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 Anno II n° 18 NOVEMBRE 2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



A scuola di calcio con Gianfranco Zola e Gianni Mura
Per riscoprire la poesia di uno sport affascinante e complesso
Di Sara Giostra


Tristezza, delusione, rabbia sono i sentimenti diffusi oggi intorno al mondo del calcio. Come spesso abbiamo denunciato anche da queste pagine, scandali, doping e interessi economici hanno inevitabilmente sporcato uno sport che è nato per divertire ed appassionare.

E’ bello invece pensare che per una sera almeno il calcio è stato “ripulito” da tutto questo malessere. Ci hanno pensato Gianfranco Zola, numero dieci di Torres, Napoli, Cagliari, Parma, Chelsae ed ora consulente tecnico nazionale della Under 21, e Gianni Mura, giornalista, inviato speciale de “La Repubblica”, durante l’incontro “Parole di campo. Valore, personaggi e storie del pallone” tenutosi a Sassari il 26 ottobre scorso .

Il primo pensiero di Zola è una attenta riflessione su questo calcio malato che - precisa il campione - «sta vivendo un periodo di transizione, ma non bisogna dimenticare, anzi bisogna mantenere vivo nella memoria della gente quello che è accaduto. Questa estate abbiamo assistito ha un attacco pericoloso ai valori e ai principi dello sport. Lo scandalo in cui è precipitato il calcio ha minacciato la sua credibilità. Non è una cosa normale, ma molto grave: è stata distrutta la fede che molti giovani hanno nello sport e i valori e gli ideali che spingono i giovani atleti a diventare campioni. La competizione è tra questi: è lo spirito di competizione che spinge gli atleti a crescere e a migliorare, nel confronto leale con avversari e compagni.
La vittoria ad ogni costo o i soldi sono cose effimere che non portano da nessuna parte
».

L’intervento di Gianni Mura, autore della rubrica domenicale “Sette giorni di cattivi pensieri”, è stato una lucida critica sulle cause della degenerazione del mondo del pallone: «Questo calcio lo hanno rovinato i soldi? No – afferma - I soldi c’erano già prima, le grandi squadre non avevano forse presidenti come Agnelli, Rizzoli e Moratti? Loro non erano certo pensionati né operai. Allora mi pare ci fosse più buon senso e si conoscevano i limiti.

Il problema è che il calcio è purtroppo venduto più come spettacolo che come sport. Guardiamo gli atleti di oggi: sembrano più attori di Hollywood che uomini di sport… ai calciatori ,quando li vedi arrivare, mancano solo le guardie del corpo. Non è un caso, che a partire dagli anni Novanta si è assistito ad un progressivo allontanamento della gente dal calcio, intesa come fruitori di pubblico pagante, e soprattutto dagli stadi. Sicuramente a ciò ha anche contribuito la diffusione della pay-tv e la possibilità per le società di quotarsi in borsa
».

E’ certo che il calcio è diventato qualcosa di sempre più complicato per la gente e i diversi schemi di gioco, la mania per i tanti giocatori stranieri e la scarsa attenzione ai vivai e ai giovani talenti italiani non hanno facilitato la situazione.

Anche Zola ha spiegato che già a partire dagli anni novanta le cose stavano iniziando a cambiare rispetto al passato: «Avevo già una sensazione... Mi ricordo che a Napoli (quando militava nella squadra partenopea che fu retrocessa in serie B, ndr) avevo assistito ad un’invasione di campo: è stato un momento molto brutto. Anche se sono stato fortunato perché a me i tifosi non hanno fatto niente, ai miei compagni è andata peggio. Giocare non era più lo stesso, si intuiva negli stadi un clima diverso».

Nello stesso periodo cominciano i tempi bui della cancellazione della fantasia nel gioco. Quello che Gianni Mura definisce «l’esasperata “caccia ai numeri 10”. Si è deciso di emarginare la bellezza. A un certo punto bisognava muscolare le squadre... Il muscolo prende il sopravvento sulla bellezza e sulla fantasia». Oggi l’uccisione della fantasia è praticata nelle scuole di calcio già su i piccoli atleti... Uno alto 1 e 60 come Zola, oggi lo mettono fuori rosa. Mura sorride dicendo «Zola non credo verrebbe scelto nemmeno dalla Corrasi». (squadra del suo paese natale, ndr).

L’Italia ha sempre amato giocatori come Baggio e Zola, geni del pallone che accarezzavano la palla e per magia facevano cose che nessuno si aspettava, valeva la pena andare allo stadio e pagare il prezzo del biglietto. Ma con una filosofia del potenziamento del fisico dell’atleta non c’era più spazio per le magie dei numeri dieci. Il gioco organizzato ha prevalso sulla fantasia.

«Ho giocato a Napoli da mezza punta - dice Zola - e a Parma mi sono dovuto adattare da seconda punta», anche se, nonostante questo non fosse il suo ruolo, ha comunque segnato 19 goal nel campionato italiano 1994 e 33 nella Coppa Uefa. Il precursore di questa nuova filosofia era il Milan di Sacchi e tutti gli altri club si sono sentiti in dovere di imitare quel modello a discapito del talento e delle caratteristiche del giocatore: «Tutto questo ha imbruttito il calcio, invece io ritengo che la fantasia e la diversità vada salvaguardata come pregio e valore».

Non a caso giocatori come Zola hanno deciso che era meglio farsi apprezzare altrove, in Inghilterra. Qui Zola ha ricevuto il titolo ufficiale di “membro dell’impero britannico”, ed è stato considerato miglior giocatore straniero del Chelsea, grazie al suo comportamento corretto, equilibrato, mai polemico (neanche una espulsione) dentro e fuori dal campo che ha fatto innamorare i sudditi della Regina Elisabetta. «In Inghilterra sono cresciuto anche sotto altri aspetti: ho imparato a parlare l’inglese, a convivere con un’altra cultura». Ma se deve ringraziare il calcio in generale e non solo l’esperienza all’estero è perché «il calcio - dice Zola- mi ha insegnato a far divertire la gente, a trasmettere sensazioni positive e 90 minuti di divertimento»

La lezione del calcio è anche mettere insieme pregi e difetti di tutti. Spiega Mura: «Oggi sono diminuiti gli assist e in allenamento tutti cercano di metterla dentro dalla bandierina». Anche questo esempio è a sostegno della tesi che oggi la condivisione del gioco “al plurale” e come momento di coesione viene meno rispetto del passato.

E’ anche colpa dell’informazione? Secondo Mura si. «L’informazione scritta ha perso credito e potere a vantaggio della televisione. Anche i giornalisti vanno in tv a fare i tifosi e guadagnando uno stipendio doppio. Ma non parliamo mai dei valori del calcio e del rispetto delle regole. Non bisogna fare passare il messaggio che quello che vince è più bravo. Lo sport è libertà, tempo libero, passione e competizione. Si gareggia anche per vincere, ma è fondamentale farlo con i mezzi leciti e consentiti».

Per restituire poesia a questo sport affascinante e complesso si deve cominciare dal considerare il calcio, e lo sport in generale, come un gioco e una grande festa. Tutti possono parteciparvi ecco perché, afferma Zola «occorre salvaguardare l’accessibilità del calcio. In questi anni mi è capitato di assistere alla scomparsa di molte squadre dilettanti in molti paesi d’Italia. Ha rischiato di scomparire anche la squadra del mio paese. E’ un fenomeno allarmante perché se non c’è il dilettantismo il professionismo non ha ragione di esistere. Io ho iniziato a giocare nella squadra del mio paese ed è qui che è cominciata la favola che mi ha portato in serie A».

Sarebbe davvero un peccato non permettere ai giovani di inseguire il sogno di diventare campioni, ecco perché sarebbe opportuno trovare una soluzione per mantenere forte l’interazione tra il mondo dei dilettanti, dei professionisti e del pubblico. Gianfranco Zola, anche se ormai da due anni ha appeso “le scarpe al chiodo”, resta un idolo per i tifosi e un modello da imitare per molti giovani calciatori. Lui stesso è convinto che il suo successo sia dovuto alla passione per questo sport, perché «mi sono sempre divertito e nessun sacrificio mi è pesato. Il calcio è un gioco! E quando posso, mi diverto ancora».

Non ci resta che dire: “Grazie Zola!”



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