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 Anno I n° 5 del 01/09/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


La storia insegna
Il popolo ebraico ha sempre subito crudeltà
Dai Romani ai giorni nostri le persecuzioni verso gli ebrei sono sempre state presenti
Di Concetta Bonini


Domenica 4 Settembre 2005 la Giornata Europea della Cultura Ebraica ritorna con la sua sesta edizione a riempire 26 Paesi europei e 46 città italiane con manifestazioni legate appunto alla cultura ebraica.

Il tema di quest’anno sarà “Saperi e Sapori” ovvero la tipicità dell’arte culinaria ebraica come parte integrante della struttura estremamente complessa di questa cultura che tanto ha influenzato il patrimonio europeo in generale e italiano in particolare.

Ma al di là del tema specifico è fondamentale capire qual è l’intento di questa giornata, qual è l’obiettivo che gli organizzatori perseguono con ogni mezzo in difesa dell’ebraismo come cultura in sé ma anche e soprattutto come elemento portante ed innegabile dell’intera cultura occidentale. E’ un modo per tentare di razionalizzare il contrastato rapporto che ancora oggi l’Europa intavola con l’ebraismo, a cui guarda tuttora erroneamente come ad un elemento estraneo. E’ un modo per spiegare un intero universo culturale scongiurando la xenofobia attraverso la sconfitta dell’ignoranza e quindi proprio attraverso l’arma sacra della cultura. È uno modo per indurre all’unione piuttosto che alla divisione al fine di annientare il male che la Storia ci ricorda, per restituire finalmente la meritata dignità al popolo delle eterne diaspore, delle eterne persecuzioni, delle eterne sconfitte.

La Storia stessa ci dimostra e ci insegna come gli ebrei siano stati da sempre non tanto il popolo prediletto da Dio quanto piuttosto quello preferito dagli uomini come bersaglio di crudeltà. Nei loro confronti si è scagliata sempre in un modo o nell’altro la più violenta reazione alla paura dell’altro, del diverso: una barbarie che non ha conosciuto tregua nei secoli. Il rapporto che la società occidentale di tutti i tempi ha intrattenuto con l’ebraismo è stato quanto mai controverso, fatto di osservazione e di scambi reciproci, ma denso di timore da parte dell’Europa nei confronti di un elemento diverso che, pur nella sua drammatica frammentarietà, si conservava nei secoli ostinatamente unito.

Tutto comincia durante l’occupazione romana di Gerusalemme, quando si infittiscono gli scambi di ambascerie e comincia in Europa l’arrivo di ebrei, mercanti, studiosi o prigionieri di guerra. Ma l’entità dell’invasione prende corpo solo dopo il 70, anno dell’insurrezione di Gerusalemme e della sua distruzione per mano delle legioni di Tito. Nonostante l’ottimo inserimento nella società e il loro peso politico, con la diaspora inizia l’incomprensione e la persecuzione degli ebrei, dapprima da parte di un politeismo in realtà non troppo tollerante e poi da parte di un cristianesimo che deve essere esclusivo per poter essere politicamente rilevante.

Da Costantino in poi infatti, i rapporti sono drammatici, fin quando non si costituisce, dopo il 476, una florida colonia ebraica nel Mezzogiorno d’Italia, che gode della liberalità dei domini arabi e normanni e può così espandersi socialmente e culturalmente, al punto da costituire un elemento irrinunciabile dello sviluppo economico soprattutto nel regno normanno e da guadagnarsi così la garanzia della parità di diritti.

Ma con la fine dell’era normanna anche il Meridione conosce l’incubo della distruzione di case e sinagoghe, di saccheggi, di massacri, tutto sotto la spinta incoraggiante del Papato –aiutato dalla cattolicissima Spagna- che si farà tanto più forte durante le Crociate, durante la Morte Nera del 1348 e, successivamente, anche durante la Controriforma.

La manovra esclusivamente politica della Chiesa e dei governi contro le floride e ricche comunità ebraiche non può che avvalersi in questi frangenti di fantasmi religiosi creati ad hoc in modo che possano far presa sul popolo bigotto, ignorante e spaventato. Gli ebrei vengono perciò trasformati ora in deicidi e poi in untori decisi a sterminare i cristiani col morbo terribile della peste.

Ma non è un caso che questo sia anche il periodo di maggiore produzione e prestigio, quello in cui a Venezia nasce una comunità ebraica cosmopolita che ha un ruolo rilevante nello sviluppo della Repubblica e a Firenze una iperattiva nel settore bancario.

Nel cieco irrigidimento cattolico della Controriforma, la morsa si stringerà ulteriormente ed è proprio ora che, con la bolla papale di Paolo IV Cum nimis absurdum del 1555, vengono istituzionalizzati i ghetti ebraici e una serie di restrizioni si scaglia contro gli ebrei senza che nulla cambi anche nel corso dei successivi papati.

L’unico momento della storia europea in cui gli ebrei conoscono la pace è la Rivoluzione Francese: sono – o almeno dovrebbero essere - anni di libertà, di uguaglianza, di fraternità, che inglobano anche gli ebrei nella grande sfera dei diritti e della tolleranza. Una breve parentesi prima che la Restaurazione cancelli – o almeno tenti di cancellare – tutto con un colpo di spugna.

Sono passati quasi 2000 anni dall’arrivo degli ebrei in Europa e nulla è ancora cambiato.

Eppure, in Italia soprattutto, gli ebrei sono una componente niente affatto irrilevante della società, tanto dal punto di vista culturale quanto dal punto di vista politico.

Molti di loro partecipano ai moti risorgimentali (Mazzini e Cattaneo sono i primi ad opporsi all’antisemitismo) e alle campagne garibaldine finché nel 1870, con la presa di Roma, l’ultimo ghetto d’Europa cessa di esistere e l’Italia unita si apre alla tolleranza.

Ma non è facile ignorare la lunga scuola di odio verso gli ebrei ed è ancora vivo un forte antisemitismo corrente, una sorta di pregiudizio popolare duro a morire e che anzi non stenta a salire a galla alla prima occasione: quando il 1922 segna l’avvento del fascismo, sebbene esso non sia ufficialmente contro gli ebrei, vi aderiscono teorici antisemiti e, contemporaneamente, l’opposizione schiera folte file di ebrei. Il contrasto viene poi ufficializzato dal Manifesto della razza nel quale –sulla scia del delirio nazista- è stabilita la purezza della razza italiana, cui gli ebrei non appartengono e che non hanno il diritto di contaminare. Ed è così che si vietano le unioni miste, le proprietà, gli incarichi amministrativi, le licenze professionali e quant’altro agli ebrei, compreso non di rado l’ingresso in taluni esercizi commerciali al pari di quello dei cani.

Ma la follia dell’ottusa e meschina umiliazione nei confronti di una cultura ancora integra e sana, capace di autodifendersi dalla contaminazione ma soprattutto dal male umano, capace oltretutto di conservarsi con saggia, dolorosa e silenziosa umiltà, è ancora lontana dal concludersi.

Manca ancora un aberrante capitolo scritto col sangue e col fuoco.

E’ il capitolo della razzia nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, quello del campo di San Sabba vicino Trieste, quello dei treni stipati di uomini, donne e bambini diretti alla fabbrica di morte di Aushwitz, Mathausen, Dacau, Bergen-Belsen… E’ il capitolo della dignità calpestata, di uomini ridotti a larve, quello delle camere a gas, dei massacri sistematici, degli esperimenti con cavie umane. È una lucida, indicibile follia, è un abominio che uccide l’anima di vittime ed aguzzini e che brucia in un forno crematore la maschera di civiltà che gli uomini tentavano di costrurire da migliaia di anni sulla loro natura di belve selvagge e feroci che cova ancora dentro di loro più viva che mai, è una delle più grosse vergogne che la Storia abbia scritto e che ancora oggi infesta col suo odore di marcio la memoria dell’Europa.

Ma ciò che più sconvolge è l’antisemitismo che tuttora serpeggia in tutta Europa, dalla Germania alla Francia, e cova il suo odio contro le comunità ebraiche e contro l’osteggiato Israele, contro un popolo condannato a non avere una patria. Questo dramma ce lo hanno raccontato tutti nel corso dei secoli, attraverso il teatro, il cinema, la letteratura, da Shakespeare a Benigni a Polanski, passando per una serie sterminata di romanzi e agghiaccianti autobiografie. Ma la nostra ignoranza è dura a morire al pari della nostra cattiveria. La Giornata Europea della Cultura Ebraica non è altro che una goccia nel mare della speranza… Ad maiora.



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