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 Anno II n° 15 del 07/09/2006    -   LENTE DI INGRADIMENTO


Dalla nascita dello stato di Israele ad oggi
I fatti essenziali che hanno destabilizzato il medio oriente

Di G.G.


Sicuramente non si può capire il conflitto attuale se non si leggono gli errori e le leggerezza fatte al momento della nascita delle stato di Israele.

Tutto ha inizio il 2 novembre 1917 quando la Gran Bretagna ottiene dalla Società delle Nazioni il mandato sulla Palestina. L’area era considerata strategica per Canale di Suez, passaggio privilegiato dei commerci con l’Asia indiana e cinese. Con questa necessità internazionale nasce la Dichiarazione Balfour «il governo di Sua Maestà vede con favore l’instaurazione in Palestina di una costruzione nazionale del popolo ebraico».

Da quel momento ha inizio il progetto di una stato ebraico. Si individuano tutti i territori che abbiano una rilevanza religiosa e strategica. Nel 1922 la Gran Bretagna crea l’Emirato di Transgiordania (questo è il primo vero passo, l’individuazione dei territori), ma nel frattempo la presenza del petrolio e l’idea di dividere la Palestina in due stati fa crescere la tensione fra l’etnia ebraica e quella palestinese.

La più importante proposta di spartizione è quella scaturita dalla Commissione Peel che divide la Palestina in uno Stato arabo e in uno Stato ebraico diviso in due dall’enclave di Gerusalemme; questa rimarrebbe sotto l’autorità britannica, ma il piano è rifiutato sia dagli ebrei che dai palestinesi.

La tragedia dell’Olocausto, dopo la seconda guerra mondiale convince il mondo occidentale della necessità di creare uno stato ebraico, anche forse per fare ammenda di possibili accuse, ma sul territorio palestinese le divergenze tra ebrei e mussulmani aumentano. La Gran Bretagna sottopone il problema alle Nazioni Unite e annuncia il ritiro unilaterale per il maggio 1948.
L’Onu predispone un piano di spartizione con i due Stati divisi in più zone e Gerusalemme sotto il controllo internazionale.
Il piano è rifiutato dagli arabi, ma incontra l’approvazione di Ben-Gurion. Si arriva così alla proclamazione ufficiale dell’indipendenza di Israele fatta il 14 maggio 1948 da David Ben-Gurion alla vigilia del ritiro delle truppe britanniche.
Il giorno dopo, il 15 maggio Libano, Siria, Iraq, Transgiordania ed Egitto invadono il neonato Stato israeliano assediando le truppe ebraiche nella zona costiera di Tel Aviv.

Ma gli Israeliani sanno rispondere e nell’agosto lanciano un’offensiva che sbaraglia le truppe arabe. Nel gennaio 1949 tutti gli Stati arabi chiedono l’armistizio e così lo Stato ebraico assume quella dimensione territoriale che oggi conosciamo. il fatto più grave è che lo Stato arabo-palestinese previsto dall’Onu non nasce: Gerusalemme resta divisa tra Ebrei e Palestinesi anziché essere unita come città internazionale.

L’ Stato d’Israele si configura quindi verso l’etnia Palestinese come uno stato occupante e la situazione già esistente prima di conflitto teso, non può che sfociare in un'intolleranza che crescerà sempre più nel tempo.

Dopo la guerra del giugno 1967, la cosiddetta guerra dei Sei giorni, oltre all’occupazione di Gaza, del Sina delle alture del Golan e della Cisgiordania, Israele occupa Gerusalemme Est che viene annesso. In questo modo i palestinesi si trovano occupata la città che riconoscono come propria capitale. Il conflitto a questo punto diventa difficile da contenere.
Gli attentati diventano sempre più pesanti e nel 1973 un’altra guerra quella del Kippur. Sconvolge l’area. Ancora una volta in guerra Israele ha il sopravento.

Nel 1978 Egitto, Israele e Stati Uniti sottoscrivono gli accordi di Camp David. Nel marzo del 1978 Israele invade una prima volta il Sud del Libano. E lo invaderà nuovamente nel 1982. da qui si ritirerà sono nel 2000.

Dalla guerra dei Sei giorni la posizione palestinese si è radicalizzata nel rifiuto a riconoscere lo stato Israeliano ed èemerso un nazionalismo palestinese, non più solo arabo-musulmano. La situazione è aggravata dagli insediamenti dei coloni Israeliani che vanno ad occupare il territorio palestinese, anche se questo non è ufficialmente annesso allo stato. Anche questo è un passo che sicuramente ha acuito la rottura rendendola difficilmente colmabile; si è visto come sia stato difficile far rientrare i coloni dai territori da loro occupati, ritiro che comunque non ha ridotto l’insofferenza dei palestinesi verso gli ebrei che a tutti gli effetti vengono visti come invasori.

L’Intifada, la ribellione dei palestinesi contro lo Stato israeliano, inizia nel dicembre del 1987. Anche se nel dicembre 1988 il leader palestinese Yasser Arafat, su pressione del presidente americano Ronald Reagan, condanna il terrorismo e riconosce Israele, questo non basta per fermare un sentimento profondamente radicato.

Alla fine degli anni ’80 alcuni fatti mondiali alterano l’equilibrio instabile del medio oriente: nel 1989 la caduta dell’impero russo (che era il sostenitore degli interessi Arabi) e nel 1991 la prima guerra del golfo.
L’intervento di una coalizione guidata dagli Stati Uniti in difesa del Kuwait e degli altri emirati arabi, ricchi di petrolio, trova l’appoggio di molti paesi Arabi, invece, il leader palestinese Arafat sceglie di stare con Saddam Hussein. Questa guerra comunque spinge un'ulteriore radicalizzazione di molti ambienti arabi verso la posizione antiamericana.

La Guerra nel Golfo e la caduta dell’impero russo mettono in evidenza la necessità di trovare una soluzione alla situazione palestinese; la diplomazia statunitense si muove e nell’ottobre del 1991 inizia la Conferenza di pace di Madrid con i negoziati di Siria e Giordania con Israele.
Un altro fatto cambia ancora la realtà ponendo le basi per una svolta positiva: nel 1992 i laburisti di Yitzhak Rabin vincono le elezioni in Israele e propongono per la prima volta un piano di ripartizione territoriale rivolto non agli Stati arabi, ma al popolo palestinese.

Il nazionalista Ariel Sharon, ex capo di Stato maggiore ed ex ministro della Difesa, presenta un proprio piano in contrapposizione al piano Rabin e confrontando i due piani si possono vedere le differenze ideologiche che sottendono alle due posizioni. Nel piano Rabin vi è una zona di completa autonomia per i palestinesi, e delle zone “cuscinetto di sicurezza” che devono essere gestite in comune. Vi è quindi un rispetto della sovranità del popolo palestinese, nel piano Sharon si ricalcano invece i piani precedenti e vi sono solo piccole zone di autonomia, zone scollegate fra loro e con difficoltà di approvvigionamento dell’acqua e senza collegamento con la Giordania.

Nel gennaio 1993, per la prima volta, cominciano a Oslo negoziati segreti tra gli israeliani e l’Olp di Arafat e portano alla firma della Dichiarazione di principi di Washington il 13 settembre dello stesso anno.
In questa Dichiarazione Israele fa alcuni passi fondamentali: il primo è il riconoscimento dell’OLP, e poi la concessione di un'autonomia, seppure limitata, ai palestinesi.
Si inaugura la politica della pace a piccoli passi. Le decisioni sulle questioni più controverse vengono rinviate. Così si giunge al 4 maggio 1994, quando israeliani e palestinesi firmano al Cairo un accordo successivo e più importante: gli israeliani si ritirano il 60% dalla Striscia di Gaza e dalla città di Gerico e nasce così l’Autorità nazionale palestinese.
Il primo luglio Arafat, leader della nuova Autorità fa il suo ingresso trionfale a Gaza.

In un nuovo accordo, firmato il 28 settembre a Wowshinton da Arafat e Rabin, viene definito che nuove aree e la Cisgiordania passano sotto il controllo palestinese. Il territorio viene suddiviso in tre tipi di zone che tengono conto della diversa concentrazione delle etnie. Vi sono zone a totale controllo palestinese (le città arabe), quelle a controllo misto israeliano-palestinese e quelle a controllo israeliano.
Infine il 26 ottobre Israele e Giordania firmano il trattato di pace.

Il 4 novembre Rabin viene assassinato e questo cambia completamente il futuro.

Il suo successore Binyamin Netanyahu, che vince le elezioni israeliane nel maggio del 1996, rende più difficile il processo di pace avviato in modo così promettente.
Il processo prosegue, ma è affiancato anche da azioni che mostrano la mancanza di volontà a dare un assetto stabile alla Autorità palestinese come la costruzione del complesso ebraico di Har Homa a Gerusalemme Est iniziato nel 1997.

I passi del ritiro possono essere così sintetizzati:

  • gennaio 1997 Israele lascia l’80% della città di Hebron al controllo dell’Autorità palestinese
  • gennaio 1999 Netanyahu e Arafat firmano gli accordi di Wye Plantation che prevedono un ulteriore ritiro delle truppe israeliane dalla Cisgiordania.

Questo accordo trova difficoltà a essere realizzato, ma alla fine, seppure gradualmente, viene realizzato.
Il risultato è che le aree sotto controllo totale palestinese e misto israeliano-palestinese arrivano al 42% della Cisgiordania (13% zona palestinese, 26% zona mista, 3% riserva naturale).

A maggio del 1999 in Israele Ehud Barak vince le elezioni. L’8 novembre cominciano le trattative tra Israele e palestinesi per lo status finale.
Vi sono anche trattative con la Siria, ma tutto si arena e non produce risultati, anche se si deve registrare che per la prima volta un premier israeliano accetta di mettere in discussione il controllo di Israele sulla totalità di Gerusalemme. Cosi si conclude il periodo di Barak.

Nel corso della campagna elettorale agli inizi del 2001, Sharon ripropone un piano già avanzato nei mesi precedenti: il futuro Stato Palestinese comprenderebbe Gaza e il 42% della Cisgiordania già ceduto senza ulteriori concessioni. L’ascesa al potere di Sharon fa retrocedere i passi sviluppati da Rabin verso la pace e solo rallentati dai suoi successori.

La sua azione inizia con la improvvida visita alla spianata delle moschee di Gerusalemme che gli ha valso la vittoria alle elezioni del 2001 aggregando sulla sua persona tutti i voti degli estremisti, dei coloni e di chi si sentiva in pericolo da una politica di compromesso. Ma che ha sicuramente messo in allarme tutti i palestinesi, dagli estremisti ai moderati, e che ha praticamente scatenato la seconda “intifada”. La sua azione si sviluppa alla luce del “dopo 11 settembre”, quindi con l’appoggio del radicalismo di Bush figlio.

Un'azione in particolare è stata perniciosa: quella di confinare Yasser Arafat a Ramallah, dove è morto nel 2004. Questo ha sminuito la lidership di Arafat e di “Al Fatah” consegnando il potere all’estrema oltranzista filo iraniana di Hamas. Inoltre non ha tenuto conto della presenza degli Hizbullah del Libano che sempre di più trovano consensi ed appoggio nella popolazione non solo islamica sciita.

Dopo la sua rielezione nel 2003 ha dato il via alla costruzione della barriera difensiva al confine con la Cisgiordania con l’intenzione di ridurre al minimo gli attentati suicidi, ma questa operazione non ha sortito l’effetto di dare sicurezza a Gerusalemme ed ha ulteriormente esasperato gli animi di una popolazione sostanzialmente povera come quella palestinese e che vive spesso sul lavoro svolto nelle imprese ebree.

Nel 2004 cambia registro e annuncia l’intenzione di lasciare Gaza, creando così una resistenza forte nell’ambito dei coloni, ma senza ottenere considerazione e fiducia negli ambienti palestinesi.

La fondazione del nuovo partito Kadima, non sembra per ora aver migliorato la possibilità di pace e l’attuale guerra nel libano ne è la lampante dimostrazione.



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