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 Anno IV n° 12 DICEMBRE 2008    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



La crisi mondiale sembra sempre più dura. Anche l'UE ci invita ad agire, ma come?
Ridare la fiducia al mercato, ma il bilancio dello Stato non sembra avere margini sufficienti per fare gli interventi di sostengo alle famiglie e rilanciare gli investimenti; forse c’è una via possibile
Di Il Nibbio



La crisi economica mondiale non accenna a mollare la presa, anzi le difficoltà sembrano diventare ogni giorno sempre più pesanti. Dagli Stati Uniti pessime notizie: Generl Motor, Crisler e Ford sono nei guai e i Repubblicani si oppongono al piano di salvataggio concordato tra Obahma e Bush; questo vuol dire il probabile fallimento delle prime due compagnie entro la fine dell’anno e la terza potrebbe seguirle a breve, una valanga che trascinerebbe così gran parte dell’economia americana e con effetto domino, il disastro si allargherebbe all’America centrale e al resto del mondo.

Dal mondo finanziario troviamo ancora un disastro della “finanza creativa”, quella che fa i soldi rubandoli agli altri, per intenderci. Il crack Mardoff: altri 50 miliardi di dollari drenati alla finanza vera, da una specie di catena di sant’Antonio che vede coinvolta anche la nostra Unicredit. Tutto questo mette sicuramente in luce un’assoluta carenza di controlli sul sistema bancario e, più in generale, finanziario, un settore troppo delicato perché sia lasciato tutto al “libero mercato”.

È evidente che i controlli sull’attività delle banche devono essere più incisivi e profondi; le banche hanno facilità a creare “cartelli” e l’abuso, che è emerso, del RIBOR come tasso di riferimento ne è una chiara dimostrazione. Inoltre, come non ci siamo mai stancati di dire, la speculazione della borsa va assolutamente frenata, il mezzo c’è e Prodi voleva applicarlo, ma gli interessati hanno fatto muro e ne hanno bloccato l’applicazione: si tratta di tassare i guadagni di borsa, magari equiparandoli a quelli del gioco d’azzardo, infatti non si tratta altro che di scommesse. Non si tratta quindi di tassare i redditi finanziari forniti da interessi, dividendi o di plusvalenze di titoli rimasti in proprietà per un tempo lungo, ma dei “future”, le vendite allo scoperto, e le compravendite fatte in brevissimo tempo. Però questi interventi, se mai saranno presi, non possono certo risolvere il nostro problema di oggi.

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo.
Mancano fiducia e soldi; questo si trasforma in consumi ridotti, sia perché non si può, i soldi non ci sono, sia perché non ci si vuole esporre e si preferisce rimandare le spese, attendendo di vedere quello che succederà. Ma questo genera il crollo della domanda, che comporta per le imprese l’ esigenza di ridurre la loro attività ed anche il crollo degli investimenti, ritenuti non più necessari o troppo rischiosi. Di conseguenza si crea la disoccupazione, con ulteriore crollo dei consumi e ulteriore contrazione dell’attività economica. Come potete capire questa è una spirale involutiva perversa che, se lasciata agire, porterebbe alla distruzione del tessuto economico e alla povertà diffusa.

Per rompere questa spirale non bastano certo gli “inviti a spendere”: questi sono solo aria fritta e possono risultare irritanti per la gente. Anche il commissario europeo agli Affari economici, Joaquin Almunia sollecita l’Italia ad avere “ un impegno maggiore su una strategia coraggiosa di riforme strutturali che aiuterebbe a rafforzare anche la fiducia dei mercati”.
Occorre ridare la fiducia con i fatti; ma quali fatti?

Tutti lo continuano a dire: investimenti e maggiore sicurezza economica alle famiglie. Facile a dirsi difficile a farsi; ricordiamoci che “non c’è più una lira”! La pessima amministrazione della cosa pubblica, il ricorso endemico al debito pubblico per far fronte alle spese correnti e la continua enfatizzazione delle pratiche burocratiche non solo hanno asciugato le risorse finanziare dello Stato, ma rendono molto difficile procedere agli investimenti in tempi rapidi.

La folle idea di aprire alla “flessibilità del lavoro”, senza far pagare le quote necessarie per le garanzie sociali (n.d.r. il lavoro flessibile deve costare molto di più per l’impresa del lavoro a tempo indeterminato, per poter accumulare cifre necessarie a far fronte a più dispendiosi ammortizzatori sociali, ma questo non piaceva alle associazioni imprenditoriali) pone oggi il problema di come finanziare quel minimo reddito che si deve garantire alle famiglie.
È evidente che se non si vuole avere una “sommossa del pane” di manzoniana memoria, non si possono lasciar crollare i redditi familiari minimi; quindi sicuramente è necessaria usare la leva fiscale: aumento della quota esente e riduzione delle aliquote sulle fasce più basse, oltre a ampliare il sostengo alle famiglie con redditi minimi, magari usando le vie tradizionali dei servizi sociali dei Comuni, invece di inventarsi procedure nuove costose e da tarare.
Ma questo evidentemente, se fatto in modo ragionevole, asciuga le scarse risorse della finanza pubblica, che ha già sprecato tanti soldi nelle stupidaggini elettorali, Alitalia, ICI, ecc.

Se resta poco o nulla per gli investimenti, bisognerà pure inventare qualcosa per usufruire dell effetto “moltiplicatore” della ricchezza che questi danno per poter riequilibrare i conti.

La via per rilanciare la capacità di spesa degli enti pubblici c’è per fortuna. La nostra pubblica amministrazione è lentissima nella gestione degli investimenti, si tratta quindi di accelerare la velocità di spesa di progetti i cui investimenti sono già stanziati o che comunque per loro sia facile reperire le coperture finanziarie, quindi progetti già in atto o tanti piccoli progetti, che usufruiscono di procedure più snelle e che in poco tempo possono essere realizzati: cioè le manutenzioni ordinarie e straordinarie, che troppo spesso vengono dimenticate dai politici perché “non fanno fama”, o un maligno potrebbe dire che non portano tangenti.
Di queste ne abbiamo urgente bisogno, come mostrano gli incidenti che avvengono nelle scuole, nelle strade, le piccole frane, le cosiddette “messa a norma” in cui la PA è da sempre inadempiente e tutte le spese per il risparmio energetico, che oltretutto poi portano a minor spesa corrente. Se si investisse su queste tematiche in pochi mesi potrebbero partire migliaia di microcantieri, diffusi in tutta Italia, e questo ridarebbe una immediata fluidità all’economia.

Poi si deve rivedere velocemente la normativa degli appalti. Se le leggi Merloni sono state inventate per evitare gli abusi e i guadagni illeciti, i fatti odierni ci mostrano che “fatta la legge trovato l’inganno”: i guadagni illeciti restano, ma gli appalti sono diventati lunghi, difficili, costosi e spesso si inceppano per un ricorso al TAR; cosi le opere infrastrutturali restano al palo, i costi lievitano e i soldi stanziati sono improduttivi. É evidente che si deve ovviare a questo.

Terza leva disponibile per il Governo è una profonda revisione dell’apparato pubblico delle competenze degli uffici ed eliminare i troppi enti con competenze sovrapposte che creano confusione con spreco di tempo e denaro. Credo che questo dovrebbe essere prioritario, o contemporaneo, rispetto al “federalismo fiscale” che così come è visto dalla Lega diventa solo un modo di cantare vittoria.

Lasciamo pure che restino indietro i nuovi progetti di grandi infrastrutture. Oggi non sono utili per superare i prossimi anni di crisi prevista, perché non cantierabili in questo tempo.



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