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 Anno II n° 12 del 22/06/2006    -   TERZA PAGINA



La Cina è vicina: 'speriamo invece resti lontana'
Diario semiserio di alcune autentiche avventure Cinesi – Seconda parte
Di Roberto Filippini Fantoni


Quindici giorni or sono eravamo rimasti su di uno scassatissimo pulmino e in viaggio per Pechino dopo lo spaventoso incidente in autostrada.

Giungemmo a Pechino alle undici e mezza e fummo scaricati alla prima fermata di autobus con i nostri bagagli. Non sapevamo dove fossimo ma ci considerammo fortunati per aver risolto il problema in così breve tempo: l’uomo è sempre capace di adattarsi alle situazioni e di accontentarsi di poco quando le ha passate più brutte.
Chiu prese un taxi e noi un altro. Dopo un po’ ci accorgemmo di essere in un punto di Pechino diametralmente opposto a quello dove abitava Stefano, ma l’autista per guadagnare di più invece di fare un taglio in mezzo alla città prese la circonvallazione più larga e, nonostante l’ora tarda, ci vollero quasi quaranta minuti per giungere a casa.........la nostra, la chiave ricorda che è sempre lì, lì sulla finestra........; scusate ma cominciavamo a delirare per il freddo ai piedi dato che nemmeno il pulmino (quelli scassatissimi da 1 rmb) era scaldato. Io cantavo canzoni di Battisti e con Stefano riesumammo tutta la nostra scienza su De André, Gaber, Brel, Brassens e altri cantautori impegnati di tempi remoti, alcuni ormai già stanchi di essere cadaveri.

Arrivammo in albergo digiuni e poiché a mezzodì non avevamo mangiato granché in un ristorante cinese, avevamo una discreta fame. Naturalmente il ristorante stava chiudendo e Stefano si rifugiò a casa propria accontentandosi di un gelato (spero non si sia mangiato i propri piedi o che prima almeno l’abbia un po’ scaldato quel gelato). Io filai verso il mio albergo con un taxi (per fortuna era vicino) e mi feci portare una frittata, l’unica cosa decente del menù del room service, dimenticandomi che l’uovo è pesante da digerire. Mi rotolai ovviamente tutta notte: si fa per dire perché andato a letto all’una e con sveglia prevista per le 6, la notte era già di per sé corta assai. Alle tre e mezza, disperato, ricorsi a una salutare Citrosodina e dopo mezz’ora riuscii a prendere sonno ma feci strani incubi.

Ho sempre avuto uno schifo magno dei topi e nei miei incubi me li ritrovavo spesso e così essendo in Cina non potevo che avere un cauchemar (nightmare per gli anglofoni, pesadelo per i brasiliani, incubo per noi italiani)) a base di topi ricordando l’avventura avuta a maggio in quel di Pingdingshan, avventura che vi voglio raccontare.

Aprendo la parentesi vorrei cominciare col dire, per chi non lo sapesse (e penso siano in molti tra i lettori!), che Pingdingshan è uno schifosissimo posto in mezzo alla Cina, sporchissimo, dove al centro della città passa un fiume che praticamente è un’efficientissima fogna a cielo aperto, talmente fogna che l’acqua è nera come il carbone e sotto i ponti vedi passare proprio di tutto: per non schifarvi troppo lascio alla vostra immaginazione pensare cosa intendo con quel “di tutto”.
Naturalmente il nostro albergo è localizzato proprio sulle rive di quella latrina ed è pure un po’ vecchiotto. Ennio ci aveva avvertito del fatto che non fosse un bell'albergo ma per noi “esperti” di Cina la cosa non era poi così scioccante. Un altro italiano del gruppo di tecnici ci racconta di come in passato, proprio in quel posto, accortosi che da un buco sotto la vasca da bagno entrava sempre un topo, aveva deciso di tenerselo buono nutrendolo a biscottini, che buttava vicino al buco alla sera prima di andare a letto. Nonostante questa generosa razione sentiva lo stesso il topo grattare sulla porta per tentare di passare dal cesso alla camera.

Notizie non certo confortanti ma.... siamo uomini o donnicciole?

Giunti in albergo ci accorgiamo che la moquette in camera è piena di macchie nere e sospettiamo si tratti dei “segni” (......... per non dire altro) del passaggio di roditori di specie ignota ma che con quella fogna vicina non era facile riconoscere come “ratto norvegese” o "ratto delle chiaviche" o “pantegana”: chiamalo come vuoi ma sempre di schifosissimo essere trattasi e la leptospirosi è sempre in agguato!

Stanco com’ero del viaggio e data l’ora tarda non mi do troppi pensieri e, dopo aver controllato se ci fossero buchi per la stanza o in bagno, mi addormento subito. Dopo un paio di ore vengo svegliato da alcuni rumori provenienti da dietro quei prismi di legno che usualmente coprono il riscaldamento sotto le finestre degli alberghi cinesi. Mi fermo ad ascoltare meglio e sembrano topi che passano per l’intercapedine dietro il baldacchino di legno. Non mi preoccupo più di tanto fino a che non sento due o tre nitidi squittii. Accendo la luce a guardo in direzione della finestra e, orrore, scopro che il baldacchino è spostato da una parte lasciando intravedere uno squarcio nel muro che andava da terra fino alla finestra e nel quale si vedevano chiaramente passare i tubi del riscaldamento. Su uno di questi spuntavano due occhietti vivaci su di una testina di topo: non vedo il corpo ma dalle dimensioni della testa non c’è da star allegri. Il bello è che il topastro se ne frega assolutamente della luce che ho acceso e rimanendo immobile mi fissa con quei suoi occhietti furbi: se non fosse per il mio atavico schifo verso i topi sarebbe stato bello farci una conversazione. Non conoscendo il linguaggio dei roditori cinesi non so comunque come me la sarei cavata. Passa quasi un minuto di fissi sguardi reciproci finché mi decido ad afferrare la sedia vicino al letto e a tirarla in direzione del topo che, finalmente, decide che non è più tempo di tenerezze e fugge lungo il tubo. Ho il tempo di vedere tutto il corpo e la coda sfilare lungo la tubatura e di apprezzarlo in tutta la sua possanza: mi irrigidisco come un baccalà e non riesco neppure più a connettere!

La Cina è troppo vicina: meglio che rimanga il più lontano possibile! Dopo un po’ di tempo cerco di mettere insieme le idee, mi alzo e decido di andare a chiamare qualcuno del servizio per chiedere, che so io, di cambiare magari camera.
A quell’ora di notte c’era in corridoio una ragazza che dormiva pacificamente su un lettino di fortuna.
La sveglio e naturalmente non riesco a spiegarle nulla perché non capisce una parola di inglese. Allora la prendo per un braccio e me la trascino in camera, senza nemmeno rendermi conto che posso rischiare di essere accusato di tentativo di violenza carnale.
A gesti le faccio capire che dietro quel catafalco di legno passano topi a volontà: quella capisce ma allarga le braccia come per dirmi “... allora cosa c’è di strano?...”.
Le chiedo “Usual?” Lei capisce e risponde “Usual!”. Mi cadono le braccia, la lascio andar via e me ne torno a letto, lasciando la luce accesa per scoraggiarli a entrare in camera, e con l’orecchio teso a sentirli passare.

Deve esserci stata in giro una festa “topaiola” perché ne passavano a iosa e facendo anche gran casino quando cadevano dal tubo e finivano sul baldacchino facendo sentire le unghie che scivolavano grattando sul legno.
Mi viene subito alla mente la prima lunga permanenza in Cina a Yantai quando il nostro capo, che mangiava solo mele e pesce cotto a vapore, vedendomi mangiare dei “ravioli” cinesi mi disse che lui non osava farlo perché “ ....chi sa cosa ci mettevano dentro nel ripieno...” e mi parlava di qualcuno che ci aveva trovato unghie di topo.
Allora rimasi schifato e sembrava un’esagerazione ma dai successivi racconti dei nostri colleghi che hanno trovato topi vivi aprendo i cassetti delle posate o gli armadi con le stoviglie non la considero più un'eventualità così impossibile.

Tornando a quella notte, verso le tre, vinto dalla stanchezza prendo sonno, saltando per aria alle quattro quando odo rumori di picconate provenienti da lì vicino. Riprendevano i lavori di demolizione di una casa a fianco dell’albergo. Le invettive che ho cominciato a tirare ai cinesi e a tutta la loro razza maledetta si sono sprecate ma........ quel casino fu la nostra fortuna!

Il mattino alle otto ci ritroviamo nella hall tutti con le occhiaie perché nessuno aveva potuto più dormire per colpa di quei lavori. Un’occhiata alle macerie della casa quasi rasa al suolo e così capisco che il via vai dei topastri non era dovuto alla festa di cui sopra ma semplicemente al fatto che li avevano sloggiati dalle fondamenta della casa in demolizione e avevano trovato rifugio in albergo: vita serena, tanto cibo .... una pacchia insomma!

Proteste vivaci per i rumori che non ci avevano lasciato dormire e così la delegazione di Pingdingshan decide di cambiarci albergo e veniamo immantinente traslocati in un altro hotel, sempre vicino al fiume ma, essendo nuovo, con meno probabilità di farsi trovare a colloquiare di notte con ratti d’ogni specie.

La Cina è troppo vicina: meglio che rimanga il più lontano possibile!


Tornando ai miei incubi di Pechino, riuscii finalmente a dormire tranquillo per un paio d’ore, maledicendo poi la sveglia che alle sei mi tirò giù dal letto. I bagagli non li avevo nemmeno disfatti e così, dopo una sciacquata e una rasatura, saldai il conto, presi un taxi e, felice di aver risolto brillantemente e senza troppi danni, salvo il freddo patito, l’avventura del giorno precedente, mi avviai all’aeroporto.

Salimmo sull’aereo in orario, un quarto d’ora prima dell’ora prevista per il decollo, e restammo in attesa. Visto che le operazioni di imbarco si protraevano un poco, stanco per la nottata precedente, appoggiai il cuscino alla parete dell’aereo e mi addormentai di botto. Mi svegliai a seguito di un annuncio all’altoparlante e a un successivo schiamazzo di un cinese che pareva avercela con tutti: mi accorsi che erano le 9.40 e che eravamo ancora lì a terra. Dopo un po’ riuscii a connettere e capii che c’era un motore in panne e dovevamo andarcene in attesa di ulteriori istruzioni. La sfiga mi perseguitava!

Guardai il calendario per vedere se, essendo venerdì, non fosse magari il 17, ma era solo il 13 (che sia sfortunato anche venerdì 13?). Mi ricordai di un detto di mia madre:”......di venere e di marte né ci si sposa, né si parte....”: per il primo affare non avevo problemi perché con già due matrimoni alle spalle la probabilità del terzo era molto remota: per il secondo mi ricordavo di aver viaggiato molte volte di venerdì senza problemi, per cui la ragione non doveva essere quella. Probabilmente era il mio bimestre di sfiga totale. Era infatti iniziato il primo novembre con la caduta dal letto di mio padre, accentuata dalla sua morte la sera stessa e continuata con la rottura del crociato a metà dello stesso mese. Sono sempre stato fatalista per cui mi rassegnai presto e seguii mestamente il corteo dei passeggeri dirottato verso la sala transiti.

Un gruppo di cinesi che evidentemente aveva una coincidenza a Shanghai cominciava a fare un casino boia con tutto lo staff dell’aeroporto ma non ci badai troppo e cercai solo di aggregarmi a un gruppo di europei, capitanati da un giovane che parlava benissimo cinese e ci teneva informato dell’evolversi della situazione. Io, tranquillo, mi appartai a leggere, lasciando detto di chiamarmi appena si fosse saputo qualcosa di preciso (alcune voci davano per probabile il prossimo volo alle 11.30). Poco prima delle undici alzai la testa dal libro e vidi il gruppo di cinesi contestatori che un po’ alla volta veniva diretto verso una porta d’imbarco mentre gli europei erano ancora là a chiacchierare tranquillamente. Insospettito andai al banco a chiedere informazioni e mi dissero che per Shanghai c’era l’imbarco proprio alla porta dove si dirigevano i cinesi. Avvisai gli “incoscienti “ europei che si affrettarono a raggiungermi e subito venimmo imbarcati: per fortuna non mi ero fidato di quei tizi altrimenti sarei ancora là ad aspettare l’imbarco.

Volo O.K. (meno male!) e grandi scuse con il povero professor Tang e lo studente Zhu che erano rimasti cinque ore all’aeroporto ad aspettarmi.
Venerdì e sabato lavoro intenso all’università con un computer che non voleva assolutamente adattarsi al file che avevo portato dall’Italia e che ovviamente non riuscimmo ad utilizzare. Mettemmo giù i piani perché si organizzassero al più presto per poter sfruttare i dischetti in arrivo dall’Italia via DHL. Sì perché mi ero dimenticato di dire che partendo dall’Italia, avendo tirato fuori dalla pilotina i due dischetti che avevo preparato, in attesa di una telefonata che mai giunse, me ne andai via lasciando i dischetti sulla mensola dello studio. Ho dovuto far correre mia moglie per farmeli spedire via DHL con la speranza che arrivassero a Shanghai venerdì, speranza andata delusa, ma poi non più necessaria non essendo riusciti a settare il computer in modo da poterli utilizzare.

Domenica visita ad una fabbrica vicino a Shanghai e viaggio di due ore e mezza per andare e altrettante per tornare con ancora addosso la paura per il crash di giovedì.

Durante il viaggio le pensai tutte e sono giunto alle seguenti conclusioni.
La riga continua in Cina è assai frequente, anche nei tratti rettilinei, ma lo scopo per cui è stata messa non è perché qualcuno la rispetti, anzi pare addirittura che serva al contrario ad indicare di non tornare più sulla destra dopo i sorpassi ma continuare a rimanere sulla sinistra facendo spostare quelli che arrivano regolari nell’altro senso. Oppure la “continua” è così frequente perché almeno si possono far lavorare più persone a tracciarla e si dà lavoro a questi cinesi che essendo così tanti non si sa mai come impiegarli.

Sulle strade a due corsie per ogni senso di marcia, essendo la corsia a destra piena di ciclisti e motociclisti e dovendo continuare a fare zig-zag per evitarli, i camion e i bus rimangono tranquilli sulla corsia di sinistra e così le auto per superarli devono passare sulla destra nei tratti in cui i ciclisti non ci sono: essendo questi tratti liberi molto pochi ecco che nei sorpassi a destra si sclacsona a tutto spiano per far spostare i ciclisti che qualche volta debordano e finiscono nei fossi laterali.

Il potere degli automobilisti è enorme in quanto si sentono realmente dei privilegiati solo perché hanno in mano una macchina e così la polizia, che si sente in soggezione, non li ferma mai. Anzi più se ne tirano sotto e più facilmente riusciranno a risolvere il problema demografico così pesante in Cina: qui la vita ha realmente poco valore se un conoscente di Taiwan mi ha detto che lui non guida perché il rischio di travolgere al buio biciclette, regolarmente senza né fari né gemma, è altissimo e per gli “stranieri” c’è un’ammenda molto più salata in caso di ferimento o morte del ciclista. Pertanto fanno guidare autisti cinesi che in caso di incidente mortale se la cavano con molto meno. Anche la morte ha un prezzo diverso per nazionalità!

Tutto ciò mi porta a concludere facilmente che è più rischioso viaggiare in auto in Cina che non in aereo, cosa che d’ora in avanti terrò ben presente!

La Cina è troppo vicina: meglio che rimanga il più lontano possibile!


Per il momento il diario di queste mie avventure cinesi si chiude qui anche se ne avrei molte altre da raccontare, anche più strane e preoccupanti, come quando mi rubarono passaporto, bagagli e computer e il giorno dopo dovevo assolutamente tornare in Italia. Ma rimando tutto più avanti quando i lettori che avranno avuto il coraggio di arrivare in fondo a questi due piccoli “romanzi di viaggio” si saranno disintossicati.

            Un viaggiatore “fortunato”



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