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 Anno I n° 9 del 27/10/2005    -   PRIMA PAGINA


Come sempre dall’estero vogliamo importare i modelli peggiori
Lo sport che non è sportivo
Le dichiarazioni di Pescante sconvolgono chi crede ancora nella lealtà sportiva, è giusto piegarsi alla disonestà per mere ragioni economiche? Io dico di no.
Di Marina Minasola


Mario Pescante, sottosegretario ai Beni Culturali con delega allo Sport e supervisore dei Giochi Olimpici di Torino 2006, ha richiesto qualche giorno fa la depenalizzazione della normativa italiana sul doping in vista proprio delle olimpiadi di cui è il supervisore. Sarebbe questa infatti, secondo il Sottosegretario, eccessivamente rigida e in contrasto non solo con le altre leggi mondiali che prevedono semplicemente multe ed espulsioni sportive ma anche con gli accordi presi in precedenza da 3 presidenti del consiglio italiani (Prodi, D’Alema e Berlusconi) con il COI (Comitato Olimpico Internazionale), che non prevedono appunto sanzioni penali per gli atleti. Pescante ha aggiunto inoltre, per motivare ulteriormente la sua richiesta, che se l’Italia non si adeguerà al più presto alle normative internazionali, Torino 2006 rischia di essere poco partecipata, anzi, citando le sue parole “dimezzata”.

Condividono la proposta del sottosegretario, ovviamente, il presidente del CIO, Jacques Rogge, ed il presidente della FIS, Gian Franco Kasper, il quale ha tenuto a sottolineare che CIO e WADA hanno regolamenti uguali in tutto il mondo. Hanno invece urlato contro le dichiarazioni di Pescante, tra gli altri, Gianfranco Fini ed il verde Cortiana. Fortunatamente, avendo incontrato molti oppositori, Pescante ha fatto dietro front dicendo che il nostro paese evidentemente non è ancora sufficientemente maturo per cambiare la legge.
Tutto resterà quindi apparentemente com’è, almeno per il momento, ma ciò non toglie che il polverone sollevato dal Sottosegretario abbia riportato dopo tanto tempo l’attenzione su quella che è una piaga da non sottovalutare.

Giustamente la legge italiana considera il ricorso a sostanze dopanti come frode sportiva e pertanto reato. In effetti di vera e propria frode si tratta, non solo a causa dell’enorme quantità di denaro che ruota intorno a certe manifestazioni sportive ma è considerabile frode anche e soprattutto verso i tifosi e verso lo sport stesso.
Che valore ha un record del mondo o una vittoria strepitosa ottenuta utilizzando sostanze illegali? Il mondo dello sport nei secoli è cambiato in modo radicale. Pensiamo che nell’antica Grecia durante le Olimpiadi si interrompevano le guerre: oggi lo sport è diventato una guerra. Una guerra per il denaro, per accaparrarsi sempre più sponsor e per vincere a tutti i costi, ricorrendo anche ad abominevoli scorrettezze come il doping. Finora si è sempre tentato di giustificare gli atleti che hanno fatto o fanno notoriamente uso di droghe (perché, non prendiamoci in giro, di vere e proprie droghe si tratta); i media hanno reso eroi nazionali personaggi come Pantani e Maradona. Si è perso, in questi anni, l’accezione pura che aveva assunto l’aggettivo sportivo: atteggiamento sportivo era un tempo sinonimo di leale, ma cosa c’è di leale nel doping? Perché se altri stati sono meno rigidi nei confronti di questa diffusissima forma di depravazione della società, dobbiamo esserlo anche noi? Perché vogliamo adeguarci sempre a tutti i costi al resto del mondo, rinunciando anche a quel poco che ci rimane di migliore, il nostro diritto? Non è assurdo che, anziché essere felici che atleti dopati in Italia non partecipino alle Olimpiadi, ce ne preoccupiamo?

Ormai anche un’ attività pulita come dovrebbe essere quella sportiva si sta sempre più “sporcando” e la cosa non suscita neanche più scandalo. La verità è che anche lo sport ha appreso dalla politica la lezione che, se una legge risulta “stretta” ai potenti, non esiste alcun problema: basta cambiarla. Chissà quanto resisteranno ancora le leggi antidoping in Italia, io ne prevedo vita breve. Alberto Moravia diceva: “Si vede che lo sport rende gli uomini cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole”. In realtà nel vero sport non dovrebbero esistere forti e deboli, buoni e cattivi ma solo gente per cui “l’importante è partecipare”, gente per cui lo sport è un valore in sè, che non ha bisogno di trucchi e in cui deve vincere il migliore (e questa non è, come può obiettare qualcuno, retorica). Nel vero sport il migliore non è chi assume più sostanze, ma è chi è possiede più doti naturali e più allenamento, non chi ha più sponsor, più denaro e più tifosi. I veri sportivi sono i bambini che giocano per la strada e le bambine che torturano le mamme per essere iscritte in palestra. I veri sportivi sono i padri di famiglia che il mercoledì sera vanno a giocare a pallone con gli amici.

Chi sa che vincere non è la cosa più importante dello sport ma che è lo sport la cosa più importante, è un vero sportivo. Chi non accetta compromessi con se stesso è un vero sportivo. Lo sport deve ritrovare se stesso, aiutiamolo non accettando noi per primi compromessi. Non tolleriamo più che continui a potersi chiamare sportivo chi si dopa, che di sportivo non ha proprio niente. Non permettiamo che si cambi l’attuale legge, facciamo sì anzi che ci siano controlli più severi. Se non ci sono più sportivi puliti che vogliono partecipare a delle Olimpiadi con il doping visto come reato, se ha ragione Pescante, non cambiamo la legge: non facciamo più le Olimpiadi. Nella vita si devono accettare spesso troppi compromessi, almeno nello sport non lasciamo che sia lo stesso.



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