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Virologia del pensiero: cosa sono i memi?


Di Marina Minasola

Biologia e arte, leggi naturali matematicamente dimostrabili e idee, scienza e fantasia. Sono solo alcuni esempi di cose che apparentemente appartengono a mondi distinti, realtà parallele che non si incontreranno mai.
Eppure già dal 1976 il geniale etologo Dawkins ha mostrato al mondo che non è come sembra, genetica e cultura sono più legate di quanto si possa pensare, sono governate dalla stessa legge fondata sul principio della mimesis, l’imitazione. Le teorie di Darwin e Lamark possono essere applicate non soltanto all’evoluzione genetica, ma in modo analogo possono interessare anche la sfera culturale; cultura e società cosa sono infatti se non evoluzione? Non sono forse uno dei tanti elementi della vita dell’Uomo?

Ed è proprio dal corrispettivo termine greco di “imitazione” che deriva il nome della “scoperta” più interessante e per certi aspetti inquietante di Dawkins: il meme.
Nel bestseller “The selfish Gene” (ossia “il gene egoista”) il meme viene descritto come “il vero, invisibile DNA della società dell’informazione”, l’unità base dell’evoluzione culturale umana che grazie ad un meccanismo di auto-propagazione basato sull’imitazione è l’origine di una mutazione e selezione “naturale” anche nella sfera culturale, ricoprendo un ruolo analogo a quello rivestito dal gene per ciò che concerne la sfera genetica e quindi l’evoluzione biologica.

Se la genetica è la scienza che studia i comportamenti dei geni, la memetica è lo studio formale dei memi o, per dirlo in altri termini, lo studio dell’evoluzione del trasferimento dell’informazione, cioè della cultura.
Per la memetica valgono dunque le stesse leggi della genetica: non si può pensare ad una evoluzione biologica senza una mutazione del “fenotipo”, così neanche un’evoluzione culturale potrebbe avvenire se non ci fossero delle modifiche nei memi: ad esempio possiamo considerare mutazioni memetiche del linguaggio il Braille o i diversi alfabeti compresi quelli dei segni, la scrittura e così via e nello stesso modo anche la tecnologia può farci capire come tutto sia mutazione e trasformazione.

Ma la mutazione non è casuale: in genetica si è scoperto che a sopravvivere non sono più, come invece riteneva una concezione che potremmo definire romantica, i geni degli individui migliori, più forti o più ricchi, ma solo quelli che “lottano” di più (basti come esempio confrontare il tasso di natività dei paesi ricchi con quello del terzo mondo).
Nello stesso modo la propagazione delle idee non avviene perché sopravvivono le più utili, profonde, vere, belle, ma soltanto quelle che hanno intrinseche in loro stesse caratteristiche più adatte alla propagazione, quelle che si “imitano” più facilmente e si incontrano con fattori che li agevolano, quali la critica, la moda o la pressione di una società. La diffusione non è però correlata in alcun modo con il soggetto che fa proprio il meme.

Se così non fosse come ci spiegheremmo l’olocausto?
Come la fortuna popolare dei regimi totalitari?
Come i “tormentoni” televisivi o musicali, le cosiddette “catene di Sant’Antonio” o i proverbi? Come la scelta di acquistare un abito firmato costosissimo e spesso esteticamente discutibile al posto di uno stesso abito privo di griff?
Come giustifichiamo il successo della tv-spazzatura o dei romanzetti rosa?
E il successo di “artisti” che tutto sembrano eccetto quello che dovrebbero essere?
Potrei continuare l’elenco all’infinito, allargando il campo persino alle credenze, alle superstizioni e alle diverse forme di religione.

L’oggetto di studio della memetica è proprio questo: essa si ripropone di individuare quali siano le caratteristiche che favoriscono la propagazione delle idee e quindi il funzionamento della comunicazione mediatica, pubblicitaria e della propaganda politica che ci inducono ad essere, come ha detto l’importantissimo filosofo e studioso della scuola di Francoforte Adorno, eterodiretti.

La capacità di diffondere per imitazione un comportamento (e quindi la diffusione memetica stessa) si può riscontrare soltanto in poche specie viventi: ominidi, delfini ed uccelli.

I memi sono dunque idee contagiose create appositamente per raggiungere la massima diffusione, veri e propri “Virus della mente” come li chiama nel libro omonimo Richard Brodie, studioso di memetica e autore del primo testo divulgativo sull’argomento, ex aiutante di Bill Gates nonché inventore di Microsoft Word.

Le “autostrade informatiche”, i satelliti e le chat altro non sono che speciali e perfetti veicoli di propagazione memetica dei virus mentali: pertanto un motore di ricerca qualsiasi in internet può servire a misurare la diffusione memetica di qualsiasi cosa.

La chiave di ogni uomo è il suo pensiero. Benché egli possa apparire saldo e autonomo, ha un criterio cui obbedisce, che è l'idea in base alla quale classifica tutte le cose. Può essere cambiato solo mostrandogli una nuova idea che sovrasti la sua” disse già durante il secolo scorso Ralph Waldo Emerson, famoso saggista, filosofo, scrittore e poeta americano.

La memetica si è occupata in particolare fino ad ora di tre differenti aspetti:

  • l’associazione memetica, ossia il raggruppamento di memi (ad esempio il meme “telefono” racchiude i memi “cornetta”, “tasti”, “display” ecc.);
  • la deriva memetica, ossia la proprietà della maggior parte dei memi di assumere aspetti diversi quando trasferiti da un soggetto all’altro;
  • l’inerzia memetica, ossia la caratteristica di pochissimi memi di venire trasmessi ugualmente e avere lo stesso impatto su qualsiasi persona.

Una comunicazione che adopera un lessico difficile avrà ovviamente poi più difficoltà nella diffusione di una che utilizza accorgimenti mnemonici.

Con il libro “Genes” pubblicato nel 1981 dei due biologi Lumsden e Wilson, i memi sembrano poter avere acquistato un ruolo unificatore tra scienze naturali e sociali: essi avrebbero infatti un fondamento biologico e sarebbero delle reti di neutroni alla base della memoria semantica.

Per chi fosse interessato ad approfondire lo studio dei memi un altro testo da segnalare è “la macchina dei memi” di Susan Blackmore, edito nel 1999.

Un capitolo ancora aperto è come definire la memetica: si tratta di scienza? La risposta è no, perché non si fonda ancora su teorie empiricamente dimostrabili. Possiamo inserirla piuttosto come branca della sociologia o forse possiamo definirla protoscienza.

Per concludere vorrei evidenziare quella che è secondo me una triste realtà: lo studio dei memi può essere la chiave stessa per capire il motivo della non-diffusione della memetica. Nonostante i numerosi libri e articoli pubblicati su questo tema dal 1976 in poi, pochissimi ne hanno sentito parlare. Perché? Forse la conoscenza di certi meccanismi potrebbe permetterci di difenderci dai “virus della mente”, la memetica diventerebbe un vaccino contro lo stesso oggetto del suo studio: per questo credo sia insito nella sua stessa natura il destino di rimanere un’idea e di non potersi trasformare in meme. Possiamo concludere pertanto che per non contrastare il principio biologico dell’istinto di sopravvivenza è destinata a giungere alle orecchie di pochi. L’umanità rischia di continuare ad essere per sempre eterodiretta e di perdere ancor più possesso persino della consapevolezza di quali siano le cose che realmente ama e quali siano quelle che odia.

Argomenti:   #profumo ,        #scienza ,        #uomo



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