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Cos'è l’Europa oggi? I problemi interni all’Unione Europea


Di Giovanni Gelmini

Negli anni ’80 l’Europa era ben assestata nei suoi rapporti politici, ma quando è caduto il muro di Berlino, la situazione ha avuto una evoluzione rapidissima e esplosiva.

I paesi satelliti dell’ex impero sovietico si sono trovati, dopo decenni, a poter gestire in modo indipendente la propria politica estera. I contatti con Europa e Stati Uniti sono diventati a questo punto fondamentali, ma l’Europa era già abbondantemente rappresentata nei loro territori da investimenti fatti in comune, la vicinanza territoriale e culturale era già una realtà, mentre gli Usa erano solo un punto di riferimento per il “potere”.

Gli stati europei subito si sono attivati per “occupare” questo nuovo spazio geopolitico, primi tra tutti la Germania che ha visto finalmente la possibilità di riunificare lo Stato Nazionale e riportare la capitale a Berlino. Forse però questa operazione complessiva è stata condotta in modo troppo nazionalistico (come già detto nel precedente articolo, una carenza della comunità europea è la mancanza di una politica estera comune e qui lo si dimostra ancor una volta), cioè con la visione dei propri interessi nazionali senza tenere conto di una politica comunitaria da privilegiare.

Il risultato dell’operazione è stato l’allargamento della comunità e la creazione di nuovi squilibri e una maggiore difficoltà a gestire lo “stato interno” dei paesi con una quasi inesistente politica estera comune.

Il divario economico tra i paesi storici e quelli dell’allargamento è notevole e evidentemente ha creato un grande squilibrio nelle politiche di “sostegno” alle aree deboli.
Il Pil/pro capite della Moldavia è solo il 3% del Pil pro-capite medio dei 25, ma vicini a questi valori sono Serbia (12%), Albania (8%) e Ucraina(6%). 13 paesi sono sopra il 100% e tra questi ci sono tutti i 6 paesi storici e quasi tutti quelli del primo allargamento. Il Primo è il Lussemburgo, con un Pil pro-capite del 224,1%, ma si sa che il Lussemburgo è un caso particolare, il secondo dei 6 è l’Olanda con appena il 123.7% superato dall’Irlanda, paese “depresso” del primo allargamento ora con 142,7% del Pil pro-capite. Una cosa interessante è vedere come i grandi paesi storici, Francia e Germania, non siano lontani dall’Italia , rispettivamente con solo il 109,9% ed il 107,8% .

La Germania è così bassa certamente per i problemi di ricongiungimento con la Germania dell’Est; questa unione ha anche creato all’intero tensioni e il rinvigorirsi dei movimenti nazionalisti di estrema destra.

Ma se i tedeschi hanno una visione della loro nazione abbastanza unitaria, non così è negli altri paesi europei e le varie regioni sempre piu spesso riscoprono radici che le differenziano dagli stati nazionali. Alcune di queste situazioni sono storicamente note: partendo da problema tirolese, troviamo quello basco, irlandese, scozzese, sardo e siciliano. Poi vi sono altre “differenze etniche ufficialmente riconosciute, ma spesso poco note come in Italia gli albanesi o i ladini, e nuovi spiriti di indipendentismo, come “la Padania”, storicamente mai esistita.

L’esempio della Catalogna (paesi baschi spagnoli) può essere preso da simbolo di questa tendenza, anche perché in questi tempi sembra aver abbandonato la lotta “militare” per ottenere un riconoscimento politico definitivo delle sue peculiarità. Barcellona punta a consolidare la sua identità e rafforzare le sue competenze fiscali. Richieste simili a quelle fatte dagli altri territori di indipendentismo più o meno storico.

In questi movimenti indipendentisti spesso troviamo mescolate reali esigenze di identità, ma molto più spesso il desiderio di gestire in modo autonomo la propria ricchezza e, come è per “la Padania”, la sensazione profonda di una scollatura tra chi produce il reddito (potere economico) e chi lo gestisce sprecandolo (potere politico). Questa in Italia è una realtà: i vertici dei partiti politici sono retti da persone nate nel sud Italia, e questo è sicuramente uno dei punti forti su cui si innesta il dubbio e l’opposizione a quelle norme di “solidarietà” necessarie per garantire lo sviluppo equilibrato.

Questi movimenti sono diventati dirompenti negli stati dell’impero sovietico, dove in continuazione assistiamo a separazioni più o meno consensuali; l’ultima quella del Montenegro. Ma questo crea inevitabilmente una serie di problemi di politica interna della UE. Da una parte lo svuotamento delle rappresentanze politiche per la relativa delegittimazione, dall’altro la difficoltà di gestire queste realtà di richieste di “democrazia” regionalistica, senza la relativa costituzione di uno Stato, mancando totalmente uno “Stato Europa” a cui fare riferimento.

Così il federalismo, ideato da Delors, chi ha più soldi ne distribuisca a chi ne ha meno, per costruire una vera e propria politica economica europea, non è più così sentito. I problemi interni delle nazioni rilanciano l’attenzione a se stessi e prevalgono sulla solidarietà comunitaria diventa sempre più difficile effettuare i finanziamenti fra Stati per ridurre le differenze dell’economia. Primi fra tutti gli stati in questa tendenza troviamo la Gran Bretagna che forse non ha mai ben digerito l’adesione all’Europa. Il vero problema è che oggi le zone disagiate dei fondatori dell’Unione, che pagano la maggior parte di contributi, non sono più così disagiate rispetto ai nuovi membri. Questo evidentemente porta a difficoltà notevoli di equilibrio politico all’interno delle istituzioni.

A queste difficoltà si deve aggiungere che è sicuramente più difficile mettere d’accordo 25 stati che 6; così l’Unione appare meno unita di prima.

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