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 Anno II n° 6 del 30/03/2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Le pratiche di corruzione secondo John Perkins
La fabbrica del debito: come i paesi poveri diventano più poveri con gli ‘aiuti internazionali’

Di Giacomo Nigro


John Perkins ha lavorato per dieci anni come economista presso una società di ingegneria e costruzioni di Boston impegnata in progetti internazionali, egli ha deciso per anni la concessione di prestiti ad altri Paesi per il finanziamento di grandi lavori. Prestiti “molto più grossi di quel che quei Paesi potessero mai ripianare: per esempio un miliardo di dollari a stati come l’Indonesia e l’Ecuador”. Insomma un impiego che l'ha messo a stretto contatto con le pratiche di corruzione, raggiro e sfruttamento che affliggono la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo. John Perkins dice di essere stato reclutato per quel lavoro quando era ancora studente, negli anni ’60, dalla National Security Agency (NSA), entità segreta degli Stati Uniti, e poi inserito dalla stessa NSA in una finanziaria privata: “Per non coinvolgere il governo nel caso venissimo colti sul fatto”.

La condizione principale dei prestiti che venivano effettuati era che essi venissero usati in massima parte per il regolamento di contratti con grandi imprese americane di costruzione d’infrastrutture per la realizzazione di reti elettriche, porti e strade nel paese indebitato; il denaro prestato tornava dunque in Usa, e solo in parte finiva nelle tasche delle classi privilegiate locali che partecipavano all’impresa. Al Paese, e ai suoi poveri cittadini, restava lo schiacciante debito, il cui ripianamento produceva interessi che lo aumentavano in maniera esponenziale e senza speranza.

I "sicari dell'economia", spiega Perkins, sono in pratica un'élite di professionisti ben retribuiti che hanno il compito di trasformare la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo in un continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo (Italia compresa); sono, insomma, i principali artefici dell'impero, di cui disegnano, lavorando dietro le quinte, la vera struttura politica e sociale. Per dieci anni, quindi, John Perkins ha toccato con mano il lato più oscuro della globalizzazione in paesi come Indonesia, Iraq, Ecuador, Panama, Arabia Saudita.

Per esempio l’Ecuador, dice Perkins, è oggi costretto a destinare oltre metà del suo prodotto lordo – cioè di tutta la ricchezza che produce – per il pagamento dei debiti contratti con gli Usa. Ma questo è solo il primo passo. Gli Usa, indebitando quei paesi, vogliono in realtà “renderli loro schiavi”, scrive Perkins. All’Ecuador, non più in grado di ripagare, Washington chiede di cedere parti della foresta amazzonica ecuadoriana per farla sfruttare da imprese americane. La logica imperiale.

Tra i massimi successi dei “sicari economici”, Perkins rievoca l’accordo riservato fra gli Usa e la monarchia saudita ai tempi della prima crisi petrolifera negli anni ’70. Per gli Stati Uniti, era necessario tramutare il rincaro del greggio da sciagura a opportunità. La famiglia dei Saud, del resto, affogava nei petrodollari: le fu proposto di investirli in titoli Usa e in grandi opere in cambio dell’assicurazione americana che Washington avrebbe sostenuto il loro potere per sempre. “E’ questo il motivo primo della prima guerra all’Irak”, dice Perkins, e dell’intreccio privilegiato di affari e finanza tra i sauditi e i Bush. Secondo Perkins, gli Usa cercarono di ripetere l’accordo con Saddam Hussein, “ma lui non è stato d’accordo”. Da qui la sua rovina. Perché, scrive Perkins, “quando noi sicari economici falliamo il bersaglio, entrano in gioco gli sciacalli. Sono gli uomini della Cia, che cercano di fomentare un golpe; se nemmeno questo funziona, ricorrono all’assassinio. Ma nel caso dell’Irak, gli sciacalli non sono riusciti ad arrivare a Saddam: lui aveva delle controfigure, la sua guardia era troppo attenta. Perciò si è decisa la terza soluzione: la guerra”.

In seguito a una progressiva presa di coscienza, Perkins ha rinunciato a questo lavoro per fondare una compagnia elettrica impegnata nella ricerca sull'energia alternativa, collaborando con diverse associazioni no-profit per la salvaguardia e la diffusione delle culture indigene del Sudamerica.

Dalla sua esperienza è nato il libro “Confessioni di un sicario dell’economia”. In questa autobiografia, appassionante come un romanzo e documentata come un'inchiesta di denuncia,.Perkins ci costringe a riesaminare sotto prospettive inedite e inquietanti l'ultimo mezzo secolo di storia, e a interrogarsi sul nostro futuro. Un bestseller internazionale indispensabile per comprendere a fondo le dinamiche dell'imperialismo e le ragioni dei conflitti che alimenta.


Ecco alcuni giudizi sull’opera di Perkins:
“È raro trovare un libro capace di lasciarti senza fiato. Questo ci riesce.” The Business Economist
“Immaginate il figlio illegittimo concettuale di James Bond e Milton Friedman”. Boston Herald
“Una lettura obbligata per chi sa che un altro mondo è possibile”. Hazel Henderson, economista
“Una delle storie più importanti della nostra epoca. Un'opera di grande profondità, coraggio morale e forza trasformativi”. JohnE Mack, professore ad Harvard e vincitore del premio Pulitzer



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