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 Anno III n° 1 GENNAIO 2007    -   TERZA PAGINA



Marmo bianco contro la morte nera
Venezia: Basilica di Santa Maria della Salute
Di Serena Bertogliatti



Venezia e i luoghi sacri.
Venezia è un luogo sacro, così mirabilmente profana e arrogante da esserne santificata.
Venezia che alza un inno alla Madre in persona erigendo una basilica bianca come la purezza, con della purezza le geometrie smussate, in una sorta di incensiere che dispensi benefiche fumigazioni tutt’attorno: Santa Maria della Salute.

La prima volta in cui la vedi, per la tipica architettura veneziana che agglomera opere d’arte una sull’altra – una dentro l’altra – appare come una chiazza di rinfrescante neve assisa sulla verdognola laguna.
I marmi hanno lo splendore della salvezza, quella che appare in fondo al tunnel.
Così la Basilica è nata – ma tu non puoi saperlo, mentre volgi quanto più possibile il capo verso l’alto per catturare con lo sguardo ogni minuta decorazione – pietre disposte una sull’altra per vincere la Morte Nera.

I lunghi becchi delle maschere dal prominente naso, inquietanti figure, hanno lo stesso candore di queste colonne.
Sono nate per scongiurare lo stesso male.
Le lunghezze vengono esagerate, si distaccano dalle umane proporzioni per distaccarsi così dalla morte.

Sali i gradini lisci, salita dovuta a chiunque voglia entrare nelle grazie di questa barocca architettura.
Barroco: nome di un’irregolare, spregiata perla. Nulla della costruzione che hai davanti è irregolarità, non le spirali avvolgenti né il timpano retto dalle sottili colonne. Nulla e tutto, è irregolare, perché le piccole creazioni perfette di cui è costituita sono così tante, e con tale vicinanza accostate, da confondere lo sguardo d’insieme.
È imperscrutabile, come il senso della vita – e altrettanto fautrice di domande senza risposta, che vagano nella testa cercando inutilmente di arrampicarsi sulla cupola. Scivolano, e di nuovo artigliano le unghie a un passo dal cadere, e di nuovo s’arrampicano, e ancora scivolano e all’ultimo si salvano, per ancora tentare la salita…
È la vita, che cerca di raggiungere il proprio culmine finché ha fiato.

Quando stai per entrare, minuscolo sull’altissima porta, ti rendi conto d’essere in quella precaria condizione in cui ci si trova quando si è a un passo da un momento speciale.
Così sollevato dai gradini, contornato dalle colonne, sei esposto e nudo allo sguardo del Canale. È una prova di sottomissione a cui la basilica ti costringe: è il dover rendere conto di te stesso ora che vieni confrontato a quest’opera d’arte. Nel suo marmo è stata scolpita la Vergine Maria che ora, da tutta la sua purezza, ti abbraccia e invita ad entrare.
Non puoi che sentirti umile.
Non puoi che, umilmente, chiuderti all’interno del suo ventre.

Ogni luogo ha i propri ottimali punti da cui osservare.
Il punto di vista da cui avere una visuale totale, totalizzante; il punto di vista da cui abbracciare il fulcro stesso dell’architettura; il baricentro virtuale.
In questo basilica, questo luogo è sito al centro, tra le colonne disposte sugli otto lati; in centro, fluttuante a metà dell’altezza, in ascensione, roteando su se stessi.
Forse per questo, una volta entrato, non puoi fare a meno di girare e girare lungo un cerchio immaginario; girare e girare – macchina fotografica in mano – cercando il punto migliore da cui ritrarre – e non trovandolo.
E giri, giri e giri, come un sufi volteggiante prossimo all’estasi.

Santa Maria della Salute è stata costruita nel 1631. La decisione del Senato del 1630 è mossa da un impeto di fede, un ringraziamento per la cessata pestilenza. Tutt’oggi, il 21 novembre di ogni anno, un ponte di barche permette alla processione di superare il Canal Grande e andare a commemorare l’evento.

Sei a Venezia, città che poggia i piedi nel fango e che svetta fino al cielo.



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