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Honorato


Di Testa Rossa

Merletti intrecciati a mano come una melodia secolare da ricomporre con dovizia e fedeltà. Perle di sabbia fusa e colorata, amalgamata in vetro liquido nei colori che porta il mare: rosso, della porpora; turchese, delle pietre tinte di cielo; giallo d’ocra ravvivato con pagliuzze d’oro; e lo stesso verde del velluto, e l’arancio del tramonto che arroventa l’orizzonte, e la trasparenza pura delle perle più perfette, specchi che riflettono il mondo guardandovi attraverso.

Stoffe di Cina, seta sottile e fredda che, appena svestita, esala in fretta il calore di chi l’ha indossata; e pellicce delle steppe a Nord, piume del Mondo Nuovo, penne d’oca che nelle banche delle Province Unite hanno firmato un lasciapassare perché tutta la magnificenza dell’oro si riversasse a rivestire questi miei patrizi.

Venezia ti mette radice nel cuore e lo lascia aperto alle spire del mare fino alla morte.

Venezia ti battezza prima suo e dopo, solo dopo, nel nome di Santa Madre Chiesa.

Venezia t’insegna che devi fedeltà a un unico padre, doge tuo, e gli sarai fedele in qualsiasi luogo tu possa finire.

Venezia è una despota signora vanesia affamata di lodi, e io, in fondo, non ho cuore che per una dama alla volta. Un solo cuore, una sola dama; l’ho sposata dando il mio pegno al mare, che affondasse a sollevare questa laguna; non era un anello, non è ancora il mio corpo. La torre dell’Orologio è l’unica che può contare il mio tempo.

Caspare, a prora, sfiora il fondale con il remo e conduce. Muove il legno nella forcola come lo muoverebbe in un’amante intoccata, appoggiandosi appena per indicare la via; e la gondola, ondeggiando il bagnato scafo, scivola nel canale.

Lo sciabordio è il rumore del tuo cuore che batte. La vita entra ed esce in continuazione, e rintocca a ogni attimo concesso. In mare il tempo non viene contato, ma scivola. Caspare indaga il fondale nel canale buio, a occhi chiusi, la corona di candele brillante a prua guida me, non lui. Illumina l’acqua nera della notte, la fiamma si riflette sul manto e si frammenta – l’acqua vince sul fuoco – Caspare sussurra parole di conforto all’infreddolita gondola, rilassa le spalle curve, inchina il collo forte e apre le labbra scure e sottili.

“Di quel che avete fatto, Honorato, avete più che la mia gratitudine.”

La voce di Caspare biascica veloci tenui suoni. I suoni dello sciabordio.

La mia si è inferocita nella troppa degenza a terra. Senza gondole come guanciale di riflessione, senza vetri in cui specchiare il mondo, senza merletti a racchiuderne le piccole forme. Senza Venezia. La mia è la voce di chi ha perso il suono del primo sangue versato: quello della madre che lo ha partorito.

“Non posso avere più della tua gratitudine, Caspare.”

“Avete la mia fedeltà. Sapete cosa intendo.”

“Non avrò la tua fedeltà. Non ho la mia stessa. Resta fedele al remo e avrai dato tutto ciò che puoi darmi.”

“Quel che vorrete, Honorato.”

Argomenti:   #racconto ,        #venezia



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