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 Anno II n° 18 NOVEMBRE 2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Parigi preoccupa ancora
Il fenomeno delle banlieues e il ‘68
Difficile affermare la continuità dei movimenti di protesta, il confronto mostra le sostanziali differenze
Di Giacomo Nigro


L'ampiezza delle rivolte dei giovani delle banlieues francesi scoppiate nell’ottobre 2005 ha di fatto trasformato quella fiammata di violenze in un fatto storico. La storia non si ripete e ogni fatto o crisi importante è singolare.

Gli avvenimenti del ‘68 furono evento singolare: un attacco frontale contro l'ordine stabilito da parte di strati sociali e di una generazione che, di fatto ben si avvalevano dello stesso ordine, in realtà volevano altro, di più. Parigi era il centro di una gioiosa rivolta studentesca che predicava l’amore libero. I giovani filosofi-ribelli chiedevano di poter vivere i propri sogni.

Ai nostri giorni la situazione è completamente diversa. Il movimento in corso è alimentato dagli strati più sfavoriti e da una generazione senza speranze. Tuttavia, c'è un carattere comune con il maggio ‘68: entrambi i movimenti non rientrano nelle categorie politiche razionali. Gli avvenimenti del 27 ottobre 2005 sfuggono all'analisi politica classica, nessun partito li ha sostenuti, si sono determinati all'esterno dei processi politici classici, così come i fiammeggianti accadimenti del maggio ‘68. Oggi come allora, i media e i politici non sembrano abbiano capito ciò che è successo.

Volendo individuare dei precedenti ai casseurs non si tratterà dei sollevamenti operai, né del ‘68, ma piuttosto nei movimenti di disperazione dei neri negli Usa negli anni ‘65-‘70 quello è il solo movimento precedente di autodistruzione, di protesta senza prospettive e senza speranza. Quartieri interi bruciati, distruggere per distruggere. Le forze sociali del movimento attuale sono senza prospettive, senza idee direttrici.

Le strutture più gravemente prese di mira sono quelle dell'ordine, dell'apparato della società: scuole, poste, trasporti, naturalmente la polizia e i commissariati, infine i simboli del consumo, i supermercati. Sarebbe però superficiale leggere questo movimento come rivolto contro le strutture di ordine e il consumo, perché sarebbe come voler individuare qualcosa che non esiste, una razionalità che non c'è.

Siamo all'affermazione individuale del soggetto che proprio a partire dalle lotte degli anni ‘60 ci hanno evidenziato l’individuo, il desiderio, l’emancipazione, la liberazione. Senza una prospettiva politica il tema del soggetto, finisce per diventare puro individualismo che porta al conflitto. Difatti ogni comunità forte impedisce al soggetto di costituirsi, quanto più essa è ripiegata su se stessa tanto più è portata a escludere le altre parti e a farsi violenta.

Le banlieues sono una forma di "premovimento" sociale sovente prodotto da azioni di decomposizione urbana, un fenomeno che ha a che fare con la fine della società industriale. Si tratta di una strana rivoluzione, in cui sono confluiti anche i giovani ribelli che, avversi al cosiddetto contratto di primo impiego (CPE), non combattono per il cambiamento, ma per difendere lo status quo. Essi vogliono gli stessi diritti di cui hanno goduto i loro genitori.

Tuttavia la rabbia dei manifestanti va al di là del contratto di primo impiego, ma è piuttosto originata dal fatto che essi vedono l’ideale repubblicano di libertà, fraternità ed uguaglianza trasformato in una menzogna. Secondo i giovani scesi in piazza, la Francia è un Paese dove le minoranze etniche non sono prese in considerazione, dove non c’è possibilità di fare un lavoro decente se hai un cognome non francese o se risiedi in un sobborgo dove vivono in maggioranza immigrati. In questi casi non importa quanti diplomi possiedi.

I rivoluzionari del ’68 si permisero il lusso di combattere per i loro sogni perché avevano case confortevoli a cui tornare ed un lavoro sicuro che li aspettava. “Il popolo del ‘68 aveva un sacco di sogni e di utopie noi dobbiamo confrontarci con la realtà. Noi non siamo una generazione ‘contro’, vogliamo solo costruire il nostro futuro, e vogliamo portare avanti le nostre idee” dicono i giovani del movimento.

Il movimento del 2006 è semplicemente - e potentemente - diventato quello del precariato in generale. I precari: quelli che lo sono stati e non vogliono tornare ad esserlo, quelli che lo sono e non sanno come uscirne, quelli che non lo sono ancora ma sanno che prima o poi toccherà anche a loro. Uomini e donne, giovanissimi e meno giovani, super-diplomati e non, liceali e insegnanti, operai e ricercatori, impiegati e disoccupati.

Molti giovani hanno affermato che il movimento anti CPE è diventato la bandiera di una “generazione spossessata”, stanca di una società guidata esclusivamente da un’elite, e nella quale molta gente non ha alcuno spazio. Molte università stanno chiedendo un’amnistia per coloro che parteciparono ai disordini nelle banlieues: “Stavano solo manifestando la loro esigenza di cambiare la società, non è giusto metterli in prigione”. Si ha l’impressione che la Francia sia seduta su un vulcano: “Questa società è terribilmente fragile. Quando mai avete assistito ad una cosa del genere? Un esercito europeo occidentale che prende il controllo di un’università e la isola dietro un muro di acciaio! Questo movimento non rappresenta solo la resistenza al cambiamento ed alla legge sul contratto di lavoro. E’ questa società che ha fallito”.

La squalifica politica dei ragazzi delle banlieues si è fatta a partire dalla loro pseudo estraneità al corpo sacro della Repubblica: sono stati chiamati “immigrati” come i loro padri o i loro nonni, mentre erano quasi tutti cittadini francesi da almeno due generazioni, denunciati, a secondo delle sfumature dell’ignobile, come racailles, selvaggi, casseurs, teppistelli, violenti, islamisti, ecc. Da una parte gli studenti universitari dall’altra i ragazzi delle banlieues, i figli di papà e i poveracci, in un cattivo remake dell’opposizione tra giovani borghesi e carabinieri proletari di pasoliniana memoria.

Per il ministro Villepin, il CPE, inizialmente pensato come contratto di primo impiego per ogni giovane di meno di 26 anni (in attesa di essere esteso a tutti) è improvvisamente diventato una filantropica misura per lottare contro la disoccupazione dei non-diplomati, vale a dire dei figli delle banlieues, meglio se di origine immigrata, e i manifestanti sono di conseguenza i peggiori reazionari una logica che è estremamente pericolosa per un paese non abituato a costruire politica dal basso. Come i più recenti avvenimenti ci dicono, i disordini delle banlieues non sono finiti, il fuoco cova sotto la cenere.



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