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 Anno V n° 5 MAGGIO 2009    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Il ritorno della pirateria
Cosa succede nei mari somali?
Ma cosa fanno le potenze del modo per salvaguardare i commerci? Perché ci sono i pirati?
Di Il Nibbio



Abbiamo parlato ampiamente dei problemi del Corno d’Africa e della Somalia nel numero di Spaziodi Magazine del 17 ottobre 2006, ma il “ritorno dei pirati” riaccende l’attenzione del mondo internazionale su un problema, oggi diventato enorme, a cui i potenti del mondo non hanno saputo (o voluto) dare soluzione.

Non passa giorno che una nave in transito da o verso il Capo di Buona Speranza o il Canale di Suez non subisca un attacco dei Pirati, quando passa nelle vicinanze delle coste somale. Questo non può che far sorgere dei dubbi sulla capacità delle potenze internazionali a fare rispettare la sicurezza dei commerci internazionali.

Credo che tutti si chiedano: ma è possibile che ancora oggi i pirati possano dettare legge? La risposta dei fatti è si! Sono più di duecento le navi sequestrate e non sono certo state nascoste da frasche o da teloni: sono lì, sono ben visibili, tutto è ben controllabile via satellite, ma... non si può intervenire.

Forse non è che non si possa, ma è che gli interessi contrastanti non vengono compattati dal miraggio di benefici corrispondenti: la Somalia è un paese povero e non è neanche interessata da possibili oleodotti per petrolio e gas metano, come invece è stato per i paesi dove il mondo occidentale ha mandato le sue truppe a difendere la “libertà”.

Ecco che la Somalia, finito il periodo di controllo fiduciario dell’Italia, dopo aver raggiunto formalmente l’indipendenza, si è disgregata in tanti pseudo-stati controllati dai Clan, tornando quindi ad una situazione simile a quella di prima dell’occupazione italiana all'inizio del secolo scorso. La stessa influenza dell’Islam non è perfettamente chiara. Sicuramente l’islam ha la sua parte, perché in esso si riconoscono i Clan che comandano, ma essi mantengono una notevole indipendenza dalla struttura del terrorismo asiatico e, comunque, fanno riferimento solo ai capo-clan somali.

In questa situazione è evidente che per mantenere gli “eserciti rivoluzionari” occorrono i soldi e la pirateria è il modo di procurarsi quei soldi. Non solo, lo Stato Somalo ha legittimato l’azione dei pirati; infatti c’è una legge somala, la n. 37 del 10 settembre 1972, che stabilisce in 200 miglia l’estensione delle acque territoriali, anche se leggi successive hanno ridotto a 12 miglia questa estensione, sul sito delle Nazioni Unite compare ancora quella legge somala e così in un paese dove non si sa più chi abbia il potere reale, quella fa testo ed è difficile da sconfessare.

Così però la pirateria assume un carattere tale per cui diventa arduo identificarla in assoluto come “reato” privato, in quanto compaiono, a seconda di quale sia la zona di riferimento dei pirati, delle motivazioni che ricordano quelle antiche: pedaggio, garanzia di sicurezza, controllo del carico, ecc.
Ad esempio il blocco del nostro rimorchiatore “Buccaneer” trova la giustificazione nel fatto che si deve controllare se le chiatte rimorchiate trasportano rifiuti più o meno tossici da smaltire abusivamente. Questo riporta alla memoria un brutto ricordo della presenza italiana degli anni ’80 al tempo della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Ma torniamo al problema dei “pirati”. La prima osservazione è: come è possibile che le navi presenti per garantire la sicurezza non riescano ed evitarli?
Durante la guerra venivano fatti convogli di navi commerciali, che venivano scortati delle navi militari, per evitare gli attacchi nemici, qui invece, come è successo qualche giorno fa anche alla nave passeggeri italiana Melody della MSC, è lo stesso equipaggio a mettere in atto le difese.

La disorganizzazione della presenza militare internazionale è uno dei grandi problemi.
Le Marine presenti con proprie navi da guerra nei mari somali sono tante: Russia, Cina, Giappone, India, Corea del Sud e Singapore, gruppi navali della Nato, dell’Unione Europea e della “Combined Task Force 150”, ma ognuna va con regole di ingaggio proprie; così non solo vi sono presenze ridondanti e invece zone sguarnite, ma possono anche avvenire casi come quello dell’arrembaggio sventato alla nave cisterna Mv Kition dalla nave da guerra portoghese.
In quel caso 20 pirati sono stati fermati e la nave appoggio della lancia pirata è stata abbordata. Sulla nave, è stato scoperto esplosivo ad alto potenziale, quattro kalashnikov e un lanciarazzi con nove proiettili; però i marinai portoghesi hanno poi rilasciato i pirati; infatti ogni nave da guerra, impegnata nelle operazioni anti-pirateria, deve conformarsi alla legislazione del suo paese e in questo caso non potevano trattenerli. Praticamente l’intervento così diventa inutile.

La mancanza di poteri legittimi locali, come abbiamo già detto, è l’altro problema.
Sempre più spesso esponenti somali affermano il ruolo dei pirati nel difendere le coste somale e gli interessi nazionali, la tutela dell’ambiente marino dall’immissione di rifiuti tossici o la protezione delle risorse ittiche dalla depredazione messa in atto dai battelli da pesca asiatici e occidentali. Non possiamo che rilevare che questo diventa non facilmente opponibile, perché i paesi occidentali ed asiatici hanno in effetti speculato abbondantemente sulla incapacità dei governati somali e hanno inquinato le coste e depredato i mari con una pesca irrazionale.

Ecco che tornano a galla gli interessi illeciti, ma ci sono anche interessi meno turpi, anche se praticamente impediscono una soluzione del problema somalo e sono quelli della presenza militare dell’ Unione Africana (Amisom), come forza di controllo internazionale in Somalia.
La missione è stata approvata dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 per assicurare la protezione dei membri del congresso per la riconciliazione nazionale somala e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave; è ovvio che le truppe dispiegate vengono pagate dai paesi “donatori” del mondo e diventano una fonte di reddito per i paesi che inviano truppe.

Quali siano gli interessi in gioco lo si intuisce dal risultato della conferenza dei paesi donatori, tenuta a Nairobi il 23 aprile scorso; la raccolta di fondi per la costruzione del nuovo apparato di sicurezza somalo ha inaspettatamente superato le previsioni, andando oltre i 250 milioni di dollari. La previsione di spesa per il solo contingente dell’Unione Africana è stimato in 131 milioni di dollari, ma si fa notare come, se si investisse invece sull’addestramento della polizia e dell’esercito somalo, anche con il mantenimento, la cifra sarebbe ben più modesta, solo 31 milioni di dollari; questo solleva malumori e dubbi sulla reale autonomia delle Istituzioni Transitorie.

Non si può però ignorare che la diffusa corruzione e la frammentazione in tribù creano una situazione di poca affidabilità delle autorità locali e sembrano con questo bloccare ogni tentativo di stabilizzare un’autorità centrale, internazionalmente riconosciuta da tutti.

Ecco che così i pirati sono inarrestabili, ma non possiamo dimenticare che quegli uomini, che rapinano le navi, sono nello stesso tempo anche vittime della situazione creata dall'invasione delle compagnie internazionali in Somalia, infatti spesso sono proprio i pescatori che sono rimasti senza lavoro a causa della pesca in mare fatta in modo pesante e distruttivo dalle compagnie asiatiche e occidentali.



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