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 Anno II n° 19 DICEMBRE 2006    -   TERZA PAGINA


Alla riscoperta di un libro
Non mi faccio illusioni...
Rileggendo 'Lista d’attesa' di Matteo De Monte la memoria torna al ’68 e all’inizio degli anni ‘70
Di Giacomo Nigro


Capita che un’amica lontana ti chieda di fare, per suo conto, una ricerca in biblioteca e che il libro trovato ti colpisca inaspettatamente e si faccia leggere perché nell’introduzione hai trovato una frase che ti piace talmente che ti appartiene, diventa un tuo pensiero: “Non mi faccio illusioni: i cinquanta si sono già posati sulle mie spalle. E' l'età in cui si dispera che un giovane possa riporre in noi una vera amicizia. Con ragione, i giovani hanno fretta di tornare fra i loro coetanei. Eppure sarei felice se qualcosa nascesse dalla lettura di tante parole scritte, non senza amore e fatica.

Allora pensi: si, i cinquanta sono proprio andati e che ultimamente ti sei chiesto come mai ti capita di dialogare in rete usando, tante parole scritte, non senza amore e fatica, con persone che hanno meno della metà dei tuoi anni. Eppure senti quelle persone vicine e spesso assonanti, così come senti coinvolgenti le parole di questo libro reso, con "una scrittura cinematografica", adatto all’uso dei giovani. Leggi e nel contempo ti par di vedere la scena descritta, e le persone che dialogano fra loro o interloquiscono col giornalista si delineano nette e palpabili.

Matteo De Monte, giornalista del Messaggero, il quotidiano della capitale, pubblicò, nel novembre 1973, presso la SEI di Torino una raccolta dei suoi articoli di corrispondenza dall’estero e dall’Italia ad uso dei ragazzi delle scuole dal titolo “LISTA D’ATTESA”: è il libro di cui si tratta.

La lettura di questo scorrevole testo riporta alla mia memoria un anno e un'epoca che, un ragazzo come me, dodicenne nel ’68, non visse col coinvolgimento di coloro che nel pieno della loro giovinezza rivoluzionarono il mondo. Quell’epopea passò su di me lasciandomene ai margini, vissi senza protagonismo i suoi riflessi sociali che furono, come si sa, notevoli, storici.

"Una vecchia e logora idea che si chiama dovere" ecco un'espressione attribuibile a chi, appartenente ad una generazione precedente, è chiaramente disorientato di fronte ai nuovi modi di essere che sfuggono ai canoni abituali; eppure io ragazzo, migrante, figlio di contadini divenuti operai la sentivo mia, osservavo i miei compagni, figli della buona borghesia torinese, che si atteggiavano a rivoluzionari e mi rendevo conto che non potevo permettermi quell’atteggiamento.

Rileggere della “primavera di Praga” e del sacrificio di Jan Palach, dell’alluvione di Firenze o della morte del Generale De Gaulle vuol dire riportare a galla quell’atmosfera incantata della mia adolescenza curiosa dei fatti del mondo e affamata di novità, vogliosa di crescere velocemente per affrancarsi. Non tanto perché quei ricordi siano connessi direttamente con quell’atmosfera, ma in quanto essi funzionano come madelaines proustiane.

Struggente diviene la lettura dell’articolo, contenuto nel libro, in cui l’Autore descrive il suo occasionale ritorno al paese d’origine sulle pendici del Gargano, nei primi anni settanta. L’incremento dell’interesse turistico ha già portato danni al preesistente tessuto sociale e culturale oltre che paesistico (ristrutturazioni selvagge, costruzioni nuove non in sintonia colle vecchie). Le sue impressioni d’estraneità ai luoghi al primo ritorno. La descrizione della mitica figura del vecchio speziale, riferimento sociale oramai decaduto e sostituito dal giovane ed asettico farmacista. I negozi con le nuove vetrine piene di moderni elettrodomestici. Tutte sensazioni e occasioni vissute da me in prima persona proprio in quell’epoca, quale appartenente a quel fenomeno d'emigrazione interna tipico della fine degli anni sessanta, avvenuto non solo per motivi economici ma anche per il mero miglioramento delle condizioni sociali o come tentativo di rottura con il passato.

Ecco, quindi, che la scrittura, l’espressione del proprio vissuto, trasmessa prima con la pagina scritta ora sempre più spesso via internet, collega le generazioni e le salda nell’esperienza e nella storia.



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