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 Anno I n° 5 del 01/09/2005    -   TERZA PAGINA



Lungo la mia strada scritta
La memoria dello sradicamento, cioè la memoria di chi viene da lontano e che va ad abitare nelle città dove trova lavoro.
Di Giacomo Nigro


"... memoria non meno importante è quella dello sradicamento, cioè la memoria di chi viene da lontano; l'immigrato qui non solo recupera la propria memoria antica , e la ricongiunge a quella recente, ma contribuisce addirittura a ricostruire quella della nuova collettività".
Questo scrive Gianni Cascone nella sua postfazione al lavoro del laboratorio di scrittura di San Lazzaro di Savena. Si tratta di un variegata descrizione del territorio fatta a più mani che ha dato vita a un libro intitolato Lungo la strada scritta.

Come immigrato sono stato naturalmente impressionato dagli scritti di coloro che, come Pietro Annicchiarico, avendo origini estranee a San Lazzaro, ne hanno descritto le atmosfere con afflato particolarmente partecipativo e, direi, con effetti più vergini ed originali che mi hanno trasmesso il senso e la visione del luogo. Certamente abitare a Collegno, località similmente a San Lazzaro prossima ad una metropoli, questa a Torino come quella a Bologna, m'ha in qualche modo agevolato in questa percezione cinematografica del luogo descritto dalle parole sulla pagina bianca.
Sono anch'io oggetto di quello sradicamento eppure col passare degli anni i ricordi dei luoghi originari si sono fusi con quelli locali. Questo fenomeno di recupero e fusione si è verificato tutte le volte che nell'arco della mia vita la mia esperienza si è confrontata per periodi abbastanza lunghi con luoghi nuovi. Mi è successo soprattutto a Torino dove ho abitato per circa ventisei anni, a Roma e Bergamo dove ho vissuto i miei periodi di leva militare, a Collegno dove ora abito e a Settimo Torinese dove lavoro da due anni. I luoghi mi avvolgono fisicamente e spiritualmente tendo ad esserne assorbito culturalmente; m'interesso della storia locale, del tessuto urbanistico, delle tradizioni e delle persone. Non dimentico mai la Puglia terra delle mie origini ed i ricordi dell'infanzia e della prima adolescenza trascorse laggiù si fondono con quelli dei primi anni a Torino.
La prima infanzia si fissa nella memoria con la semplicità delle immagini: "Scavavamo nella terra una buca grande abbastanza da contenere una buatta usata, riempita fino all'orlo di acqua del pozzo. Intorno allo specchietto d'acqua un semicerchio di terra battuta privo di ostacoli: via pietre, rametti secchi, gusci di lumache. ZIMICCHIO m'insegnava a tenere in bilico, su uno zippo di mandorlo da lui predisposto, una chianca simile a quelle usate per costruire i coni dei trulli. La chianca incombeva sullo specchio d'acqua; una cordicella veniva assicurata al rametto e nascosta a filo di terra nel tratto ripulito, con l'altro capo in mano mia, andavamo eccitati a nasconderci dietro un riparo di sciaje già pronto all'ombra di un vicino fico.
- Non fiatare -
diceva ZIMICCHIO,
- Non muoverti, altrimenti gli uccellini non si avvicinano. -
Sì!, perché era proprio qualche passero o meglio un cardellino di passaggio che noi aspettavamo si avvicinasse attirato dallo splendore dell'acqua al sole cocente di luglio. Le speranze di 'ngappare qualche preda si affievolivano: il vento non sembrava favorirci, quando ecco apparire un'ombra sull'orlo della buatta. Sembrava proprio che un cardellino con le piume gialle e rosse sotto il becco fosse venuto a farsi prendere.
Il cuore mi batteva in gola, avevo cinque o sei anni e far male ad un esserino mi spaventava e attirava allo stesso tempo, al pensiero di ciò che stava per capitargli mi faceva pena l'uccelletto che beveva spensierato calando il becco in acqua e ingoiando ogni goccia con un rapido gesto del capo all'indietro.
Lo volevo però a cantare per me nella gabbietta, già pronta, con la porta aperta, nelle mani sicure dello zio che m'incoraggiava sibilandomi nell'orecchio:
- Tira!...Già, Tira!... -
Riflettevo, immobile, ancora un attimo in preda all'ansia, finalmente deciso tiravo il cordino e via di corsa a sollevare la chianca sperando che il cardellino fosse caduto in acqua senza essere rimasto schiacciato.
Trattenendo il fiato, ecco, sollevavo la pietra e raccoglievo l'uccellino, pulsante di paura nella mia mano tremante, ancora stordito del colpo improvviso.
- Che peccato, non è un cardellino, -
Dicevo:
-E' solo un passerotto. -
ZIMICCHIO contento dell'esito della caccia mi suggeriva:- Non importa, canterà anche lui il prossimo inverno e le giornata grigie saranno più allegre.
Con la sua stampella mi indicava la porticina aperta della gabbia e mi diceva:
- Non farlo volare via come il cardellino di ieri, mi raccomando!, Infilalo dentro con calma e mollalo subito, chiudi, vedrai: non scappa più."

Più quegli anni si allontanano più i ricordi si fondono e le mie personali madelaines acquistano personalità mista; così che i giochi nel trullo si mescolano con l'odore dei mercati rionali di Borgo San Paolo e di quella panetteria in Via Monginevro: "cerea madamin cosa le do oggi delle biove o dei maggiolini? E a te bel cit che ti serve?" - "mezzo chilo di biove, grazie". E al mercato ci andavo volentieri perché avrei avuto la possibilità di visitare la bancarella dei giornalini usati che, due giorni alla settimana, stazionava vicino al bar chiosco e alle bancarelle dei pescivendoli. Le mie collezioni di Kriminal e Satanik le ho consumate a forza di cambi, due albi già letti contro uno ancora da leggere e fai attenzione Giacomo che non ti rifilino qualche numero di quelli con le coste colorate di rosso che valgono meno e poi non te lo cambiano.

I luoghi e la memoria ci marcano e noi proviamo a marcarli; li abitiamo e ci abitano e camminare nelle strade che li attraversano ci fa crescere.



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