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 Anno II n° 11 del 08/06/2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Presentato a Roma l’anticipazione del Dossier sull’immigrazione Caritas/Migrantes 2006
L’immigrazione in Italia necessita di maggiore attenzione
Entro 10 anni saranno 6 milioni gli immigrati nel nostro paese
Di Sara Giostra


Con i suoi oltre 3 milioni di stranieri regolari nel 2005 e circa 325 mila ingressi previsti per il 2006 l’Italia si qualifica come un grande paese di immigrazione. Si può’ ipotizzare che con tale crescita l’Italia conterà nel corso di 10 anni sei milioni di immigrati, divenendo di conseguenza il secondo paese di immigrazione in Europa dopo la Germania e uno dei più grandi del mondo.

E’ questo lo scenario delineato dal rapporto “Anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2006” curato da Caritas Italiana, Caritas di Roma e Fondazione Migrantes e presentato a Roma il primo giugno 2006 presso la sala Marconi della Radio Vaticana.

I dati messi a disposizione consentono di ricostruire un quadro organico di quanto è avvenuto nello scorso anno. Per quanto riguarda il monitoraggio del mercato del lavoro il rapporto ha evidenziato una consistente frattura tra mercato formale e mercato reale. In particolare emerge la necessità di contrastare “il lavoro irregolare”. Franco Pittau Coordinatore Dossier statistico Immigrazione Caritas-Migrantes sottolinea che «secondo gli operatori del settore, la maggior parte delle persone proposte per l’assunzione si trova già in Italia in posizione irregolare ed è saggio farsi carico della loro sorte, per il benessere loro e del mercato, obiettivo questo che implica anche diversi altri interventi di sostegno». Per il 2005 sono stati emanati tre decreti flussi: per i lavoratori neocomunitari è stato prevista la quota di 79.500 utilizzata da 44.096 persone per la maggior parte maschi dell’Europa dell’Est (polacchi, slovacchi e ciechi). Un totale di 99.500 posti previsti per lavoratori extracomunitari tra i quali 45.000 stagionali a fronte di 37.837 richieste e 54.500 non stagionali a fronte di quasi 250.000 domande presentate.
In riferimento all’anno corrente si è registrato un aumento del divario ancora più grande tra quote programmate per lavoratori fissi e stagionali (170.000) e le domande presentate dagli stranieri (485.000). Allora si può affermare che le quote programmate non sono sufficienti: nel corso di quest’anno sono triplicate le domande di lavoro non soddisfatte.

Per quanto concerne gli ingressi regolari il 2005 registra un record, e supera anche il numero di visti concessi per l’anno del Grande Giubileo (1.008.999): precisamente 1.076.680 di visti concessi lo scorso anno di cui 224.080, appena un quinto, per motivi di inserimento stabile. Il motivo ricorrente è il ricongiungimento familiare (40,1%), segue con il 35,2% il lavoro dipendente, il 14,2% lo studio cui seguono altri motivi con minore incidenza percentuale. In particolare va osservato che la percentuale di visti per lavoro autonomo è molto bassa (0,3%) e attesta la scarsa predisposizione dell’Italia ad attrarre investimenti esteri evidenziando il grande ritardo del nostro paese rispetto ad altri paesi industrializzati. Appurato che la maggior parte degli stranieri non viene per stabilirsi in Italia, le tipologie di visti di non inserimento riguardano il turismo (554.000) e gli affari (139.000). Consistenti sono anche i visti per transito (64.000), per invito (24.000) e per trasporto(16.000).
Ma quali sono i paesi protagonisti dei flussi nel 2005? Analizzando le provenienze è sorprendente il fatto che rispetto agli inizi degli anni 90 il panorama è notevolmente cambiato: è l’Europa (44,5%) il paese dal quale emigrano più persone e il primato spetta ai rumeni (42.322), segue l’Asia (21,0%) perlopiù cinesi (13.621), America (18,1%) prevalgono gli statunitensi (20.231) e Africa (15,9%) in particolare Marocco (17.343).

A partire da questi dati è logico domandarsi in che modo la società italiana sia in grado di rispondere adeguatamente a questo fenomeno che cresce così velocemente. Secondo Franco Pittau «una serie di dati così articolati costituisce un invito a superare le letture banali, che riducono gli immigrati alla mera funzione lavorativa o, peggio ancora, ad un fenomeno delinquenziale, e a prendere in considerazione la molteplicità di vissuti e di condizioni, che sono differenziate a seconda delle provenienze ma che nel complesso costituiscono una tra le più significative espressioni della dimensione internazionale del mondo odierno.
L’evoluzione accelerata che sta conoscendo l’immigrazione e le prospettive ipotizzabili portano, infine, a chiedersi se la rappresentazione del fenomeno, specialmente da parte dei politici, risponda in maniera adeguata alla realtà
».

Una recente ricerca Eurostat stima entro il 2050 la diminuzione della popolazione europea di 7 milioni di unità. Il calo si verificherà in buona misura in Italia, dove la popolazione scenderà da 57.888.000 a 52.709.000 (- 5.179.000 unità). La funzione compensativa seppure parziale dell’immigrazione permetterebbe di ridurre il tracollo demografico di un paese, il nostro, con sempre più anziani e meno giovani. Questo significa che non possiamo più permetterci di considerare l’immigrazione come un optional, ma intervenire in maniera efficace sul fenomeno a partire dalla sua regolamentazione giuridica. La realtà italiana è in ritardo rispetto a quella di altri paesi europei. Solo alla fine degli anni 90, grazie alla legge n.40/98 “Turco-Napolitano” e alla legge n. 286/98 si è potuto assistere al coordinamento unitario nel nostro territorio di tutte le leggi sull’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero. Ma negli ultimi cinque anni le politiche adottate dal governo di centro-destra (legge n.189/2002 “Bossi-Fini”) si sono dimostrate inadeguate, carenti e dal carattere restrittivo, soprattutto per quanto riguarda gli immigrati irregolari, esposti ad un elevato rischio di violazione dei diritti dell’uomo ( si pensi allo scandalo dei Centri di permanenza temporanea dove 500 extra comunitari erano presenti nello stabilimento che ne poteva accogliere poco più di 190). Nei confronti del nuovo esecutivo c’è un forte ottimismo. Le politiche dell’immigrazione hanno come priorità l’acquisizione del diritto di voto accompagnato dalla riattivazione di strumenti di partecipazione democratica, requisiti più spediti per la naturalizzazione, introduzione del permesso per ricerca del lavoro.

Studiare il fenomeno dell’immigrazione significa anche intervenire in prospettiva socio-culturale, cioè, sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni e i cittadini ad una educazione alla solidarietà e al rispetto per le altre culture e tradizioni. La diversità infatti non deve essere motivo di diffidenza ed esclusione nei confronti dell’immigrato, anzi è auspicabile intervenire per migliorare il dialogo fra le culture e fra gli uomini così da eliminare il pregiudizio e l’emarginazione. La soluzione per una convivenza pacifica deve partire da una nuova considerazione dell’immigrato da parte della società di accoglienza. L’etnocentrismo tipico delle società occidentali ha la tendenza a considerare l’immigrato l’estraneo per eccellenza, portatore di elementi culturali diversi colui che puo’ contaminare, integrandosi nella struttura sociale, i tratti peculiari e dunque l’identità della comunità di accoglienza, destabilizzandola. Così l’immigrato diventa inferiore, diverso, emarginato quando non si adegua ai canoni sociali, economici e culturali dominanti. Viene meno l’analisi delle cause che spingono l’immigrato a varcare i confini del proprio paese: povertà, fame, carestia, guerre civili, persecuzioni politiche, maltrattamenti, violazione dei più elementari diritti umani.

La prospettiva etnocentrica invece deve essere sostituita con l’interculturalismo. La relazione interculturale implica l’interazione, lo scambio e la reciprocità tra le diverse culture. L’interculturalità comporta il riconoscimento dell’altro, e si adopera per una negoziazione paritaria delle culture dove cioè la diversità diventa sorgente di arricchimento, di crescita e di riflessione.
In questo modo l’idea di una società più giusta, più accogliente, più democratica ci sembrerà più vicina.



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