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 Anno III n° 4 APRILE 2007    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



I ricchi di quest’anno
Considerazioni sulla classifica dei più ricchi del mondo da poco pubblicata da Forbes
Di Fabio De Roberto


Con la consueta puntualità anche quest’anno la celeberrima rivista americana Forbes ci informa a proposito delle persone più ricche del pianeta.
Non si tratta di ricchi qualsiasi: il requisito minimo per fare parte della congrega consiste nel possedere un patrimonio non inferiore al miliardo di dollari, pari a circa 800 milioni di euro. In classifica non si è apparentemente verificato alcun cambio della guardia: in testa c’è sempre Bill Gates, seguito dal finanziere americano Warren Buffett e dall’industriale messicano Carlos Slim Helu.
Osservatori nostrani fanno inoltre notare con orgoglio patrio la presenza fra i paperoni mondiali, sebbene in ritardo nei confronti del gruppone di testa, di Silvio Berlusconi, Leonardo del Vecchio (Luxottica), Michele Ferrero e del clan Benetton. Queste sì che sono soddisfazioni.
Come se non bastasse la copertina dell’ultimo numero di Forbes – esattamente quello in cui viene stilata la graduatoria – immortala un trionfante Flavio Briatore (peraltro non presente in classifica) in compagnia di Elisabetta Gregoraci, entrambi adagiati su una discretissima Renault gialla da Gran Premio di F1. Bene ma non benissimo.

Informazioni forse più significative ci giungono invece riguardo alla distribuzione geopolitica dei ricconi in questione, e qui cominciano le dolenti note per gli europei. In linea di massima i miliardari del Vecchio Continente paiono battere un po’ la fiacca, ad eccezione degli illustri rappresentanti tedeschi, spagnoli, serbi o rumeni. A dir poco immancabili i russi rampanti, con l’apripista Roman Abramovich a menare le danze.
È pero dall’oriente che arrivano le principali sorprese. L’India, ad esempio, vanta un numero decisamente elevato di personaggi da classifica, addirittura maggiore del Giappone o di Paesi in crescita esponenziale come la Cina o Hong Kong.
Assolutamente prevedibile, al contrario, la massiccia presenza mediorientale, mentre pare quasi inutile sottolineare la scarsa rilevanza degli esponenti sudamericani (sebbene in lieve aumento), per non parlare di quelli africani. Nessuno, ad ogni modo, può permettersi paragoni con la scontata supremazia a stelle e strisce. Saranno soltanto cifre, ma fanno riflettere su dove stiano circolando attualmente le più grosse quantità di denaro. Altrove, tuttavia, ci si interroga su ulteriori questioni.

Arthur Brooks sul Wall Street Journal si domanda "Che cosa c’è di male a essere un miliardario?" e si sofferma sull’inedita dicotomia fra ricchezza e felicità personale spiegandoci che, sotto sotto, le persone non inseguono i soldi, bensì il successo, e la ricchezza ne diventa in tal modo un’inevitabile conseguenza. Perdipiù, con ragguardevole finezza psicologica, Brooks dipinge i miliardari come “molto più felici di quanto crediamo” (e chi credeva il contrario?), con oltretutto la possibilità di dimostrarsi straordinari benefattori – vedi Bill Gates – cosicché il successo verrebbe replicato anche sul piano umanitario.
Ecco facilmente risolto il dilemma sul perché i ricchi di tutto il mondo rappresentino "i carburanti della filantropia e della solidarietà sociale". Ma che bravi. E noi che fino ad oggi ci eravamo aggrappati alla convinzione che nel capitalismo la produzione non sia legata al consumo, ma all’accumulazione di denaro, con tutto ciò che ne consegue.

Dicevamo di Bill Gates. Pare che Mr. Microsoft abbia dichiarato in tempi non sospetti che vorrebbe "non essere l'uomo più ricco del mondo. Non ti dà niente di buono: ottieni solo una maggiore visibilità". Per essere uno che possiede 50 miliardi di dollari ci sembra un’affermazione oltremodo curiosa. Eppure Bill Gates è diverso da tutti gli altri. È uno che rifiuta la possibilità di usare il jet privato, anzi viaggia spesso in classe economica e, pensate un po’, si è costruito la fama di miliardario «illuminato», grazie alle sue frequenti donazioni sponsorizzatissime, al centro di non poche polemiche fra coloro che le ritengono sia un modo per ripulirsi la coscienza (sul regime di monopolio informatico della Microsoft e sui mezzi utilizzati per ottenerlo si discute da sempre), sia – onestamente – qualcosa di assai somigliante ad un pittoresco escamotage.

È anche l’opinione di Gregg Easterbrook, firma del Los Angeles Times, che definisce “patetico” l’atteggiamento in fatto di beneficenza dei donatori multimiliardari quando, cifre alla mano (fonte: ) “la maggior parte di loro non ha rinunciato neanche all’1 per cento del loro capitale. La differenza è minima rispetto a quanto donano in media le persone con un reddito normale."
Tanto per chiarire le proporzioni, su 51 miliardi di dollari donati dai “superfilantropi” nel 2006, 44 provenivano dal solo Buffett, il secondo nella graduatoria di Forbes. Peccato che il fatturato complessivo dei donatori fosse di 630 miliardi di dollari. Non vengono risparmiate critiche in particolare alla Bill & Melinda Gates Foundation, accusati di tenersi ben stretto quasi tutto il loro vasto patrimonio, cosa che se “per una persona normale… è un comportamento più che comprensibile, per un miliardario no.”

Non è la prima volta in cui si parla di “crumbs from the table” (crumbs sarebbero le briciole), argomento adoperato per mettere in risalto l’inconsistenza degli aiuti economici da parte di chi avrebbe tutte le carte in regola per farlo (i membri della sopraccitata classifica, tanto per fare alcuni nomi) nei confronti di chi invece ne avrebbe bisogno, e sono davvero in tanti. Ci pare singolare rilevare, tra l'altro, il recente avvento fra gli azionisti proprio di Forbes, rivista che non a caso si autodefinisce “la Bibbia mondiale del capitalista, o aspirante capitalista”, di uno degli abituali paladini delle crociate buone e giuste e soprattutto ad enorme potenziale mediatico come Bono degli U2, immerso ormai a capofitto nel duplice progetto di salvare il mondo ed in quello parallelo di vendere ancora più dischi. Ad occhio e croce, ci pare sinceramente che il secondo obbiettivo sia stato centrato con maggiore frequenza, almeno finora.

Insomma, per noi giovani aspiranti miliardari, si prospettano due alternative percorribili, benché entrambe indubbiamente intriganti. Da un lato diventare dei ricconi in tutto e per tutto ma ammantarci di un pizzico di austerità moraleggiante, che potremmo in futuro sfruttare come ulteriore pass-partout per i salotti buoni dell’alta società, dediti ad arricchirsi con parsimonia e a prodigarsi di attenzioni per l’Uganda ed i Paesi possibilmente confinanti. Dall’altro la decisione più saggia sarebbe quella di dedicarsi ad un cosmopolitismo godereccio alla Flavio Briatore – ed il cerchio si chiude – alla sfrenata ricerca dell’estetizzante ostentazione del proprio benessere fisico, nonché (dovremmo rivolgerci ad Arthur Brooks per eventuali delucidazioni) spirituale. Speriamo di scegliere per il meglio. Ci teniamo, noi, alla nostra salute.



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