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 Anno III n° 4 APRILE 2007    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



La guerra in Iraq e la questione del petrolio
Dietro alle battaglie, c’è l’interesse per petrolio a prezzo politicamente basso. Caso strano che i soldati italiani siano stati mandati a Nassiriya dove vi sono i giacimenti che sfrutta l’ENI
Di Giacomo Nigro


A 34 anni dalla nazionalizzazione del petrolio, l’esecutivo di Baghdad ha approvato, nei giorni scorsi, un disegno di legge sugli idrocarburi che consentirà alle compagnie straniere di controllare il petrolio iracheno per la prima volta dopo 35 anni. Verranno stipulati contratti di lungo termine e diritti esclusivi, a discapito dell’erario nazionale. Decisive per il compromesso finale le pressioni di Washington, in particolare sui kurdi. Un prezioso bottino a cui ambisce anche l’Eni, la compagnia italiana a forte partecipazione pubblica.

L’accesso ai rubinetti dell’oro nero della Mesopotamia avverrà alle più vantaggiose condizioni al mondo. Un vantaggio che, è stato calcolato, potrebbe far raddoppiare i profitti (e dimezzare le entrate per l’erario iracheno) rispetto alle condizioni in essere in Iraq prima della guerra. Un vero e proprio bottino di guerra.

Niente di nuovo sotto il sole, Enrico Mattei fu ucciso (pochi dubbi restano su questo) a pochi giorni dalla firma di un accordo con il governo iracheno del presidente Abdel Karim Qassim, il quale era titolare fin dal 1961 di una politica di ritorno alla gestione diretta delle risorse energetiche. Qassim fu spodestato da un colpo di stato sostenuto dalla Cia.

Vista la possibilità che l’Eni persegua e sottoscriva contratti di sfruttamento di giacimenti di petrolio in Iraq sulla base della nuova legge sugli idrocarburi irachena, cosa avrebbe fatto oggi Mattei? Non è un mistero che la maggiore compagnia energetica italiana, quarta nel mondo, persegua interessi petroliferi in Iraq. Già nel 1997 aveva firmato un accordo con il governo di Saddam Hussein per lo sfruttamento, con la spagnola Repsol, dei giacimenti di Nassiriya, ove, guarda caso, il governo Berlusconi inviò le nostre truppe. Recentemente, l’Eni ha avviato colloqui anche con il governo del Kurdistan iracheno, e si è dimostrata interessata alla estrazione di gas.

Ciò che sarebbe legittimo aspettarsi da una società per il 32% pubblica e da un governo che ha deciso il ritiro delle truppe dall’Iraq come primo atto di politica estera è che non se ne profitti e si astenga dall’investire sino a che l’Iraq non sia nuovamente un Paese nel pieno della propria sovranità.

Questo potrebbe avvenire anche in relazione all’annuncio del ritiro britannico da Bassora, un'ammissione di sconfitta da parte di un governo che ha sempre appoggiato la politica statunitense sulla questione Iraq. Il premier Tony Blair parla di un ridimensionamento in sicurezza del proprio contingente e di rafforzamento dell’apparato militare iracheno, ma a determinare la decisione di Londra sono state priorità politiche e non militari. Il Primo Ministro sta cercando disperatamente di avere un ultimo aumento di consensi da un’opinione pubblica sempre più delusa dalla guerra.

Potrebbe accadere dunque che gli Stati Uniti restino padroni del campo, si ricorderà che il Presidente Bush ha chiesto a gran voce al Parlamento l’autorizzazione ad aumentare il proprio contingente in Iraq. Il grande slam petrolifero statunitense sembra in dirittura d’arrivo.



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