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 Anno V n° 7 LUGLIO 2009    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Più chiarezza farebbe bene allo sport
Anche lo sport dei professionisti è in crisi
Qualche idea per migliorare la situazione europea e italiana, potrebbe esserci
Di Silvano Filippini


La crisi finanziaria mondiale ha colpito anche il mondo dello sport professionistico che da troppi anni si ostina a viaggiare in una situazione anomala in cui le entrate risultano nettamente inferiori alle uscite. O meglio ci si è illusi che l’avvento della pay TV avrebbe sanato i bilanci che facevano acqua da ogni parte senza tener conto che la conseguenza più logica sarebbe stata la diminuzione dei frequentatori degli stadi. Del resto è assai più comodo starsene seduti a casa, al calduccio e, oltre tutto, spendendo meno ed evitando anche il pericolo, sempre più tangibile, di venire coinvolti in risse da stadio dentro e fuori dall’impianto.

Se a tutto ciò si aggiunge che l’attuale crisi globale ha ridotto ulteriormente gli euro a disposizione del basso ceto sociale (cioè la maggior parte degli appassionati), il quadro si fa ancora più drammatico.
Mi fanno ridere i tifosi infuriati contro le società che tentano di cedere la proprietà o di ridimensionare le spese, vendendo i propri “gioielli”. Semmai dovrebbero essere grati a quei dirigenti che tentano di sanare i bilanci prima che la società crei un disavanzo tale da portarla alla bancarotta. Del resto ogni anno assistiamo al declino di numerose società italiane che militano nei campionati professionistici degli sport di squadra più diffusi sull’italico stivale. Alcune si limitano a retrocedere in attesa di tempi migliori; altre, purtroppo, scompaiono dalla scena o cedono il diritto sportivo che, il più delle volte, finisce nelle mani di sodalizi che hanno sede in una diversa città, privando così i gli appassionati dello spettacolo domenicale.
Certo, là dove esistono magnati sul tipo di Moratti che non lesinano sulle spese pur di costruire una squadra competitiva, il problema non si pone. Tuttavia di miliardari disposti ad aprire continuamente la borsa si contano sulle dita di una mano.
Ad esempio negli U.S.A., che da cinquant’anni gestiscono i campionati professionistici, il problema si era posto già molto tempo prima perché aveva creato autentiche sperequazioni tra le società più facoltose e quelle con budget limitati. Del resto è risaputo che un campionato, per essere spettacolare e appetibile agli sportivi deve restare incerto sino all’ultimo: proprio per questo sono stati inventati i play-off. In oltre è stato ampiamente dimostrato che le squadre troppo vincenti perdono pubblico al pari di quelle troppo perdenti. Così la rivoluzione di trent’anni or sono si è resa necessaria per mantenere o allargare l’interesse degli appassionati. Sono state introdotte quelle regole che anche il calcio europeo avrebbe dovuto far sue già da tempo per evitare che fosse sempre una ristretta cerchia di società ad aggiudicarsi i campionati nazionali ed europei. In oltre l’organizzazione e le norme per il funzionamento sono state affidate ad un commissioner esterno alle società al quale sono stati concessi pieni poteri. Altro che le Leghe dove convivono i rappresentanti delle società, assai più propensi ad ottenere vantaggi personali che a favorire il miglioramento dello sport.

Ora che abbiamo creato gli Stati Uniti d’Europa sarebbe ora che costruissimo anche l’Unione Europea dello sport adottando quelle regole che governano così bene il mondo professionistico statunitense:
- Città = possono aspirare soltanto quei centri urbani con un numero sufficiente di abitanti che garantiscano di riempire lo stadio o il palazzo dello sport e che consentano un adeguato numero di abbonati alla pay TV.
- Euro = possono accedere al campionato europeo soltanto quelle società che dispongono di un budget sufficiente, coperto da ampie fideiussioni bancarie atte a garantire gli atleti in caso di fallimento.
- Tasse = tutti gli stati aderenti all’unione sportiva dovrebbero avere un'unica percentuale di ritenute fiscali relativa agli atleti professionisti in modo da non avvantaggiare le società appartenenti a nazioni che prelevano meno sugli ingaggi. Quindi va eliminata la sperequazione attuale che vede l’Italia nettamente svantaggiata.
- Controlli approfonditi = è ormai sempre più diffusa l’ingerenza della malavita organizzata che tenta di ripulire il denaro sporco, contaminando il mondo del calcio. Le attuali difficoltà economiche unite alla scarsa professionalità di alcuni club favoriscono la penetrazione di loschi figuri. Pur di salvare la società alcuni presidenti, si affidano incondizionatamente alla criminalità, come è stato evidenziato in una recente inchiesta dell’Ocse.
- Salary cap = si deve introdurre un tetto massimo sui salari della rosa dei giocatori e per non avvantaggiare chi “sfora”; ogni euro speso oltre il tetto comporterebbe un’ammenda che andrebbe suddivisa tra i club più virtuosi.
- Stranieri = o si liberalizza completamente il mercato (come negli Stati Uniti) o si pongono limiti uguali per tutte le nazioni europee. Tra l’altro certe cifre sono del tutto immorali pur considerando la carriera limitata degli atleti. E’ inutile che si propongano limiti ai compensi dei manager pubblici e privati e si consentano certe esagerazioni per giocatori e allenatori. Con il salary-cap tutto ciò scomparirebbe. Ma i giocatori non sono d’accordo!
- Tecnologia di supporto = non è possibile nel terzo millennio ostinarsi ancora a rifiutare ciò che gli altri sport hanno già introdotto per agevolare l’operato dei direttori di gara e per ridurre al minimo le ingiustizie dovute all’errore umano. Errore che nel calcio ha maggior incidenza: sia perché le realizzazioni sono limitate e un solo gol può decidere l’incontro, sia perché un solo arbitro non può assolutamente coprire il vasto terreno di gioco, anche se coadiuvato dai due collaboratori, spesso in disaccordo. Se pensate che nel football americano la medesima superficie è coperta da sette arbitri e, ciò nonostante, in alcune circostanze sono costretti a ricorrere alla moviola!

Questi ultimi due argomenti sono stati trattati più volte tra i vertici del calcio europeo senza mai venirne a capo a causa delle reticenze delle società. Con l’avvento di un commissario esterno al calcio avremmo già modernizzato il football da parecchio tempo. Pare che ora Platinì voglia aumentare a cinque gli arbitri nelle gare europee e introdurre un tetto di spesa, oltre alla sospensione delle gare in caso di razzismo nei confronti dei giocatori, tuttavia se questi cambiamenti venissero accettati, non se ne parlerebbe prima del 2010.

Oltre tutto sarebbero da rivedere anche alcune regole di gioco:
- prima su tutte quella del fuori gioco: non è possibile penalizzare un giocatore più atletico (è contro l’etica dello sport) che corre più veloce del suo difensore e può ricevere la palla. Oltre tutto la normativa attuale è talmente farraginosa che senza moviola è impossibile venirne a capo. Ad esempio è assolutamente assurda la regola per cui un giocatore che rientra da una posizione di fuori gioco passivo per ricevere la palla in posizione corretta, debba essere punito. - anche quelle sul calcio di rigore: ad esempio è insensato far ripetere un tiro che non termina in porta o viene parato (con presa) dal portiere soltanto perché i difensori sono entrati in area in anticipo.
- la mancanza di tempo effettivo genera situazioni paradossali in cui non si gioca, ma ci si limita a perdere tempo con tutti gli stratagemmi possibili; del resto è rimasto l’unico sport a rifiutare il cronometro a scalare per misurare il tempo effettivo di gioco. -simulazione: solo con l’aiuto della moviola (ma non sempre) è possibile valutarla con bassa percentuale d’errore.
- le maglie tirate e le trattenute: sarebbe sufficiente stabilire che ogni fallo di questo genere comporta cartellino giallo (e rosso al secondo tentativo) che non saremmo più costretti ad assistere a queste indecenze. Lasciando correre non si fa altro che fomentare tale comportamento altamente antisportivo.
- tempi supplementari: è del tutto anacronistica la scelta di tirare i calci di rigore nelle gare ad eliminazione. Sarebbe più sportivo proseguire “ad libitum” con i tempi supplementari (5’ effettivi ciascuno) come avviene negli altri sport. Un recentissimo esempio ci giunge dagli U.S.A. dove la finale del basket universitario di quest’anno ha dovuto ricorrere a ben sei tempi supplementari per stabilire la squadra vincitrice. Tuttavia non si tratta del record assoluto perché nella pallanuoto si disputarono 8 tempi supplementari tra Spagna e Italia per assegnare il titolo olimpico Barcellona. D’altra parte tutti gli sport di squadra si sono modernizzati negli ultimi trent’anni, ottenendo maggior spettacolarità e giustizia. Non si capisce perché il mondo del calcio debba restare radicato su posizioni anacronistiche e fuori dai tempi.
Nonostante le notevoli trasformazioni atte a rendere spettacolo gli altri sport di squadra, anch’essi soffrono della precaria situazione mondiale.
Ad esempio il basket italiano ha subito una rivoluzione con l’auto epurazione dell’intero consiglio direttivo della Federazione eternamente in lotta con la lega di serie A che non accetta la limitazione degli stranieri. L’avvento di Meneghin, figura quasi mitologica del basket italiano potrebbe risolvere la questione.
Sino ad oggi le innovazioni si sono limitate al cambiamento delle definizioni delle serie: la serie B-1 ha preso il nome di serie A dilettanti e così via. Per il prossimo anno muterà anche la formula che sostituirà la fase dei play-out con quella “ad orologio”, già utilizzata alcuni lustri or sono.

Nel frattempo alcune piazze soffrono: finali di campionato solo per onor di firma, ridimensionamento degli obiettivi, fusioni, cessioni dei diritti sportivi, sia nel basket che nel volley. Tra l’altro anche le rispettive nazionali soffrono: oltre a non ottenere più titoli olimpici e mondiali, rischiano di restare fuori anche dai campionati europei. Fa eccezione il settore femminile che riesce a restare nelle prime posizioni europee.
A tutto ciò si debbono aggiungere anche le “fughe” dei migliori italiani in NBA o in altre squadre europee più “danarose”. Persino gli allenatori scelgono sempre di più la via dell’estero.
Anche la lega Calcio ha “abbandonato” la serie B per cui i milioni di euro che venivano girati alla seconda serie nazionale per sostenerla economicamente non ci saranno più negli anni futuri, gettando nel caos economico società già sull’orlo della crisi finanziaria. E così via, a cascata verso le serie minori.
Se non si cambia il sistema in modo radicale si rischia di distruggere il giocattolo e di lasciare sul lastrico tutti i professionisti comprimari. Per i campioni strapagati ci sarà sempre posto, magari in altre parti del mondo.



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