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Leggendo la relazione all’Assemblea della Banca d’Italia

L’Italia in crisi vista da Draghi

L’analisi dell’economia italiana e delle prospettive è decisamente pesante; sono assolutamente necessarie le riforme da subito, in particolare quella della pubblica amministrazione per fronteggiare il disavanzo pubblico che esploderà.

Di Giovanni Gelmini


Subito dopo l’Assemblea di Confindustria si è tenuta la più autorevole assemblea della Banca d’Italia. La relazione del Governatore è sempre un punto di riferimento sullo stato dell’economia dell’Italia.

Anche Bankitalia risente, seppure in modo minore dell’influenza dei suoi associati e solo la presenza del “dittatore a vita”, il Governatore, ne limita il peso, ma non possiamo dimenticare che il suo esame resta sempre più attento ai problemi monetari che a quelli della produzione del reddito. Proprio per queste differenze ci sembra molto significativa la forte convergenza delle visioni espresse da Draghi e dalla Marcegaglia, quindi i loro rilievi hanno evidentemente basi molto credibili.

Da monetarista Draghi punta da subito il dito sul più grave rischio che stiamo correndo: la “deflazione” (N.d.R. inflazione negativa, gli economisti raccomandano di avere sempre una leggera inflazione perché questa risulta di stimolo alla domanda e quindi assicura lo sviluppo, la deflazione al contrario inibisce la domanda e lo sviluppo economico con la possibilità dei cambiamenti per migliorane la qualità). Questo rischio secondo il Goverantore è presente anche se è modesto perché “ perché le aspettative d’inflazione a medio e a lungo termine si mantengono vicine al 2 per cento ”, la preoccupazione è quella di “predisporre per tempo strategie di rientro dagli elevati disavanzi fiscali, dalla straordinaria creazione di liquidità che caratterizzano la situazione presente.” Questa liquidità è dovuta ai bassi tassi di interesse assundi dalla BCE, ma in Italia, come affermato anche dalla Marcegaglia, non si trasferisce in liquidità per le imprese.

Anche per Draghi non abbiamo ancora raggiunto il punto minimo della crisi e “si prevede che la crescita riprenderà nel 2010. L’attesa generale per i prossimi mesi è di riduzioni di occupazione, di reddito, accompagnate dal permanere di volatilità sui mercati finanziari, con riflessi negativi sui consumi e sugli investimenti.
Con i “Tremonti Bounds” si è evitato un tracollo del sistema finaziario che avrebbe distrutto l’economia reale, “ma né l’espansione monetaria né l’azione degli stabilizzatori automatici presenti nei bilanci pubblici sono state sufficienti a contrastare la caduta della domanda aggregata e i costi sociali della recessione.” e al spiegazione forse la troviamo in un passo successivo, che ovviamente è una precisa accusa la Governo: “ In Europa il Consiglio dell’Unione ha richiesto di realizzare nel 2009 interventi di stimolo complessivamente pari all’1,5 per cento del prodotto dell’area.
Nell’insieme dei paesi industriali e in molti di quelli emergenti, in primo luogo in Cina, la risposta delle politiche di bilancio è stata nettamente espansiva.
– e più avanti - Secondo le stime del Fondo monetario internazionale, nel 2009 il disavanzo di bilancio dei paesi avanzati raggiungerà quasi il 9 per cento del prodotto, per poi diminuire di un punto nel 2010. L’incidenza del debito pubblico lordo aumenterà tra il 2008 e il 2010 di 27 punti negli Stati Uniti, sfiorando il 100 per cento, e di 16 punti nell’area dell’euro, all’85 per cento.

Ma allora perché Tremonti chiude la borsa e addirittura non paga i debiti alle imprese e ai privati? Su questo Draghi non si sbilancia; si limita a ricordare che “ senza il risanamento delle banche e senza una ripresa del circuito del credito la recessione sarà più lunga e la ripresa più lenta, nonostante l’eccezionale espansione dei disavanzi pubblici.

La crisi è stata certamente innescata dalle ripetute “bolle speculative”; noi riteniamo che non sia solo questo il motivo, però Draghi insiste su questa affermazione, visto che la politica resta condizionata dalle lobby ; per la precisione dice: “ Il mercato rifiutava i pur timidi interventi delle politiche economiche; accecato, perdeva la propria capacità diagnostica; i suoi meccanismi autocorrettivi erano paralizzati.” - rivendica un nuovo ruolo delle Banche Centrali che includa “espressamente tra i loro obiettivi la stabilità finanziaria

La crisi in Italia
In Italia la crisi mondiale determinerà, secondo le previsioni più aggiornate, una caduta del PIL di circa il 5 per cento quest’anno, dopo la diminuzione di un punto nel 2008.”; per fortuna che la crisi non esisteva o è già passata!
Quali le cause? Daghi le individua per prima cosa “nel crollo della domanda estera ha provocato una forte contrazione della produzione industriale e degli investimenti.” Questo ha innescato l’immediata reazione delle imprese cioè: “chiusura provvisoria di interi stabilimenti o linee produttive; riduzione, temporanea o permanente, della manodopera; rinvio degli acquisti, sia di semilavorati sia di beni capitali; dilazioni insolitamente lunghe dei pagamenti ai fornitori. Nei sei mesi da ottobre 2008 a marzo 2009 il PIL è caduto in ragione d’anno di oltre 7 punti percentuali rispetto al semestre precedente.”.
Secondo Draghi non vi sono elementi statistici che oggi indichino un affievolimento della recessione, ma solo segnali di un rallentamento della caduta provengono dai mercati finanziari e dai sondaggi d’opinione.

L’occupazione e i consumi
Draghi fa un’analisi precisa del meccanismo rigurdante le misure prudenziali che le imprese hanno adottato per fronteggiare la recessione per il lavoro. Rileva come la Cassa Integrazione interessi solo un terzo dell’occupazione dipendente privata, gli altri ne sono privi e fornisce al lavoratore un’indennità massima inferiore, in un mese, alla metà della retribuzione lorda media nell’industria, quindi è insufficiente. Mentre per oltre 2 milioni di lavoratori temporanei il contratto giunge a termine nel corso di quest’anno e questi non hanno a disposizione alcun ammortizzatore. Segnala che oggi i lavoratori in Cassa integrazione e coloro che cercano un’occupazione sono già intorno all’8,5 per cento della forza lavoro, quota che potrebbe salire oltre il 10. Questo va necessariamente a ridurre la disponibilità di spesa da parte di una gran parte delle famiglie e, di conseguenza, crea incertezze e comprime i consumi ben oltre la riduzione del reddito delle famiglie (N.d.R. infatti la propensione al risparmio delle famiglie è aumentata).

Le imprese e la crisi
L’analisi della situazione delle imprese è impietosa e segnala la sua eccezionalità: la riduzione del fatturato, che per molte imprese supererà il 20%, e la grande incertezza circa la durata della crisi portano, per l’anno in corso, alla riduzione degli investimenti del 12 per cento nel complesso nell’industria e nei servizi, di oltre il 20 nella manifattura.

Dall’indagine di Bankitalia, circa metà delle 65.000 imprese dell’industria e dei servizi con almeno 20 addetti si attendono un calo del fatturato nel 2009 nettamente inferiore alla media. Rileva inoltre. “A un estremo, le aziende finanziariamente più solide presenti in questo gruppo oggi attutiscono l’impatto dell’avversa congiuntura consolidando il primato tecnologico e diversificando gli sbocchi di mercato. Non sono poche, stimiamo più di 5.000, con quasi un milione di addetti. Alcune sembrano proiettate a trarre vantaggio dalla crisi, in termini di riposizionamento sul mercato. All’altro estremo vi sono imprese che, avendo deciso di accrescere scala dimensionale, intensità tecnologica, apertura internazionale, si erano indebitate. Affrontano ora, con la crisi, il prosciugarsi dei flussi di cassa, l’irrigidirsi dell’offerta di credito bancario, la forte difficoltà ad accedere al mercato dei capitali; si tratta di almeno 6.000 aziende, che impiegano anch’esse quasi un milione di lavoratori.

A risentire della crisi sono soprattutto le imprese piccole, sotto i 20 addetti; nella sola attività manifatturiera se ne contano in tutto quasi 500.000, con poco meno di due milioni di occupati. E per loro è a rischio la stessa sopravvivenza. Anche in questo caso il problema del credito diventa determinante e Draghi ricorda che, se nei prossimi mesi vi sarà una mortalità delle imprese eccessiva, “il potenziale per tornare a prosperare dopo la crisi è un secondo, grave rischio per la nostra economia.

“Secondo la nostra indagine- continua Draghi - l’8 per cento delle imprese ha ricevuto un diniego a una richiesta di finanziamento...oltre il 10 per cento delle imprese dichiara di aver ricevuto, da ottobre, richieste di rimborsi anticipati.. È ovvio l’invito “alle nostre banche di affinare la capacità di riconoscere il merito di credito nelle presenti, eccezionali circostanze. Va posta un’attenzione straordinaria alle prospettive di mediolungo periodo delle imprese che chiedono assistenza finanziaria. Nei metodi di valutazione, nelle procedure decisionali delle banche vanno tenute in conto tecnologia, organizzazione, dinamiche dei mercati di riferimento delle imprese.

Le politiche anticrisi
Per uscire dalla crisi “un’azione credibile e rigorosa di riequilibrio dei conti pubblici, in un orizzonte temporale prestabilito, può permettere una politica economica più incisiva.

Certamente il problema del deterioramento del mercato del lavoro è uno dei punti cruciali da affrontare. Draghi mette in evidenza le manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale: la sua frammentazione per cui lavoratori altrimenti identici ricevono trattamenti diversi solo perché operano in un’impresa artigiana invece che in una più grande. Cita una stima che fa veramente paura: “1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento. Tra i lavoratori a tempo pieno del settore privato oltre 800.000, l’8 per cento dei potenziali beneficiari, hanno diritto a un’indennità inferiore a 500 euro al mese.” Questi sono i problemi che creano difficoltà e insicurezza alle famiglie e sono alla base della contrazione della domanda interna.

Secondo il Governatore della Banca d’Italia “Va colta oggi l’occasione per una riforma organica e rigorosa, che razionalizzi l’insieme degli ammortizzatori sociali esistenti e ne renda più universali i trattamenti. Non occorre rivoluzionare il sistema attuale. Lo si può ridisegnare intorno ai due tradizionali strumenti della Cassa integrazione e dell’indennità di disoccupazione ordinarie, opportunamente adeguati e calibrati”.

Poi anche Draghi punta il dito contro il ritardo nei pagamenti dei debiti commerciali delle Amministrazioni pubbliche, che ammontano a circa il 2,5 per cento del PIL. Come utile sarebbe “ operare una temporanea sospensione dell’obbligo di versare all’INPS le quote di TFR non destinate ai fondi pensione”. Infine una cosa che anche noi abbiamo più volte sostenuto: “vanno accelerati il completamento dei cantieri già aperti e la realizzazione di opere a livello locale, molte delle quali, per la loro contenuta dimensione, possono essere avviate in tempi brevi.

Il riequilibrio dei conti pubblici e le politiche strutturali
Secondo Draghi il disavanzo pubblico, solo per l’operare degli stabilizzatori automatici, dovrebbe aumentare nell’anno in corso di circa 2 punti percentuali del prodotto, a oltre il 4,5 per cento; nel 2010, il disavanzo potrebbe superare il 5 per cento. Questo senza che vi siano interventi aggiuntivi di sostegno all’economia. Il peso del debito sul prodotto aumenterà comunque di molto e si riporterà ai livelli dei primi anni Novanta. La spesa pubblica complessiva supererà largamente il 50 per cento del PIL e, in assenza di interventi, tenderà a permanere su quel livello negli anni successivi. Questo implica che sull’economia gravi a lungo una pressione fiscale molto elevata.

Una volta superata la crisi – sottolinea Draghi- il nostro paese si ritroverà non solo con più debito pubblico, ma anche con un capitale privato – fisico e umano – depauperato dal forte calo degli investimenti e dall’aumento della disoccupazione.” Questo comporterebbe che l’Italia si manterrà su livelli di bassa crescita, come negli ultimi 15 anni, ma in presenza di condizioni nettamente peggiorate e di conseguenza sarebbe quasi impossibile riassorbire il debito pubblico. Quindi è necessario “puntare a conseguire una più alta crescita nel medio periodo. Occorre quindi agire su due fronti: assicurare il riequilibrio prospettico dei conti pubblici, attuare quelle riforme che, da lungo tempo attese, consentano al nostro sistema produttivo di essere parte attiva della ripresa economica mondiale.

Per evitare questo, per Draghi, è assolutamente necessario procedere immediatamente a varare misure di riduzione della spesa corrente, senza rinvii a ulteriori atti normativi e a decisioni amministrative. Anche Draghi insite nel ritenere “cruciale il passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard nell’attribuzione delle risorse agli enti decentrati. Ma questo, che taglia i fondi al clientelismo, piacerà ai politici?

Tra i fattori cruciali citati da Draghi vi sono: la “semplificazione normativa” e “l’efficacia dell’azione pubblica, che permetterebbero di ridurre il peso dell’economia irregolare, oggi stimato in più del 15 per cento dell’attività economica; accrescere i livelli di apprendimento nella scuola e nelle università e ridurre il divario tra la dotazione infrastrutturale dell’Italia e quella media degli altri principali paesi dell’Unione europea (più che triplicato negli ultimi vent’anni).

Ancora su un punto Draghi punta il dito: “nelle grandi opere la mancata individuazione delle priorità di lungo periodo ha generato discontinuità e dispersione dei finanziamenti su una molteplicità di lavori: il numero di infrastrutture strategiche prioritarie è passato dagli originali 21 progetti a oltre 200.” a questo si aggiungono i costi che in Italia sono largamente superiori a quelli di tutti gli altri paesi europei.

Draghi chiede, ala fine della relazione, che il processo di liberalizzazione intrapreso negli anni passati non si fermi, né receda.

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