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 Anno I n° 12 del 08/12/2005    -   PRIMA PAGINA


Riflessione di un torinese
Questa notte a Venaus
I fatti della Val di Susa ricordano quelli di Genova, ma...qui non c'era uno "stato di guerriglia in atto"
Di Walter Dall'Olio


Oggi è una giornata triste, per me e per l’intera comunità torinese. Quello che è successo questa notte a Venaus, in Val di Susa, ha poco a che fare con le idee politiche e con le opinioni sulla TAV, perché va a ledere i principi cardine di uno stato democratico e dei suoi abitanti.

Se si può considerare fastidioso e ingiusto essere perseguitati per le proprie idee o per il colore della propria pelle, se si possono ritenere vergognosi i soprusi che alcuni individui subiscono da parte di altre persone a causa del proprio modo di essere, il tutto diventa assolutamente schifoso ed inaccettabile quando tali violenze arrivano proprio da coloro che tali diritti dovrebbero difendere in quanto rappresentanti dello stato democratico in nome del quale agiscono.

Purtroppo questa notte la storia si è ripetuta, e ciò che è successo nella scuola Diaz di Genova nel luglio del 2001 ha vissuto il suo ignobile secondo tempo nell’accampamento dei NO-TAV di Venaus, dove le forze dell’ordine hanno sgomberato con troppa forza uno sparuto gruppo di manifestanti che stava dormendo nelle tende. Probabilmente la singolare coincidenza che ha visto entrambe le azioni svolgersi lontano dalle luci del sole – ed in parte anche da quelle delle telecamere – è puramente casuale, così come i venti manifestanti che si sono ritrovati al pronto soccorso con varie tumefazioni sono da ascriversi esclusivamente al rischio insito in tali operazioni di polizia.

Ma le coincidenze sfortunatamente finiscono qui e se per la scuola Diaz le forze dell’ordine potevano parlare di occupazione abusiva, di cortei violenti e di devastazioni e danni causati alla città di Genova, in questo caso non esistono neanche queste flebili giustificazioni, visto che questi pericolosissimi ceffi che andavano perseguiti e dispersi con la violenza, altro non erano che donne, pensionati e comuni cittadini che avevano come unico fine la salvaguardia dell’ambiente in cui vivono ed in cui vivranno i loro nipoti, ma che in quasi un mese di cortei e manifestazioni mai avevano palesato violenza. Resta quindi un forte senso di disgusto, che mal si sposa con lo Stato che la televisione ci vuole vendere e che ancor peggio sta allo spirito olimpico di cui Torino dovrebbe essere testimone da qui a marzo.

Restano delle persone violentate nell’animo ancor più che nel corpo, che sono state risvegliate dal gusto ferroso del sangue e dalle urla impaurite di chi stentava a credere a ciò che realmente stava accadendo.

Restano la rabbia e l’impotenza, unite inscindibilmente in un groviglio di emozioni che rischiano di portare all’esasperazione delle persone che hanno passato al freddo e al gelo l’ultimo mese della loro vita convinti di lottare lealmente per una cosa in cui credevano. Resta un’immensa amarezza, che col passare delle ore sta mobilitando studenti e lavoratori, casalinghe e pensionati, gente qualunque e autorità comunali, al fine di dimostrare civilmente che non è questo lo Stato in cui dovremmo vivere.


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