REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno I n° 5 del 01/09/2005 - MISCELLANEA Racconti & Turismo |
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Raggiungiamo l’auto, è rimasta tutto il tempo al sole ed è bollente. Non ho ancora imparato a far funzionare il condizionatore e così lascio aperte le portiere e metto il ventilatore al massimo. Per fortuna la mamma di Concetta ci ha obbligato a prendere una bottiglia di acqua minerale che ci permette di dissetarci. Quando la temperatura dell’auto è diventata sopportabile saliamo e partiamo. Raggiunta la provinciale prendiamo a sinistra in direzione della prossima meta: Capo Passero.
Lungo la strada ad un certo punto Concetta mi dice: “se trovo la strada ti porto in un posto che a me piace molto, rallenta un poco………. ecco lì, prendi a sinistra dovrebbe essere questa la strada” e con questo mi indica la strada con un segno deciso fatto con la mano. Quando ci siamo incontrati le avevo detto che da buon mancino, che è stato “rieducato” da suor Melania all’uso della mano destra, confondo sempre destra e sinistra pertanto di indicarmelo con la mano. Così ha inventato questo gesto molto preciso ed evidente che mi ha aiutato sempre a districarmi nelle stradine della Sicilia Iblea. La strada scende verso il mare e dopo una svolta appaiono le prime case di un qualcosa che mi sorprenderà: Marzamemi. Arriviamo nella zona del porto, è quasi mezzogiorno. Parcheggio l’auto, ho sete. Entriamo in un bar per bere qualche cosa. Quando usciamo propongo di pranzare e poi proseguire nella visita. Poco più avanti c’è un ristorante pizzeria che sembra buono, proviamo ad entrare, ma non viene nessuno. Dopo un poco torniamo ad uscire e proseguiamo sulla strada che costeggia il mare. Le case di questo borgo di mare sfilano con i loro colori, qua e là appaiono segni di un tempo passato mescolati a segni di oggi: i condizionatori, le insegne. Percorriamo la strada, vedo un ristorante, ma Concetta ha paura che sia troppo caro, allora proseguiamo. Non troviamo altro su quella via, alla fine incrocia una strada, ma anche in quella nessun ristorante che ispiri, così decido: andiamo in quello che abbiamo visto, i profumi che escono mi convincono. Con tutti gli anni che ho dovuto mangiare mezzogiorno e sera al ristorante, per lunghi periodi, ho imparato a riconoscere i buoni ristoranti dall’odore di cucina e ora difficilmente sbaglio. Anche questa volta il mio naso non ha sbagliato. Un buon pranzo ed alla fine un conto veramente economico, certo non pensiamo a pranzi “speciali”, solo una buona e sana cucina , con piatti ben preparati e gustosi in un grande ambiente fresco. Terminato il pranzo iniziamo a vistare il paese. La prima cosa che noto è un battello perfettamente parcheggiato sulla strada, mi viene da pensare: “ma usa il disco orario o no!” Poi appare una grande piazza, che costeggia il molo (ho appena letto nel racconto di Gatta Minerva che si chiama “Balada”). E lì la nostra vocazione di fotografi si scatena. A questa grande piazza fanno da corona il molo con le barche ormeggiate e case in pietra. Attraverso una serie di vicoli si entra nell’abitato. Le case povere da pescatori si alternano a antiche case di pietra che mostrano rifiniture di qualità, ma tutto dà una sensazione omogenea di pace. La stessa forse provata a Vendicari, ma qui è trasmessa dalle pietre delle case, dai portoni, dalle finestre in pietra con le inferiate. In questi insiemi di diroccato, restaurato, antico e moderno, ci si può aspettare di tutto; ecco che ad un certo punto Concetta inizia a fotografare attraverso la fessura del portone della vecchia chiesa diroccata, io sto fotografando la piazza e man mano che la vedo trafficare mi incuriosisco e mi avvicino. Mi dice: “guarda là, secondo te cosa è?”. Anche io provo a vedere e mi appare un paesaggio incantato: l’interno della chiesa scoperchiata. I muri scrostati e fessurati sembrano una tela di un pittore astratto, residui di intonaco bianco da cui traspaiano i mattoni rossi corrosi dalle intemperie. A sinistra un altare è ricoperto dalle erbe selvatiche, come il pavimento che è di un verde smeraldo. Su un lato un cactus ricorda una forma antropica orante. Sul fondo l’abside contornata da un’arcata, ma non è questo paesaggio che ha attratto l’attenzione di Concetta. È una “cosa” strana che in mezzo a tutta questa distruzione indica che qualcuno usa questo posto abbandonato: nell’arco sul fondo dell’abside si vede una rete chiusa a scacco appesa con qualche cosa dentro, forse delle cipolle o qualche cosa d’altro messo ad essiccare. In questo mondo mi piacerebbe fermarmi e passare le giornate a riflettere e creare, ma quello che mi viene offerto non è certo una reggia che mi attiri, alla fine a me piacciono case in ordine anche se spartane, non catapecchie. Dopo un po’ di giri per l’abitato spuntiamo sulla diga che protegge dalla mareggiate ed ammiriamo il mare con l’acqua cristallina. E la scogliera su cui si frangono le onde. Con fatica Concetta riesce a ricordarmi che il tempo passa, resterei qui a sentire le vibrazione che queste case mi trasmettono.
Il paesaggio si snoda interessante ed anche a Capo Passero trovo i colori stupendi che già mi hanno entusiasmato, ma forse ora non mi emozionano più come prima. Riprendiamo il viaggio verso Pachino. Ad un certo punto, superata una collina ci appare una piana inondata da serre e sullo sfondo Pachino. In quelle serre oggi si coltiva il famoso pomodorino, che ha quel sapore particolare perché cresce sul terreno sabbioso. Una volta qui si coltivava la vite e si produceva il Nero d’Avola. Me ne ricordo perché spesso mio padre veniva qui per la vendemmia e da piccolo confondevo Pachino con Pechino. Pachino è una classica città del sud Italia che si sviluppa attorno alla piazza e la piazza è il centro della vita. Secondo i ricordi di mio padre lì si trovavano al mattino i ragazzotti che aspettavano l’ingaggio per la giornata di lavoro (in effetti non credo che questo ricordo si riferisca alla piazza di Pachino, ma molto più probabilmente a quella di Novoli nella Puglia); all’ora in cui passiamo ci sono dei pensionati che seduti sulle panchine e le sedie dei Bar circostanti, prendono il fresco all’ombra delle piante e chiacchierano fra di loro. Qualche difficoltà a fotografarli, c’era qualcuno che non so cosa pensasse, che fotografassi i loro pensieri, di poter essere riconosciuti dall’amante, o chissà cos’altro; alla fine sono riuscito a fermare queste immagini di momenti che sembrano di un passato, ma sono di un presente, di un presente che faticosamente al nord cerchiamo di recuperare. Proseguiamo lungo la strada verso Marina di Modica. I colori e le sensazioni mi continuano a colpire, ma ora sono felice. Come non si fa ad essere felici nel vedere immagini con questi colori? I rosa ed i galli dei fiori che rompono il verde della vegetazione l’ocra della sabbia ed in fondo il mare azzurro, sulla battigia qualche persona e degli scheletri di baracche da utilizzare in estate. Lungo il percorso ci fermiamo in vari luoghi tra cui un altro posto sconosciuto e bellissimo, a cui si accede per una strada sterrata, Porto Ercole. Arriviamo infine al regno estivo di Concetta: Marina di Modica. È la classica cittadina da vacanze estive e ora che non sono quei mesi è tutto chiuso, case e negozi hanno porte e finestre sbarrate. Triste vedere questi spazi vuoti e senza vita, che differenza con Marzamemi. Anche là si sentiva il “vuoto” della mancanza di turisti, ma là vibravano di antichi ricordi e anche se le piazze erano vuote scorrevano in loro i segni della vita. Alla fine però possiamo godere di uno stupendo tramonto.
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