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Allarme ambiente

Don't Desert Drylands!

Il deserto avanza e i tropici si spostano sempre più verso le aree temperate

Di Anna Cosseddu

I Tropici si stanno dilatando, la desertificazione avanza.

E' l’ennesimo allarme lanciato a maggio da Science, la prestigiosa rivista statunitense. Ed è anche il problema centrale di quest’anno, visto che il 2006 è stato dichiarato dall’Assemblea Generale dell’ONU l’anno della lotta alla desertificazione: IYDD - International Year of Deserts and Desertification. La “Giornata Mondiale dell’Ambiente”, il cui slogan è Don't Desert Drylands!, si è tenuta a giugno ad Algeri, città scelta perché capitale di una nazione il cui territorio è coperto per la quasi totalità dal deserto del Sahara. E' stata un invito a riflettere sulla grande pressione esercitata dalle attività umane sull’ecosistema e sul surriscaldamento anomalo del pianeta che sta provocando il progressivo impoverimento delle terre aride.

La fascia delle temperature torride si è infatti allargata di un grado di latitudine in più sia a Nord sia a Sud in 27 anni, è cioè cresciuta di 250 km.

Da 10 anni è entrata in vigore la “Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione”, ma, nonostante ciò, il problema “deserti” non sembra avere avuto l'attenzione che merita. A questo punto quindi le Nazioni Unite lanciano l'allarme “terre aride", che oramai coprono il 40% della superficie del pianeta e sono la "casa" di circa 2 miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale: quella più vulnerabile, perché soggetta a siccità, carenza idrica e povertà.

Se da una parte il processo di allargamento delle aree desertiche viene a coinvolgere man mano nuovi territori, quelli attualmente già aridi vedono un progressivo peggioramento della propria condizione. Secondo il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan: «In tutto il mondo, povertà, gestione insostenibile del suolo e cambiamenti climatici stanno trasformando le terre aride in deserti e la desertificazione aumenta i conflitti legati alla povertà. Si stima che tra il 10 e il 20% delle terre aride sia degradato, il problema è particolarmente evidente nell'Africa sub-sahariana e nell'Asia meridionale, dove il degrado delle terre aride è un serio ostacolo alla lotta alla povertà».

La siccità, la causa diretta della desertificazione, spesso è indotta dalle attività umane che colpiscono l'ambiente: le coltivazioni intensive, che esauriscono la produttività dei suoli, l'allevamento intensivo, che elimina la vegetazione, e la deforestazione, che, con i dieci milioni di ettari di foreste distrutti mediamente ogni anno nel mondo per incendio o per cambiamento d'uso del suolo, è la causa più importante. Sono proprio gli alberi ad arrestare i venti sabbiosi e sono le loro radici a trattenere la terra fertile, ma quando gli alberi, i cespugli e le altre piante della foresta vengono bruciati nessuna riforestazione è possibile: il suolo si trasforma in un deserto grigio di cenere, l’humus viene lavato e spazzato via dalle piogge e l'acqua non è più trattenuta nel terreno.

La desertificazione interessa anche il bacino del Mediterraneo e l'Italia, il cui 5,5% del territorio è soggetto a questo problema. Le zone più colpite sono soprattutto le isole, grandi e piccole, e le coste del Mezzogiorno: in particolar modo la Sicilia è interessata all'inaridimento per il 36% circa del proprio territorio, ma anche Puglia e Sardegna vedono costantemente aumentare i propri problemi. Trentamila ettari di suoli ad alta fertilità sono sottoposti ogni anno in Italia a cambio d'uso, da agricolo ad urbanistico, nonostante l'Italia sia stata il secondo tra gli Stati dell'Europa ad adottare, nel 1999, il “Piano Nazionale per la lotta alla Siccità e alla Desertificazione”, predisposto dal Comitato Nazionale istituito nel 1997.

I deserti possono però anche essere una grande risorsa economica in vari settori: dall'energia che sfrutta il sole e il vento, a piante e animali utili per la ricerca farmaceutica. Zaved Zahedi, direttore aggiunto del centro di sorveglianza della difesa dell'ambiente del Programma Onu, ha segnalato: «Questi deserti sono ecosistemi dinamici e unici, che se trattati opportunamente possono fornire risposte a numerose sfide alle quali ci troviamo di fronte, per l'energia, l'alimentazione, la medicina». I deserti potrebbero diventare le centrali elettriche non inquinanti del XXI secolo, utilizzando le risorse del sole e del vento. Un deserto della misura del Sahara potrebbe catturare energia solare sufficiente a rispondere al fabbisogno di elettricità del mondo intero. Secondo Zahedi «animali e piante selvatiche costituiscono nuove fonti per la ricerca farmaceutica, per prodotti industriali e per l'agricoltura». Piante scoperte nel deserto del Neghev, in Israele, possono aiutare a lottare contro il cancro e la malaria; altre, trovate in Marocco, in Arizona e in Argentina, hanno anch'esse proprietà medicinali. Il potenziale farmaceutico delle piante del deserto, insomma, resta tutto da sfruttare.

Ma l'utilizzo del deserto come terreno d'addestramento militare, carcere o campo profughi danneggia il deserto, la costruzione di strade, l'inquinamento, il turismo e la caccia minacciano la fauna e numerose specie del deserto sono in via di estinzione o in rapida diminuzione. Esiste quindi un'evidente necessità di “fermare il deserto” per evitare che attuali terre fertili perdano le loro qualità, ma anche la necessità di proteggere e rispettare quello che è un ecosistema delicato e prezioso.

La desertificazione non può essere fermata semplicemente alzando una muraglia, ma invertendo le tendenze e modificando lo sfruttamento del suolo e la sua fertilità. Purtroppo non è un'impresa facile. Da anni la Cina ha intrapreso una politica in questo senso e ha realizzato dei progetti pilota, ma Lester Brown, dirigente dell' Earth Policy Institute di Washington afferma che, anche se l’avanzamento in Cina è rallentato, il deserto continua comunque a mangiare ogni anno migliaia di chilometri quadrati di terreno. Negli ultimi tre anni le tempeste di sabbia si sono intensificate fino a raggiungere la Corea ed il Giappone. I dati ufficiali ammettono che ''il tasso di desertificazione è oggi di tremila chilometri all'anno'', un miglioramento rispetto alla media annuale che negli anni precedenti raggiungeva i diecimila chilometri.

La Cina sta costruendo, attraverso la semina, una ''grande muraglia verde'' di nuovi alberi che, secondo i piani, dovrebbe arrivare ad essere lunga 5.700 chilometri. Questa muraglia costituirà una sorta di barriera intorno al deserto del Gobi che occupa la sezione centro-settentrionale del paese. Un ulteriore progetto destinato a contenere gli effetti della desertificazione si chiama South North Water Diversion. Partendo dalla considerazione che la parte meridionale subtropicale del paese ha un eccesso d'acqua, mentre quella settentrionale soffre di una cronica aridità, l'idea è quella di trasportare le risorse idriche da una zona all'altra attraverso la costruzione di tre gruppi di canali e di dighe che, partendo da diversi punti dello Yangtze, porteranno l’acqua dove occorre.

Progetti del genere però sono molto complessi e spesso non garantiscono i risultati. L'ecologista Lester Brown, per esempio, ritiene che il progetto cinese sia impraticabile, e pensa che la Cina dovrebbe partire da una più efficiente gestione delle risorse idriche esistenti. La soluzione, aggiunge, sta nella ricerca di un “modello di sviluppo” che non sia quello occidentale, basato «su carburante fossile, centrato sull'automobile e sull'economia dello spreco». Se non si cambia il modello di sviluppo i processi di difesa dalla desertificazione non funzioneranno nemmeno in India e in altri paesi in via di sviluppo.

Ecco che quindi che per fermare il deserto occorre ripensare al modello di sviluppo, il che non è facile, specialmente per i paesi sottosviluppati. Solo se le economie sviluppate focalizzeranno l’attenzione sulle peculiarità delle aree desertiche e sulla loro possibilità di risolvere problemi attualmente sul tappeto, come il problema energetico e la dipendenza dai combustibili fossili, forse si potrà invertire il processo di desertificazione. Bisognerà che investano però su questi territori non solo per le proprie necessità dirette, ma soprattutto per il riequilibrio della fertilità del terreno.

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