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 Anno II n° 2 del 02/02/2006    -   LENTE DI INGRADIMENTO



Ambiente naturale da consumare o da conservare?
Troppo spesso i problemi dell’ambiente naturale sono noti, ma l’interesse economico fa dimenticare gli interventi per mantenere vitale la natura e così si arriva al ‘disastro’.
Di Giovanni Gelmini


L’inondazione di New Orleans, avvenuta qualche mese fa, credo sia il fatto emblematico della cattiva gestione del suolo. Emblematico perché non è avvenuta in un paese arretrato, non è avvenuta in una città sorta dal nulla, ma in una città che esiste da qualche secolo e in quello che molti considerano l’esempio di civiltà: gli Stati Uniti d’America.

L’inondazione, annunciata in tempo, ha distrutto la città e fatto centinaia di morti. New Orleans si trova alla foce del Missisipi, compresa tra questo fiume e il Lago Pontchartrain. La maggior parte di New Orleans giace sotto il livello del mare e non dispone di un sistema di drenaggio naturale. Ma perché la città è nata in un posto tanto difficile? Solo per l’interesse! Quel luogo, col suo accesso al fiume e al golfo, gode di una situazione quasi perfetta per lo sviluppo dei traffici commerciali, ma la sua configurazione urbana è disastrosa e, a differenza dell’esperienza olandese, troppo poco è stato fatto per garantire sicurezza. Anzi, una delle preoccupazioni piu grandi in questo evento è stato lo spargimento di prodotti tossici, accumulati in quelle aree a forte rischio di inondazione. Alla fine del novecento la scelta urbanistica fu di non realizzare ampie zone palustri, che potessero fare da “spugna” in caso di inondazione, ma di realizzare argini, che sono poi diventati delle trappole: delle barriere che hanno impedito all’acqua di defluire. Le aree umide esistenti venero bonificate e urbanizzate e così si è compiuto il disastro.

Anche in Italia quanti disastri, seppure con una dimensione molto più piccola, abbiamo avuto? Disastri che sarebbero stati evitabili, solo se si fosse tenuto conto delle caratteristiche morfologiche del terreno . Dal Vajont, alle inondazioni di Genova, dal disastro della Valle di Stava e ai morti della Scuola di San Giuliano di Puglia. E in tutti questi casi non si tratta di interventi umani antichi, deterioratisi nel tempo, come potrebbe essere la situazione dei quartieri spagnoli di Napoli, ma di interventi fatti quando le conoscenze scientifiche e tecniche in grado di evitare questi guai erano disponibili, solo che la voglia di lucrare ottenebra la mente degli speculatori. Cosi si costruisce solo per guadagnare senza tenere conto dei rischi ambientali. Si costruisce dove sono prevedibili inondazioni o senza criteri antisismici quando tutta l’Italia è zona sismica, non si curano più i canali scolmatori, la pulizia degli alvei; si coprono torrenti e fiumi, per meglio sfruttare le loro sponde, poi, quando la natura riprende possesso di quanto gli è stato tolto, si piange.

Si sono incanalate le acque piovane e si scaricano nei fiumi, anziché farle assorbire dalla falda, così in caso di pioggia i fiumi si ingrossano oltre misura e hanno sempre più un andamento torrentizio pericoloso, scorrendo tra le rive limitate da argini di cemento; in compenso le falde acquifere si abbassano e si ha sempre più spesso l’emergenza idrica.

I problemi spesso sono noti, ma nessuno ha intenzione di spendere soldi per evitarli, salvo poi spenderne molti di più per ricostruire.

Questo il problema idrogeologico causato dalla nostra civiltà protesa al profitto immediato e poco propensa ad investire sul futuro. Per noi la natura è qualcosa da piegare a nostro uso per poterla consumare, non qualcosa da rispettare e da conservare, non in un museo, ma viva e riproducibile per permettere anche nel futuro la vita e il benessere.



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