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 Anno I n° 13 del 22/12/2005    -   LENTE DI INGRADIMENTO



Il presepe: per vedere con gli occhi del corpo.

Di Fr. Mirko Sellitto (mushino)


Girovagando curiosamente per la Rete noto come la semplice ricerca di “presepe” o “presepio” dia come risultato una serie di siti che presentano mostre di presepi, vendite di presepi, storie di presepi artistici locali.

Approfondendo però la ricerca si giunge anche a pagine che parlano dell’origine di questa tradizione dall’estensione quasi mondiale. A queste origini, in qualità di frate francescano, vorrei riportare la vostra attenzione. A Greccio, il 25 dicembre 1223, San Francesco volle rendere visibilmente presente un evento storicamente lontano, la nascita di Gesù. Tanti lo avevano rappresentato attraverso dei dipinti, spesso rivestendolo di un’aurea “beata” capace di emozionare i cuori. Ma il Poverello di Assisi, quello che parla con gli animali, che predica la pace, che spesso nella nostra immaginazione è presente come “sollevato da terra”, ora ci sconvolge per la sua cruda concretezza. Perché il presepe? Perché far uscire la Natività dalle tele affisse ai muri?

Perché collocare nella fredda notte greccese una mangiatoia, un bue, un asino e un bambinello? Sentiamo la sua risposta: «vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Quei disagi e quelle mancanze significano per Francesco il reale coinvolgimento del Figlio di Dio con la situazione umana. Non è nato con tutti i comforts, ma “senza le cose necessarie”. Questo più che emozionare Francesco lo riempie di gratitudine verso Dio, che si è fatto realmente, visibilmente, carnalmente vicino all’uomo, così coinvolto con la sua situazione “precaria”. È la necessità di non lasciare all’immaginazione personale un fatto così determinante per la storia del mondo e di ciascuno a spingerlo verso il presepe: bisogna vederlo “con gli occhi del corpo”. E poi… il tocco finale: sulla mangiatoia viene celebrata la Messa, e il posto del bambinello viene occupato dal pane e dal vino consacrati, presenza quotidiana di Gesù in mezzo a noi. Solo il suo genio poteva inventare tutto ciò! Ecco la sua spiegazione: «ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote».

Ma serve ancora fare il presepe? Per le mie origini salernitane, sono molto legato a questa tradizione. Ogni anno io e mia madre studiavamo come farlo, dove collocarlo, cosa rappresentare intorno alla grotta. Spesso andavamo a Napoli a cercare qualche novità da aggiungere.
E poi, la notte di Natale portavamo il bambinello in processione, con le stellette accese e cantando “Tu scendi dalle stelle”… Personalmente, credo sia utile ancora il presepe. La nostra cultura che spesso si nutre di immagini bidimensionali (quelle sullo schermo), ha ancora bisogno della “terza dimensione”, la profondità, dove si possono toccare con mano le cose, sentirne il calore, percepirne i movimenti.
Anche il nostro spirito, rischiosamente alla ricerca di spiritualità alienanti, di qualcosa che ci sollevi dal peso del quotidiano, di un dio che stia “tutto nel nostro cuore”, ha bisogno di ritrovare la concretezza di Dio. E questa possibilità di trovarlo ce l’ha offerta Lui stesso mediante l’Incarnazione. Facendosi uomo Gesù ci ha mostrato chi è Dio, quanto Lui sia presente tra gli uomini, sia capace di soffrire e gioire con loro e per loro. Ci ha pure mostrato quanto stimi l’uomo e la sua carne (tanto da diventarlo), quanto valore abbia la sofferenza (tanto da assumerla per salvarci). È a questo Dio che dobbiamo guardare e continuamente tornare, smettendola di farcene uno tutto nostro.
Il presepe allora può risultare scomodo. Ci toglie la fantasia di inventarci un dio, ma ci apre alla fantasia di Dio, che è andato oltre la nostra immaginazione facendosi uomo. Ci toglie la consolante idea di un Dio/principe azzurro, per farci consolare da un Dio che vive e soffre con noi. Il presepe è un po’ come i Vangeli: o si accetta ciò che si vede o si fugge verso nuove ipotesi. Facendo il presepe quest’anno mettiamo intorno alla grotta qualcosa che ci rappresenti (una foto, un oggetto), per coinvolgerci con la Sua storia, per lasciare che Egli parli alla nostra vita concreta, per affermare che crediamo nella sua presenza, per accettarlo così come Lui ha scelto di essere tra noi, per smetterla di alienarci in false immagini di Dio che non ci salvano da nulla.
Buon Natale!



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