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 Anno V n° 4 APRILE 2009    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



Gli inganni in tavola e gli inganni della propaganda degli agricoltori
La Coldiretti ha lanciato un allarme: una direttiva europea deve essere recepita dall’Italia. Questa permette in Italia prodotti che prima erano vietati. I problemi esistono, ma il messaggio diffuso è molto scorretto.
Di Il Nibbio



In queste ultime settimane la Coldiretti ha lanciato un allarme per una direttiva europea che deve essere recepita dall’Italia. Una legge in questo senso è già stata approvata dal Senato e ora è passata alla Camera e la Coldiretti solleva una serie di problemi e chiede modifiche.
Premesso che in genere i prodotti italiani hanno una qualità molto elevata, più di quella degli altri paesi comunitari, dobbiamo rilevare come, purtroppo, anche nella rimostranza fatta, specialmente quella diffusa dalla stampa, si usino dizioni che creano allarmismo e confusione, invece che sollevare il vero problema con chiarezza: il rischio di frodi legalizzate.

Qualcuno ha pubblicato questo elenco, che mi permetto di appuntare per cercare di far capire la realtà del problema.

    IL VIA LIBERA AGLI INGANNI IN TAVOLA (Fonte: Coldiretti)

    L’aranciata senza arancia -
    La possibilità di vendere sul mercato bibite di fantasia al gusto e con il colore dell’arancia, senza contenere tuttavia neanche una minima percentuale del prezioso agrume è prevista invece - riferisce la Coldiretti - dal progetto di legge comunitaria già approvato dal Senato, che di fatto taglia l’obbligo del contenuto minimo del 12 per cento di succo di agrumi, previsto fino ad ora per questo tipo di bevande.

Questo è un caso appunto di un prodotto al “sapore d’arancia”: è evidente che si vuole fornire acqua e dolcificanti, difficilmente zucchero, colorati ad un prezzo superiore a quello ragionevole: sarebbe più logico usare concentrati da aggiungere all’acqua, questo almeno ridurrebbe ulteriormente il prezzo. Mi permetto di ricordare che comunque esistono da molto tempo in commercio già bibite fatte praticamente solo da acqua, zucchero, acidificanti (acido tartarico, citrico o fosforico), aromi e coloranti. Ne ricordo qualcuna: la spuma, la gazzosa (vendute sotto vari nomi commerciali), molte bibite a base di caffeina, e di estratti di cola che sono oggi diffusissime.

    I formaggi alla caseina - Utilizzo della caseina e dei caseinati in sostituzione parziale del latte per ottenere formaggi a pasta filata, venduti come analoghi alla mozzarella.

Anche qui è evidente la perdita di qualità del prodotto. Personalmente sono contrario a prendere cose simili, il mio motto è: poco, ma buono.

    Il vino senza uva - La riforma ha dato il via libera al vino “senza uva”, ovvero ottenuto dalla fermentazione di frutta, dai lamponi al ribes. Una pratica enologica che altera la natura stesso del vino che storicamente e tradizionalmente è solo quello interamente ottenuto dall'uva

Questi sono ottimi prodotti, se fatti secondo le regole, non si tratta evidentemente di vino, ma di sidro o di altre denominazioni a secondo del prodotto da cui si parte. Non vedo alcun rischio per il consumatore nella loro liberalizzazione, se vengono fissate precise regole di produzione. La preoccupazione è evidente per i produttori di vino di scarsa qualità: prodotti ottenuti dalla fermentazione di altri frutti possono erodere il loro mercato.

    Il cioccolato senza cacao: L’Unione Europea ha imposto all’Italia di aprire i propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao.

Anche qui il vero problema è che sia molto chiara la dizione, credo che non ci dovrebbe essere contenuta la parola cioccolato o cacao. Voglio solo ricordare che la Ferrero durante la guerra e nell’immediato dopoguerra aveva in commercio un ottimo surrogato del cioccolato, fatto a base di nocciole; forse proprio quello, perfezionato, ha dato vita alla famosissima Nutella. Volgiamo cancellare la Nutella?

    Il vino rosé ai miscugli - Diventa possibile - riferisce la Coldiretti - produrre vino rosé semplicemente mescolando vino bianco e rosso invece di produrlo secondo il metodo naturale tradizionale con la vinificazione in bianco delle uve rosse.

Non vedo il problema: l’importante è che il prodotto sia sano e che il prezzo sia giusto. La dizione “vino rosé ai miscugli” è una pessima presentazione del problema, piena di falsità in chi la scrive, perché imprime nel lettore un’idea di “porcheria” che non è: i “miscugli”di vini sono sempre esistiti nella tecnica enologica e nessuno se ne è mai lamentato. Se oggi si usa questo termine in senso dispregiativo è forse dovuto alla palese inconsistenza della critica.

    Il vino allo zucchero - E’ una pratica, utilizzata nei paesi del Nord Europa, che permette di aumentare la gradazione del vino attraverso l’aggiunta di zucchero. Lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei paesi del Mediterraneo e in Italia, che ha combattuto una battaglia per impedire un “trucco di cantina” e per affermare definitivamente la definizione di vino quale prodotto interamente ottenuto dall'uva.

Questa è una battaglia che osteggio fermamente. L’aggiunta di zucchero nel vino, secondo le tecniche europee, porta a un prodotto commerciale migliore di quello ottenuto in Italia con i concentrati per elevare la gradazione. Si tratta solo di una guerra per mantenere in vita coltivazioni vinicole non adatte al commercio.

    Il vino dealcolato - Viene permesso di eliminare parte dell’alcol, naturalmente contenuto nel vino attraverso determinate pratiche enologiche.

Anche in questo caso non vedo alcun rischio, anzi permette di avere vini a minor gradazione e certamente più graditi ad alcuni segmenti di mercato, sempre per vini da “tavola”

    Il vino ai trucioli - Nel 2007 - conclude la Coldiretti - è stato dato il via libera all'invecchiamento artificiale del vino con segatura di legno (i cosiddetti trucioli) al posto delle tradizionali botti senza che ciò debba essere indicato chiaramente in etichetta.

Questo tipo di lavorazione non è evidentemente un invecchiamento. “L’invecchiamento” coinvolge reazioni complesse che affinano il “bouquet” e che necessitano appunto tempo.
Attraverso la lavorazione, macerazione del vino con i trucioli, si fa assorbire il sapore del legno in tempo rapido, ma questo non produce certo i vini di grande pregio e qualità, anche se di certo può portare a vini più gradevoli per il consumo ordinario. Non c’è motivo quindi di osteggiare questo tipo di lavorazione, ma solo di pretendere la chiara dizione in etichetta.
Invece c’è ancora una volta da segnalare che la dizione “vino ai trucioli” è evidentemente molto scorretta, poiché non si tratta di usare i trucioli per fare il vino. Ancora c’è da pensare che si desidera fornire un immaginifico negativo e non corrispondente a critiche reali per dare peso ad affermazioni senza consistenza.

Come vediamo il vero problema è la chiarezza ed è solo questo. Quello che si deve pretendere è quindi che le etichette riportino in modo chiaro e con dimensioni ben leggibili come è ottenuto il prodotto. Ripeto ancora una volta che tutte le richieste riguardo al vino hanno la foggia di difendere una lobby che ha sviluppato un mercato del vino di bassa qualità (quello sotto i 2-3€ alla bottiglia per intenderci) e che si troverebbe a dover cambiare metodi o sparire, ma questo evento fornirebbe prodotti più sani e migliori degli attuali.

Per onestà si deve dire che il comunicato stampa della Coldiretti non contiene tutte quelle forzature nella dizione che la stampa ha invece esasperato, ma il tono è comunque quello di far apparire pericolose cose che invece si qualificano come piccole possibili “frodi alimentari”, superabili da una corretta etichettatura.

Inoltre, sempre la Coldiretti aggiunge una notizia positiva che i mass media sembrano in questo caso aver dimenticato. Infatti la recente decisione dell’Unione Europea di rendere obbligatoria l’ indicazione dell’origine dell’extravergine di oliva a partire dal mese di luglio, questo permetterà finalmente di fare chiarezza in un mercato molto confuso. Spesso l’olio è di bassa qualità importato da altri paesi del mediterraneo. E ancora, viene spacciato per “olio d’oliva” un prodotto ottenuto per estrazione chimica dalle sanse (il residuo di spremitura delle olive) e con l’aggiunta di olii non d’oliva.



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