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 Anno I n° 10 del 10/11/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


Alcune considerazioni su come allontanare la fine delle materie prime
Sviluppo compatibile
Come ridurre i consumi di materie prime senza intaccare la disponibilità di beni?
Di Roberto Filippini Fantoni


Il famoso studio “I limiti dello sviluppo” lo potremmo parafrasare in “I limiti de “I limiti dello sviluppo””, visti i grossi errori di previsione sull’esaurimento delle scorte petrolifere, molti ricercatori hanno tentato di costruire modelli del tipo di quello qui sotto esemplificato.

Il modello fa vedere chiaramente come le risorse naturali andranno diminuendo drasticamente nonostante sia stato previsto un raddoppiamento delle risorse naturali disponibili che rende più positivo il negativissimo risultato di modelli che non prevedono tale raddoppio. Comunque per un’altra ventina d’anni la produzione industriale crescerebbe anche se la disponibilità di alimenti comincerebbe a decrescere una decina d’anni prima e l’inquinamento continuerebbe a salire per altri venti anni dopo il calo della produzione industriale. In queste condizioni prevedere un calo della popolazione è ovvio ma è altrettanto vero che il raggiungimento della stabilità lo si farebbe a tenori di vita molto bassi. Altri modelli danno sostenibilità raggiungibili entro il 2050 a livelli di elevato benessere ma mettono come condizione che la popolazione cessi di incrementare dal 1975 – e questo non si è di certo verificato – e che si attuino adeguate politiche di sostenibilità, tutte cose che non abbiamo mai visto nemmeno da lontano.
Negli anni ’90, un istituto di ricerca sulla durabilità del prodotto (Ginevra) aveva fornito le strategie per un incremento di produttività dei materiali il cui obiettivo era la qualità della prestazione dei servizi all’utilizzatore finale. State a sentire alcune di queste strategie:

(a) affittare invece di vendere in modo che il fabbricante sia interessato a produrre beni di lunga durata
(b) estendere al fabbricante la responsabilità del bene nel periodo di uso e post-uso, in modo da indurlo a realizzare prodotti poco inquinati e facilmente riciclabili o smaltibili
(c) condivisione della proprietà (es. auto e lavatrici) in modo da avere la stessa qualità del servizio con un minor numero di beni
(d) ri-manifattura, non modificare l’involucro/telaio sostituendo soltanto componenti obsolete e guaste.

I lettori avranno già capito che questo elenco di buone intenzioni si scontra in modo netto con l’andazzo dei tempi. Ognuno ama essere padrone di quello che ha e l’affittare oggetti diventa sempre più raro se si esclude il leasing sulle auto che però non viene fatto dal fabbricante e quindi quest’ non ha nessuna intenzione di fare qualcosa di assolutamente duraturo.
Anche sul secondo punto c’è poi da ridire perché è facile a dirsi ma assai più difficile a farsi.
Non parliamo della condivisione della proprietà. Immaginiamo in Italia solo avere le lavatrici in comune come succede spesso negli USA: già sono battaglie le riunioni di condominio ........ quelle sarebbero guerre!
L’ultimo punto si annulla con la politica della rottamazione e così il quaderno dei buoni consigli si trasforma in un “cailler de doléances”.

Ma non finisce qui!

Altro elenco di buoni consigli ci viene dalla famosa formula delle “5 R” (riduzione, riuso, raccolta differenziata, riciclo, recupero).
Dopo anni di discussione su come attuare politiche sostenibili a livello Europeo, sulle direttive in materia di rifiuti (applicato in Italia nel Dlgs 22/97) ne è uscito questo ottimistico “tetralogo”:

(1) progettare per ridurre il consumo delle risorse, minimizzando la quantità di materiale per unità di prodotto, utilizzando dove possibile, anche materiale di riciclo, riducendo il consumo di energia, la produzione di scarti, incentivando l’auto-riciclo;
(2) progettare per il riuso del prodotto;
(3) progettare per il riciclo, realizzando manufatti costituiti da un solo materiale o da famiglie di materiali compatibili.
(4) progettare per il disassemblaggio, qualora non sia possibile ridurre la varietà di materiali impiegati in un manufatto.

Di tutti questi punti, meno campati in aria dei precedenti, solo il punto due ci sembra molto poco realizzabile. Per gli altri punti la realizzabilità c’è ma mancano le condizioni economiche perché diventino realizzabili.
Infatti oggi le imprese si trovano a dover lottare a livello di competitività di prezzi con il mercato del Far East, dove, a causa della politica di incremento industriale quasi selvaggio – ci ricorda i nostri anni ’50 e ’60 – ogni modifica dei prodotti per attenersi ai suggerimenti delle 5R costituisce un onere aggiuntivo, proprio allorquando si cerca di ridurre i costi all’osso. In aiuto potrebbe venire il punto (1) che con l’ottimizzazione del progetto e un uso ridotto di materie prime, eventualmente riciclate, potrebbe risolverci qualche problema. Ma la sua funzionalità dipende proprio da tutti gli altri punti che devono entrare all’unisono e quindi le difficoltà perché tutto possa funzionare al meglio diventano molto grandi.
Per tornare ai modelli di sviluppo non ci resta che dire che la loro attendibilità è troppo vincolata a certe aspettative che per la maggior parte sarà difficile che si realizzino: se pensate che un piano logico come il Protocollo di Kioto non è stato firmato dalla nazione industrialmente più potente, potete rendervi conto di come tutti i progetti possano andare facilmente in fumo.
Non ci resta che attendere imminenti catastrofi e sperare che dalla possibile distruzione del mondo nasca un mondo migliore: andiamo al cinema a vederci ancora una volta “Il pianeta delle scimmie” e ........ speriamo in Dio!



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