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L'Apocalisse Rai: nuovi disastri per vecchi motivi

Programmi di basso livello qualitativo, telegiornali che utilizzano i programmi come “notizia” e troppe lottizzazioni mettono la RAI KO

Di Paolo Russu

Se il prossimo programma Rai dovesse intitolarsi “Flop”, nessuno obietterebbe sulla scelta degli autori, questa volta finalmente azzeccata.
Tra tensioni sia politiche che di palinsesto, questi giorni in Rai sembrano essere tra i più difficili vissuti dalla ex principale agenzia culturale italiana. I problemi sono molti, e riguardano diversi settori dell'azienda.

Sul piano dei contenuti la Rai, anno dopo anno, paga dazio nei confronti delle logiche di mercato, spaccata com'è tra l'esigenza di fare audience per venire incontro alle richieste del mercato pubblicitario e il dovere di coprire il suo ruolo primario di “servizio pubblico”, che sin dalla nascita è la principale caratteristica dell'azienda. Come ben noto la gara sul piano pubblicitario è giocata con le reti private (Mediaset su tutte) che non avendo i vincoli derivanti dal canone possono disporre della programmazione facendo il bello e (sempre più spesso) il cattivo tempo per quanto riguarda le scelte di palinsesto.

Ma il cattivo tempo pare essere diventato anche una caratteristica della Rai che, avendo ormai abdicato ad un forte ruolo guida per quanto riguarda la programmazione culturale, annaspa nei suoi tentativi di cerchiobottismo televisivo, mettendo in fila due chiusure (quasi tre) di programmi in prima serata: Colpo di genio a conduzione Ventura-Teocoli, Votantonio con Fabio Canino e il per ora deludente Apocalypse Show, ribattezzato Vietato Funari, condotto proprio dalla stesso Funari.

Ma se per quanto riguarda le reti private è d'obbligo conseguire risultati da esporre in bacheca a editori e investitori pubblicitari, la Rai a chi deve render conto dei suoi flop? Deve, e questo è uno dei primi problemi, render conto alla folta pletora politica lottizzante, un mostro che nella prima repubblica aveva cinque teste, ed era già sufficientemente orripilante. Ora che di teste ne ha molte di più, è difficile rintracciare quella con più materia cerebrale, ed il mostro è sostanzialmente fuori controllo.

I danni iniziano ad essere pesanti, perché ad uscirne menomata è tutta quella parte di programmazione che nel passato è sempre stata il fiore all'occhiello del servizio pubblico: parliamo dei telegiornali, sempre più ridotti a veline di partito e che confezionano (a legislature alterne) prodotti di bassa qualità, utili a tenere informati delle quotidiane beghe interne i segretari, funzionari, uscieri dei diversi partiti coinvolti nella “gestione della cosa pubblica”, e niente più.

L'approfondimento giornalistico è diventato materia scomoda, anche perché approfondire significherebbe andare oltre al superficiale che ci viene mostrato, e quando in Italia questo accade sono guai per tutti (vedi Parmalat, Telecom, Vallettopoli etc). I canali sono sempre più caratterizzati dal fenomeno della “metatelevisione”, ovvero della televisione che parla di se stessa. Perciò se un fatto accade a Porta a Porta, sarà questa la notizia di apertura del TG1, che rimanda per ulteriori dettagli a... “L'arena” di Domenica In.

In questo clima da guardia e ladri, giochino famoso per i bei inseguimenti che ci permetteva di fare da bambini, la Rai scappa e si insegue contemporaneamente, in un circolo vizioso che non sembra trovare soluzione. Ma ve ne sono all'orizzonte? Il sistema televisivo italiano è pieno zeppo di anomalie, non le scopriamo oggi, ma una costante è rimasta negli anni: il canone televisivo pagato dai cittadini. Il canone forma tutt'ora il 50% del finanziamento a disposizione dell'azienda, il restante 50% deriva dalla pubblicità. La situazione è anomala perché nel resto dei paesi d'Europa il finanziamento pubblico prevale rispetto all'offerta pubblicitaria, slegando così maggiormente le mani alle attività di servizio pubblico, liberate dal peso dello share a tutti i costi.

Qualità e share possono convivere tranquillamente (lo dimostrano i programmi di Giovanni Minoli ad esempio), ma per programmare in qualità occorre tempo e pianificazione certa. La soluzione più praticabile può essere quella di gestire un'intera rete in ottica di puro servizio pubblico, ripagando così almeno in parte l'esborso in termini di canone che i fiduciosi telespettatori ogni anno tributano alla Rai. Oggi è difficile dar torto ai tanti che si interrogano chiedendosi: «ma perchè devo pagare il canone?». Bisogna spostare l'asse dalla quantità alla qualità, a partire dalla valorizzazione delle famose Teche Rai, un patrimonio che ben pochi possono vantare in Europa.

La Tv generalista rischia veramente di diventare una brodaglia per quei pochi che non hanno possibilità di ricercare contenuti altrove, e in questa pietanza dal cattivo sapore non bastano più i correttivi in corsa, è forse ora di cambiare l'intera cucina e soprattutto i cuochi. Nell'era di Internet la televisione non rischia di scomparire, ma peggio, rischia di rimanere così com'è.

Argomenti:   #opinione ,        #qualità ,        #rai



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