente correlato, cioè al sociale. Lo sforzo di raggiungere quindi, la possibile miglior qualità della vita spirituale si è sempre accompagnata alle intuizioni ed alle “scoperte” pedagogiche, cercando un nesso costante tra sapere e vita. Il vantaggio, comunque che il sistema scolastico cattolico può vantare, nella ricerca della qualità è senz’altro dato dalla maggiore flessibile duttilità che un micro-sistema può vantare rispetto al macro-sistema statale da sempre strozzato una elefantiaca, assurda burocrazia.
Sono molto sicuro, però, nell’affermare che nonostante i fatidici “lacci e laccioli” burocratici, la scuola statale ha saputo progredire; contesto che afferma che il nostro sistema scolastico è fermo, non vivo. Lo dimostrano anche le riforme in esso attuate: per quanto contestate, vituperate, ridicolizzate (e purtroppo politicamente strumentalizzate) dimostrano che c’è stata vitalità, si è attuato un progetto ed esse ne sono la sintesi, il tentativo di aggiornarsi, di entrare sia pure con tante difficoltà nella realtà del tempo che stiamo vivendo.
Anche la tanto avversata Riforma “Moratti”, non è la scoperta di un nuovo sistema; è la raccolta di una serie d’esperienze vissute dalla scuola italiana nei suoi circa 150 anni di storia che bisogna ora tradurre in un contesto moderno considerando che siamo ormai cittadini non solo d’Europa ma del mondo.
Serve una critica seria con una relazione continua fatta sul campo d’azione da chi se ne intende e da chi deve viverla quotidianamente e non sui tavoli delle segreterie dei partititi politici.
In un paese democratico non si fanno “girotondi” di protesta, mettendo sulle spalle di ignari bambini delle scuole elementari fra cartelli con slogan demagogici e fuorvianti; si producono intelligenti proposte di cambiamento sicuramente desunte dalla realtà. Si deve pretendere anche da parte di un sindacalismo mai legato a carri politici , quel cambiamento vero del quale la scuola abbisogna: maggiori disponibilità finanziarie per l’importantissima autonomia stabilita ma difficilmente attuabile senza i mezzi finanziari necessari, una rivalutazione vera della funzione docente con il riconoscimento delle specifiche qualità dell’insegnante, con una graduatoria che dia valore al merito, alla professionalità ed alle capacità.
Potrei continuare a lungo perché il tema della scuola è senz’altro uno dei più qualificanti nella storia delle società civili e va rivalutata giustamente, culturalmente nella opinione pubblica e nella visione politica.
Un Paese serio deve avere una scuola pubblica statale fortemente indirizzata alla istruzione ed alla educazione civile, sociale: ma può e deve volere anche una scuola pubblica non statale che abbia lo stesso impegno educativo e formativo anche se motivato da una sana millenaria visione religiosa della vita. L’Associazione Genitori Scuole Cattoliche è sorta e si batte da 30 anni per difendere e promuovere anche questi valori.

In tutte queste problematiche come si inserisce la riforma Moratti?
L’Agesc ha sostenuto e sostiene la Riforma del Ministro Moratti perché per la prima volta e finalmente con questo cambiamento viene messo al centro della situazione scolastica la “persona” alunno. Si tenta cioè di rendere l’intero pianeta scolastico non docente-centrico, liberarlo dall’imperio delle discipline per avviarlo ad un cammino di effettiva crescita umana dell’alunno.
Non siamo convinti che la liceizzazione di tutta la scuola secondaria superiore sia effettivamente capace di porre sullo stesso piano anche la formazione professionale, sempre culturalmente considerata, anche dall’opinione pubblica, di serie B. Ma alla riforma di deve dar mano, e promuovere in itinere tutti quegli aggiustamenti che la base (alunni – docenti – genitori) indicherà come reali, quindi necessarie.



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