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 Anno V n° 2 FEBBRAIO 2009    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Economia interna ed estera alla lente d’ingrandimento
Il primo mese di Obama
Il presidente americano lotta contro l’ideologia politica repubblicana, ma il suo piano non può fallire: sarebbe il fallimento dell’America
Di Giacomo Nigro



Abbiamo tutti la speranza che Barack Hussein Obama, 44esimo Presidente degli Stati Uniti, rappresenti una svolta vera e profonda e non solo in campo politico. Si tratta sicuramente di un ricambio generazionale e culturale. Pare che per la prima volta noi tutti abbiamo un leader globale. Egli è un punto di incontro di diverse culture e potrebbe cambiare molte cose, soprattutto avviando il dialogo con il mondo islamico e arabo. Pare molto diverso da George Bush, autore di errori molto gravi, che hanno colpito il prestigio degli Usa nel rapporto con il mondo. Speriamo che, durante il suo mandato, l'uso della forza militare, talora indispensabile, diventi secondario rispetto all'utilizzo di cultura e politica.

Il salvataggio dell'economia è la sfida principale che Obama sta affrontando; nei suoi primi giorni di comando egli ha assunto praticamente il ruolo di banchiere centrale dell'economia americana in crisi, ha spostato un fiume di denaro che finirà nelle tasche degli americani, attraverso tagli delle tasse per le famiglie, sostegni a coloro che stanno perdendo la casa, buoni pasto, estensione dei sussidi di disoccupazione.

Saranno aumentati gli investimenti, che costituiranno le fondamenta della rivoluzione Obama, ci saranno interventi strutturali con la riparazione di ponti e di strade e creazione di una nuova rete elettrica. Obama spingerà per una legge sull'uso di energia eolica e solare nella produzione di elettricità e interverrà sul sistema previdenziale della Social security. In ogni caso nessuno di questi provvedimenti avrà effetti rilevanti sull'economia prima del 2010.

I banchieri e i finanzieri americani che hanno causato la crisi più grave dopo quella del 1929, saranno testimoni ed esecutori del Piano di stabilizzazione finanziaria e rilancio economico. Dovranno convincere i parlamentari che hanno impiegato bene e che impiegheranno meglio i sussidi dello stato, 2.000 miliardi di dollari tra quelli passati e quelli futuri, dovranno dissipare la sfiducia nei piani di Obama che l’irrazionale caduta di Wall Street, all'atto della sua elezione, minaccia di perpetuarsi in America.

La reazione negativa della borsa è stata attribuita a varie cause: la regolamentazione che il Presidente imporrà al mercato, i controlli che compirà sui capitali erogati dallo stato, la relativa modestia dei tagli fiscali e così via. Tutto come se ci fossero alternative valide all'eventuale fallimento del piano Obama, tranne la nazionalizzazione, sia pure temporanea, di grandi banche e imprese. Il suo obiettivo è di salvare il mercato, o meglio il sistema capitalistico americano, ma sarebbe una scommessa perdente se Wall Street non collaborasse.

Intanto di sicuro c'è che i repubblicani al Congresso non collaborano: al Senato solo 3 di loro hanno votato i provvedimenti economici di Obama, nessuno alla Camera. L'ideologia prevale sull'interesse nazionale; per i conservatori lo stato non può interferire nel mondo degli affari, né può resuscitare il welfare, anzi deve contenere le uscite per non aggravare il deficit del bilancio. Ma come ha ammonito il Presidente, la crisi rischia di degenerare in una catastrofe per troppe famiglie americane.

Barack Obama, ha aperto la strada alla nuova auto pulita, chiedendo che venga riesaminata la possibilità di autorizzare la California a varare regole più severe sull'inquinamento atmosferico. Rispetto al suo predecessore George W. Bush, quello annunciato da Obama rappresenta un vero cambiamento di rotta, anche se non si tratta della svolta drastica che alcuni avevano auspicato. Il nuovo inquilino della Casa Bianca non ha infatti immediatamente concesso alla California, lo Stato più popoloso e quello in cui si vende il maggior numero di auto, l'esenzione alle regole federali sulle emissioni che provocano l'effetto serra, ma ha chiesto all'Environmental Protection Agency (Epa), l'equivalente del nostro ministero dell'Ambiente, di riesaminare il caso californiano e quindi decidere sulla via da seguire. Il ragionamento di Obama fila: l'America deve puntare all'indipendenza energetica, e le future auto pulite dovranno essere prodotte negli Stati Uniti.

Sul fronte estero Obama ha in programma di mettere fine all'allontanamento nelle relazioni con la Russia di Medvedev; i due presidenti hanno concordato, essendo entrambi nuovi leader di una generazione post-Guerra Fredda, di avere una opportunità unica per creare un tipo di relazioni fondamentalmente diverso tra i due paesi.

Intanto l'Iran aspetta di vedere se ci saranno cambiamenti concreti nella politica Usa. Da parte sua Obama ha dichiarato di essere pronto a tendere la mano all'Iran nel caso in cui il suo regime apra il pugno chiuso. Si tratta quindi di vedere chi farà la prima mossa.

Tornando alle nostre speranze, quelle cioè di noi europei e italiani, dopo l'euforia dell'elezione e l'evidenza delle difficoltà interne che Obama affronta con un Parlamento sostanzialmente diviso in due, pare subentrare una presa d'atto delle difficoltà di un esito positivo immediatamente percepibile del nuovo corso. Occorrerà aspettare l'esito che i provvedimenti del Presidente avranno sull'economia americana per vederne i frutti in un'Europa sostanzialmente divisa nell'affrontare la crisi e, purtroppo, fortemente tentata dal protezionismo economico.



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