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 Anno IV n° 1 GENNAIO 2008    -   FATTI & OPINIONI


Critica politica
Il gioco delle tre carte e la "spallata" continua

Di Giacomo Nigro


Il gioco delle tre carte è senz'altro quello più conosciuto anche da quanti non amano la prestidigitazione, esso è anche il gioco usato da tanti truffatori che con l'allettante prospettiva di una probabile vincita raggirano il pubblico.

È ben noto che è impossibile poter vincere: anche se il gioco fosse eseguito con onestà esso è sempre sfavorevole al giocatore dal momento che la percentuale di vincita è 33,3% contro la probabile perdita che è il 66,6%. Eppure quanti di noi possono negare d’essere rimasti affascinati passando nei pressi di un occasionale banchetto in cui danzavano al comando dell’abile di turno tre carte o tre campanelle?

Questo è, credo, il gioco di prestigio preferito di Silvio Berlusconi, egli eccelle nell’esecuzione di questo esercizio al quale ci sottopone fin dall’ormai lontana sua discesa in campo.

Tutto e il contrario di tutto va bene ogni giorno, l’importante che l’attenzione di ognuno di noi, dei mass media di diretto controllo e no sia puntata sul grande prestidigitatore. Catturata l’attenzione, egli ci fa scegliere la carta e noi che non siamo stati capaci di girare al largo dal suo banchetto, facciamo la nostra puntata e naturalmente perdiamo.

Fra le più recenti e seguite esecuzioni del celebre gioco sono le famose spallate all’esecutivo Prodi.

Le spallate a Prodi, in realtà, cominciarono già prima che egli assumesse la direzione del Governo, prima che la sua coalizione vincesse le elezioni. Infatti alla fine della scorsa legislatura, quando nella casa delle libertà ci si rese conto che si stava perdendo il consenso degli italiani, si mise mano alla legge elettorale che è stata definita dagli stessi abitanti della casa una porcata. Una legge che oggi tutti dichiarano di voler cambiare ma che nessuno al momento capisce come, visto che, mentre si annunciano modalità fantasiose di tutte le nazionalità, non si decide di cercare seriamente un compromesso che accontenti tutte le parti in causa.

Quella legge, oltre a qualche ventilato presunto broglio, impedì al vincitore delle elezioni di avere in Parlamento una maggioranza chiara in entrambi il rami dello stesso che permettesse una governabilità più serena e soprattutto meno vincolata ai veti delle litigiose componenti della coalizione di centro sinistra.

Io duro perché faccio, dice Romano Prodi, ma le spallate annunciate da dentro e da fuori la coalizione di governo sono all’ordine del giorno e ci allietano la quotidiana lettura dei giornali: da Dini a Ferrara, il clima di insicurezza e i dubbi sulla durata del Governo vengono giornalmente amplificati ad arte.

Gli attacchi al governo Prodi da parte dei poteri forti, mediatici ed economici spesso fanno capo come in una ragnatela allo stesso capo dell’opposizione. Ogni santo giorno la maggior parte della stampa nazionale, compresa quella confindustriale, invita Prodi a lasciare: la nostalgia per gli anni di affari favolosi per l'Italia peggiore, furba e intrallazzatrice, l'Italia dei conti truccati, dei politici corrotti, dei buchi nei bilanci aziendali, delle ruberie personali, impera.

Eppure si dovrebbe poter sperare che il Cavaliere, che piaccia o meno, possa contare su un largo consenso, si decidesse di fare discorsi costruttivi e sensati contribuendo per una volta agli interessi del Paese. Egli dovrebbe anche tener conto del fatto che negli ultimi tempi la sua leadership è stata messa in discussione dai suoi alleati Fini e Casini mentre sembra aver conservato solo il favore della Lega.

D’altro canto il sospetto che l’incertezza della dirigenza del neo fondato Partito Democratico sia determinata dalla forte tentazione di un accordo sotterraneo fra Berlusconi e Veltroni porta a riconsiderare tutta l’ingarbugliata situazione sotto una luce grigia di pericolo democratico.



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