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 Anno I n° 11 del 24/11/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO


Nella società delle pari opportunità non poteva che rompersi il delicato equilibrio della coppia
Il matrimonio come anacronismo
Ecco come le donne, in nome di un femminismo con cui non esaltano le loro differenze ma si degradano nell’omologazione, hanno distrutto il matriarcato e con esso il matrimonio
Di A.G.


Parlare di matrimonio oggi talvolta appare come voler restare legati ad un vistoso anacronismo.
Se volessimo leggere fino in fondo la realtà, potremmo dire che il matrimonio è rimasto invischiato, ingabbiato in un circolo vizioso di cui la sua degradazione è allo stesso tempo causa ed effetto.
Mi spiego meglio.
La parola matrimonio è ormai in massima parte vuota di significato: nella storia dell’umanità essa ha rappresentato il nucleo primo di ogni società, lo stereotipo dell’intero sistema, la cellula base su cui si fondava, si costruiva e si relazionava ogni altro riferimento per l’uomo. Nel matrimonio si istituiva quel sistema di valori di cui esso stesso era l’emblema assoluto ed indiscusso e nell’ambito del quale l’individuo forgiava la sua identità personale e sociale che lo rendeva capace di costruire a sua volta il mondo in un nuovo matrimonio da scegliere, seminare e coltivare per tutta una vita. Questo era possibile grazie ad un equilibrio sottile, eppure quasi indistruttibile, tra la figura maschile e la figura femminile. Le donne, è vero, si sono sempre reputate superiori a noi uomini, ad essere sinceri forse lo sono sempre state: si sono date un ruolo, la cui necessità noi abbiamo accettato e approvato, nell’essere l’ossatura stessa della società, l’impalcatura, l’anima. Qualcuno diceva che ogni uomo ha bisogno di avere accanto più di una donna, una madre, una moglie, una sorella, una figlia, perché è essenzialmente nel riferimento femminile e nell’istituzione familiare che egli trova –o per meglio dire trovava- la linfa della sua identità, del suo ruolo nella società (talvolta, non neghiamolo, anche una distruttiva inibizione delle sue potenzialità e della sua indipendenza).
Se sapessimo essere onesti, se le donne stesse sapessero essere oneste, si dovrebbe riconoscere che la storia non ha visto altro se non l’irrobustirsi di un matriarcato che, dalla matrona romana all’energica donna fascista passando per la Beatrice dantesca e la Lucia manzoniana, è stato il presupposto essenziale di una ben determinata struttura sociale.
Se ancora le donne sapessero essere oneste, dovrebbero ammettere che il loro femminismo ha in sé il nerbo scoperto di ogni “–ismo”, il vizio malato ed incorreggibile di ogni “–ismo”, il potere distruttivo ma anche fortemente autodistruttivo che caratterizza storicamente e filosoficamente ogni “-ismo”. Hanno rinunciato al matriarcato per eliminare un presunto patriarcato, hanno contrapposto il femminismo ad un presunto maschilismo che però mai aveva osato rinnegare il ruolo chiave di ogni donna.
In questo modo hanno distrutto il principio culturale più istintivo ed elementare che l’essere umano abbia mai avuto: l’accoppiamento di un uomo e una donna per dare la vita e perpetuarla in un delicato, armonico, preziosissimo equilibrio tra due opposti che sono stati così concepiti per attrarsi e completarsi a vicenda. L’omologazione forzata di due creature per loro natura antitetiche e complementari, la deviata e deviante confusione di ruoli che ne è derivata, un gioco-forza precario in bilico tra attrazione e repulsione tra due poli che restano opposti ma che si ostinano a voler diventare uguali, non può che determinare la caduta del sistema valoriale tradizionale per l’impossibilità di dare la solidità necessaria all’istituzione matrimonio e al nucleo familiare.
Ne deriva logicamente che, tanto quanto prima si veniva fuori da un forte contesto familiare pronti a rigenerarlo, allo stesso modo ora si viene fuori da un debolissimo o talvolta quasi inesistente contesto familiare assolutamente incapaci di reinventarlo in forma alternativa. Ecco di cosa si compone e in cosa si alimenta quel circolo vizioso che rende paradossale un accordo tra il matrimonio e la società moderna e rende drammatica la necessità di conciliare con il nuovo sistema il bisogno umano e naturale di amare e di procreare.
Ma, come dicevo prima, la donna non ha solo distrutto il suo ruolo sociale e l’intera struttura che ne derivava: ha distrutto in gran parte sé stessa, la sua vocazione naturale, la tensione ideale verso il valore primo della famiglia come condizione imprescindibile per rinsaldare i rapporti umani e sociali a qualsiasi altro livello. Oggi la donna si sforza di sostituire l’uomo laddove forse sarebbe davvero capace, ma per questo riduce ad un optional i sentimenti e i figli, si sforza di raggiungerlo laddove forse non potrà mai, in definitiva si sforza di emularlo senza capire che potrebbe finire, che sta finendo o che è già finita per degradarsi nel disperato tentativo di esaltarsi.
Cosa vuole essere la donna? Con che ruolo vuole stare accanto ad un uomo?
Una donna è velina, è soubrette, è oggetto mercificato e svilito, è vuota immagine, oppure è donna in carriera brillante ma spesso sola, in competizione dichiarata o subdola con l’uomo di cui si crede superiore, da cui si crede distante.
E tentando di correre per raggiungere l’uomo non fa altro che allontanarsene: non è moglie, non è madre, non può essere più architrave del matrimonio e senza di lei esso crolla e si annulla nel suo più profondo significato, e l’uomo stesso non sa più che vuol dire essere uomo.



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