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 Anno II n° 4 del 02/03/2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Lettera di un precario del meridione migrante
Ridateci la speranza

Di Giacomo Nigro


Sono nato nel 1968 e sono un uomo flessibile. Sapevo che non avrei fatto una vita normale, ma proprio così precaria non l'avevo immaginata. Guadagno uno stipendio che oscilla tra le 700 o 800 euro al mese, ma faccio tre o quattro lavori, e sono impegnato anche il sabato e la domenica.

Una delle aziende più "stabili" mi ha fatto un co.co.pro. Vogliono che li ringrazi ogni giorno per il favore che mi fanno a farmi lavorare. Non posso lamentarmi perché c'è un esercito di riserva pronto a prendere il mio posto. Ed è vero. Sarà che il mondo del lavoro è irrimediabilmente cambiato e che nessuno, ma proprio nessuno vuole tornare indietro?!

Quella che è cambiata è l'autopercezione del lavoratore. Ci autopercepiamo come "naturalmente" privati di diritti. Ovvero agnelli sacrificali. Anche la sinistra è convinta che non si può tornare indietro.
A parte Grillo che ci fa sfogare sul blog (che può fare oltre a questo?), nessuno ha intenzione di rappresentare le voci mute degli innocenti che si sacrificano sull'altare del profitto (degli altri, dei pochi).

La mutazione è antropologica ed è irrimediabile (ha intaccato il dna), a meno che... a meno che gli agnelli non inizino a percepirsi come esseri portatori di diritti.
La strada è lunga, forse molto più lunga di quella che i nostri padri hanno percorso, per essere considerati qualcosa di più delle bestie.
Lottando, loro, ci sono riusciti a farsi una parvenza di vita, anche se solo funzionale al sistema politico ed economico dei loro anni. Noi invece no. Nemmeno la parvenza di una vita "normale".

Ci hanno eretto a simbolo di una umanità disintegrata che ha abbandonato i suoi fratelli, i suoi figli più deboli. Dopo di quelle che ci applicano sulla nostra pelle, altre forme raffinate di esclusione economica aspettano le generazioni future.
Basti per tutti il progetto della riforma scolastica della Moratti, quella che obbliga i bambini a decidere a farsi carne da macello sin dalla tenera età. Agnelli appunto, da scannare e fagocitare.

Pietro Annicchiarico


Ricevuto questo messaggio diventa difficile per uno che appartiene ad una generazione che ha avuto la possibilità di conquistarsi e tenersi il “posto fisso” abbozzare la ben che minima risposta che sia di confronto o di speranza.
Quel poco che è, ad oggi, venuto fuori dalla campagna elettorale non fa ben sperare per il fattore lavoro che da un lato, quello dei lavoratori del posto fisso, ha un costo elevato e fuori dal mercato globale, dall'altro, quello dei giovani precarizzati in maniera scandalosa ed inutile, ha un costo basso in senso economico ma elevatissimo in senso sociale.
Si teorizza, e qui vorrei non fare qualunquismo ma neanche distinguere fra destra e sinistra visto che sono accomunate dal fatto che devono entrambe fare i conti con il centro, che per adeguarsi e recuperare rispetto alla concorrenza delle nazioni emergenti (Cina, India per fare qualche nome) occorre abbassare il costo del lavoro.
Questo lo si vuole ottenere con la riduzione della forbice fra costo dei lavoratori fissi e costo dei lavoratori precari, si dice che la diminuzione del cuneo fiscale è una cosa fattibile e si pensa ad un’ulteriore riforma delle pensioni nonché a mettere le mani sulle liquidazioni maturate e sui fondi pensione privati (per chi ce l’ha). Nel frattempo si è cominciato allegramente a smantellare lo “stato sociale” spingendo la sanità pubblica e l’insegnamento scolastico sempre più verso il privato.
D’altro canto il fattore capitale corre libero per il mondo e va dove i costi di produzione sono più bassi, si chiudono le imprese produttive e si mandano a casa i lavoratori. Ciò che prima si produceva in Italia si va a comprare all’estero, si certo, si gestiscono i marchi di fabbrica incamerando le relative royalties, ma intanto i lavoratori che hanno costruito quei marchi con la loro forza lavoro sono a spasso e contribuiscono alla diminuzione dei consumi interni.
Insomma c'è ben poco da stare allegri soprattutto nel mezzogiorno d’Italia dove prosegue il processo di emarginazione economico e sociale.
Già la svolta degli anni Novanta con l’avvio della cosiddetta II° Repubblica ha precipitato la situazione meridionale: il taglio dei trasferimenti assistenziali, il disegno liberista del federalismo, la flessibilizzazione dei contratti di lavoro dilagante su uno sfondo sociale già segnato da una profonda deindustrializzazione e dall’ulteriore espansione di una disoccupazione di massa, specie giovanile già da tempo drammatica.

L’ingresso nell’Europa di Maastricht ha consolidato e accentuato queste tendenze di fondo: confermando una volta di più che la crescente marginalità dell’economia meridionale, lungi dall’essere un’espressione di arretratezza e di "ritardo", non è altro che uno sfruttamento "scientifico".

Peraltro da un lato abbiamo una borghesia meridionale emergente legata alle costruzioni, al terziario e all’economia turistica (tuttavia largamente dominata e guidata, quest'ultima - vera ricchezza del sud - da imprenditoria del nord), protagonista spregiudicata delle operazioni speculative sulle aree industriali dismesse e che moltiplica i propri capitali attraverso i meccanismi della rendita.
Di contro il pesante ridimensionamento dell'occupazione si accompagna alla precarietà del lavoro stagionale, al declassamento del pubblico impiego, allo sfruttamento vergognoso del lavoro femminile, fenomeno quest’ultimo addirittura residuale visto che anche le imprese che lavoravano in nero sono state strozzate dalla nuova situazione economica.

In questo quadro la criminalità organizzata trova il suo spazio naturale di riproduzione sociale che si intreccia profondamente con la borghesia meridionale essa agisce, inoltre, come ufficio di collocamento di giovani disoccupati e quindi, paradossalmente, come ammortizzatore sociale, tanto più in una fase in cui lo Stato, da sempre esattore e gendarme, giunge a negare persino l’assistenza.
Bisogna anche fare i conti con chi dice che in realtà la disoccupazione in Italia ed anche al Sud è diminuita, facendo affidamento sulle statistiche Istat, senza tener conto del fenomeno della regolarizzazione dell’immigrazione clandestina. Il quadro è fosco, lo riconosco, ma alla realtà conviene guardare dritto in faccia però ridateci la speranza.



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