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Come sarà la scuola italiana di domani?

I tagli alle “spese”, mostrano il limite di una riforma che non riforma, ma taglia. Senza soldi non si può avere la qualità che invece è necessaria

Di Silvano Filippini


Non sono ancora del tutto chiari i danni che la riforma Tremonti-Gelmini causerà alla scuola. Anche perché ci vuole una buona dose di fantasia per chiamarla “riforma”!
Tuttavia alcune ipotesi si possono già avanzare dopo aver letto il “piano programmatico di interventi volti alla razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico”.
Innanzitutto si deve sapere che alcuni deputati, riuniti nella VII Commissione (cultura, scienza e istruzione), hanno da tempo manifestato parere contrario alla riforma ed hanno avanzato una proposta alternativa. Ma non è servito a nulla!

Del resto la riduzione drastica delle risorse finanziarie (7 miliardi e 832 milioni in meno) nei prossimi anni porterà necessariamente ad un considerevole taglio di insegnanti (-87.341) e di personale ATA (-44.500); tuttavia il ridimensionamento non è supportato da dati certi e coerenti.
Ad esempio la spesa statale per l’istruzione (già esigua secondo i dati OCSE) è scesa negli ultimi quattro anni, passando dal 3,1 per cento al 2,8 per cento del PIL. Oltretutto il Governo si ostina a dire che il 97% di tale spesa riguarda gli stipendi del personale, ma si tratta di una bufala: secondo l’OCSE l’Italia destina al personale l’80.7% dei finanziamenti, cioè in linea con gli altri maggiori stati europei,

Allora perché il sistema scolastico italiano non funziona? O, almeno, funziona soltanto nella fascia della scuola primaria per poi scadere progressivamente nella media e nelle superiori dove i test europei evidenziano le scarse conoscenze dei nostri studenti si evidenzia un alto abbandono degli studi, specialmente al sud dove, oltretutto, risultano già molte le defezioni dovute al rifiuto dei genitori di avviare alla scuola i propri figli, già poco motivati a dedicarsi agli studi per via dell’ingerenza della camorra che promette facili guadagni senza sacrifici. Sarà un caso, ma la Campania risulta al top anche per ciò che concerne il 5 in condotta dopo il primo quadrimestre di quest’anno.
Per non parlare dell’Università dove sono moltissimi gli iscritti che non arrivano alla laurea o, peggio, si ritirano dopo un anno. E la percentuale di laureati in funzione della popolazione è tra le più basse d’Europa.

Perché mai, pur avendo uno sviluppo economico adeguato al resto d’Europa e una spesa per l’istruzione adeguata, anche alle caratteristiche socio-culturali familiari, ci troviamo sempre più bassi in graduatoria, man mano che si avanza negli studi?
Per ciò che concerne l’Università la risposta può essere legata all’eccessivo uso del “baronismo”, che ha generato una frammentazione esasperata delle mini-sedi universitarie e corsi di laurea assurdi, dove risultano iscritti pochissimi studenti (in alcuni casi anche uno solo), soltanto per creare posti di lavoro da assegnare a parenti ed amici.
Per ciò che riguarda gli altri corsi di studio la risposta non è semplice, perché contempla diverse cause tra cui la scarsa efficacia della scuola nello sfruttare gli investimenti, spesso concessi “a pioggia” senza considerare la meritocrazia, assioma fondamentale per migliorare il livello di insegnanti e studenti.

Del resto, se andiamo a considerare il modello tedesco e svedese, appare sin troppo evidente che le loro scuole sono a caccia dei migliori professori in modo da innalzare il livello dell’offerta formativa. Al punto che in alcuni distretti tedeschi si hanno difficoltà nel reperire ottimi insegnanti in quanto questi preferiscono migrare dove vi sono migliori offerte economiche e di carriera. Se poi consideriamo la Svezia, autentico paradiso per ciò che concerne l’organizzazione scolastica (e non solo), dove ognuno può aspirare a raggiungere i massimi livelli grazie alle borse di studio garantite a tutti, il Governo è fermamente intenzionato a migliorarla ulteriormente, nonostante gli svedesi siano già i primi in Europa.
Tutto ciò perché sono giustamente convinti che solo così sarà possibile far fronte alla globalizzazione, che ha investito anche l’aspetto formativo: solo i migliori studenti possono aspirare alla competizione mondiale dei “cervelli” e, nel contempo, saranno in grado di innalzare il livello culturale e tecnologico della propria nazione che, a sua volta, potrà competere nel mercato mondiale.

Esattamente come in Italia dove il merito appare un autentico sconosciuto, dove molti cinquantenni (spesso vincitori di concorso) sono tuttora insegnanti precari senza speranza; dove i test di ammissione in certe università si conoscono in anticipo; dove i precari si adattano ad insegnare nelle scuole private, senza percepire uno stipendio, pur di accumulare punti atti a migliorare la propria posizione in graduatoria; dove alcuni insegnanti si sono persino adattati a far domanda per un posto in segreteria o di bidello, pur di poter continuare a lavorare in attesa che si avveri il sogno; dove la maggior parte delle numerose scuole private, disseminate sul territorio, raggiungono un buon numero di iscritti semplicemente perché offrono promozioni a pagamento e non obbligano alla presenza che, nel migliore dei casi, si limita ai momenti in cui si svolgono i test scritti (e mai orali) facilitati; dove l’edilizia scolastica (specialmente al sud) è assai deficitaria e molte scuole risultano non ancora a norma o prive di palestre e laboratori degni di tale nome.

Ora anche la scuola Primaria (vanto della nostra penisola) rischia di venir declassata al pari degli altri livelli scolastici, grazie all’eliminazione del modulo. Così la diffusione dell’ignoranza coinvolgerà anche la base.
Già la prima reazione dei genitori c’è stata: mai raggiunta in precedenza una percentuale così alta di richieste sul tempo pieno. Forse nella vaga speranza di mantenere a scuola tutti i docenti tra cui quelli che meglio si sono distinti per capacità didattiche e di relazione con i bambini, indipendentemente dalla loro posizione in graduatoria, legata soltanto all’anzianità e non al merito.

E pensare che il valore di una nazione si misura dal suo livello culturale, tecnologico e sociale!
In tale computo la scuola dovrebbe occupare i primi posti, al pari del servizio sanitario e dalla capacità di offrire sicurezza. Se nella sanità potremmo aspirare all’eccellenza (se non fosse per l’ eccessiva disomogeneità delle offerte tra regione e regione e alcuni tempi d’attesa irragionevoli), per ciò che concerne la sicurezza (e di pari passo la giustizia) e l’istruzione stiamo precipitando verso i livelli delle nazioni del terzo mondo.
E a forza di precipitare finiremo per farci male veramente!

Argomenti:   #bilancio ,        #gelmini ,        #opinione ,        #politica ,        #riforma ,        #scuola



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