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 Anno II n° 17 OTTOBRE 2006    -   TERZA PAGINA



Un gradino della mia vita

Di Annamaria Gengaro


Quando il dolore mi entra nella mente, occupandola fino all'ultimo neurone, chiudo le porte della mia vita, che continua indifferente, con sorrisi che non coinvolgono gli occhi, parole che non vengono dal cuore, azioni meccaniche di pura sopravvivenza, solo la fonte del turbamento scatena sentimenti ed urla silenziose.

Il tempo, solo il tempo mi permette di metabolizzare la realtà vissuta, e, lentamente, riaprire qualche porta, per riportare alla luce l'ennesimo gradino della mia crescita, tradurlo prima in suoni e poi in parole scritte, e liberare la mente per continuare il cammino, un po' più curva ed un po' più stanca, ma più ricca della saggezza dell'età, che, anno dopo anno, punta dritto alla meta destinata.

E' nel mio essere vivere con intensità ogni momento, e i rapporti umani, pur anche solo passeggeri, hanno per me un valore aggiunto, come lo hanno i principi fondamentali della mia esistenza, come la correttezza, l'onestà e la sincerità a qualsiasi costo, il rispetto per qualunque forma di vita, comprese quelle disprezzabili nel comune sentire. Ed è sempre nel mio carattere il credere che tutti siano come me, capaci di scegliere tra il bene ed il male, tra il giusto e lo scorretto, e dimentico, troppo spesso, che il mio lavoro mi porta più verso la delusione che verso il successo, perché vivo in un mondo di adolescenti, che pensano che tutto sia loro lecito, che nulla sia sbagliato, specialmente se comune, che ogni cosa sia loro dovuta, e nulla loro debbano agli altri.

In quest'ottica è normale "farsi le canne", magari comprandole a scuola dall'amico che le vende, e rientrare dopo l'intervallo rincretiniti peggio di prima. Sono convinti che le "canne" non diano dipendenza, come lo credono tanti miti del loro mondo, sportivo e musicale, le cui parole sono Vangelo, mentre quelle di quella povera idiota della prof. di chimica, che , a differenza dei succitati miti, ha una inutile laurea, con il massimo dei voti, non valgono una cicca.

Così, in un mattino qualsiasi, nell'atmosfera surreale di un corridoio deserto di una scuola, un ragazzo che conosci bene, passa tra due rappresentanti delle forze dell'ordine, che gli hanno trovato parecchi grammi di "roba" nelle mutande, e sparisce dalla tua vita, gridandoti che sei tu che gliel'hai rovinata.

Con lui, altri ragazzi, la testa bassa per non incontrare il tuo sguardo, l'aspetto svuotato dalla paura per le conseguenze immediate, più che per la consapevolezza dell'errore.

Del primo hai seguito la crescita, hai giocato con il suo modo di fare impertinente, hai usato tempo e parole per imporgli un cammino retto, come il suo sguardo privo di timore, anche quando lo sgridavi, ma nei suoi occhi neri mai hai visto la sfida, mai hai immaginato l'arroganza della dipendenza, ed ogni discussione è finita con un patto verso l'atteggiamento più positivo, ed ora si scopre che era una menzogna per "tirarsi fuori".

Gli altri accettano le colpe minori, non sanno spiegare le loro scelte, alcuni mentono spudoratamente per minimizzare le loro responsabilità. Ma io conosco o intuisco la verità, perché l'azione è frutto di un lungo lavoro.

Ed ora, per proteggere gli altri è necessario trovare il filo della giustizia, e non farlo arrotolare con quello della pietà, per non farlo diventare debolezza, né con quello della rabbia, per non farlo divenir vendetta.

Non avrei mai voluto conoscere lo sguardo ferito o quello colpevole delle madri, non avrei voluto sentire le parole di scarico della responsabilità sull'istituzione, nel tentativo di diminuire il peso del loro dolore, non avrei mai voluto cercare la corda che unisce le due realtà di educatori, per trovare il bandolo di una matassa di sentimenti duri e pesanti come il granito.

Per colmare la misura è nata anche una polemica perché il nome della scuola era stato lordato, polemica che ha fatto riaffiorare vecchi rancori e rivalse tra ordini di scuole, che erano sopiti, ed è dovuta ricominciare la sottile diplomazia, prioritariamente per smorzare i toni, poi per calmare gli animi, con la visione della realtà dal punto di vista più corretto.

Al termine di tutto, ho trovato solo la certezza del dubbio, quello che le tante bugie hanno fatto radicare : ricominceranno? Avranno creduto finalmente nelle mie competenze? Saranno ancora capaci di mentire a se stessi prima che agli altri?

Unica certezza, in tutto questo fatto, è stata che il mondo intorno a loro era egoisticamente più preoccupato per la macchia sulla cravatta, che per la vita disprezzata di un pugno di adolescenti, rappresentanza di un mondo che non è ormai più sommerso, perché oggi, per i giovani, è peggio essere "froci" che farsi di cannabis o di coca, e troppo spesso, questo è vero anche per le loro famiglie, ed indifferente per la società.



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