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 Anno V n° 8 AGOSTO 2009    -   TERZA PAGINA


Tra storia fantastica e sociologia
Il cibo e la fiaba
I significati simbolici attribuiti al cibo appaiono in modo molto preciso nell’analisi delle fiabe. E per accontentare anche la bocca alla fine un dolce ricetta per il “principe azzurro”
Di Rosa Tiziana Bruno



Il tema del cibo, nella letteratura fiabesca, è distinto in due parti: da un lato il cibo come nutrimento vero e proprio, dall’altro i valori simbolici del cibo, preso come elemento individuale (es: la mela di Biancaneve). E proprio dalle fiabe inizia il cammino (cammina, cammina…) attraverso le storie ed il loro rapporto con il cibo.

Nel racconto “Brodo di stecchino” di Hans Christian Andersen, nel corso di un ricco banchetto alla corte del re dei topi, il sovrano promette che sarebbe diventata regina colei che avesse potuto produrre, nel giro di un anno e un giorno, la ricetta del titolo che allude.
Com’è facile intuire, l’allusione è ad una tavola povera e ad una cucina in grado di ottenere qualcosa anche dal nulla; quattro sono le topoline che decidono di cimentarsi nell’impresa. La seconda topolina racconta di essere nata nella biblioteca di un castello:
a casa, in biblioteca, mangiai subito un intero romanzo, cioè la parte molle di esso, quella vera, lasciando invece da parte la crosta, cioè la rilegatura. Quando lo ebbi digerito, e ne ebbi mandato giù anche un altro, sentii rimescolarmi tutta dentro; mangiai allora un pezzetto di un terzo romanzo, e così fui poeta. Allora pensai a tutte le storie che si sarebbero potute ricollegare a uno stecchino, e mi vennero in mente tanti stecchini, bastoni e bastoncini.

Se da un lato i cibi nelle fiabe hanno spesso un valore magico finalizzato al raggiungimento di un obiettivo, (ricchezza, amore, fama, fertilità) attraverso l’eliminazione di ostacoli in sequenza, dall’altro esistono concreti esempi giunti sino ad oggi di ricette provenienti dal mondo degli esseri magici, come i biscotti di burro e zucchero della fata Melusina, chiamati Madri Lusine, che si preparano il lunedì successivo la Pentecoste alla fiera della Font-de-Ce, nei pressi di Lusignan.

Fame ed eccessi gastronomici rappresentano, nella realtà e quindi nelle fiabe, due poli opposti dell’esistenza. Le fiabe sono spesso storie di poveri alla ventura, alla perigliosa ricerca della tavola imbandita. I protagonisti vengono mandati ad affrontare foreste e montagne impervie orchi inganni e re crudeli. Spesso la sventura che dà origine al racconto è legata alla mancanza di cibo: le fiabe sono affollate di padri che non sanno come sfamare i figli, di madri che, con crudele realismo, ne propongono l’allontanamento dalla famiglia; di poveri che chiedono un tozzo di pane, di viandanti in cerca di osterie, di occhi affamati, di streghe voraci, di re mangioni. Molto significativi sono anche i riferimenti a tavole alle quali basta dire “apparecchiati”. In virtù della domanda di cibo, il paesaggio naturale si trasforma in paesaggio alimentare, come nel caso del paese di Cuccagna. Le fiabe si riferiscono spesso a questo paese, le cui origini letterarie sono antichissime, in cui regna la ricchezza alimentare.

Fiumi di farina e brodetto nero, ribollendo, scorrevano colmi tra sponde strette, con bocconi di pane già preparati e pezzetti di galletta. Lungo i fiumi, pezzi di carne farcita e rocchi bollenti di salsicce venivano ammucchiati, sfrigolanti, su grossi piatti; vi erano fette di pesce da taglio, cotti a modo, in salse di ogni sorta ed anguille con grandi contorni di bietole. C’era grano ammollito nel latte, in conchette capaci e colostro cagliato; tordi cucinati adeguatamente, calati tra boschetti di mirto ed aiuole di anemoni, volavano intorno alla bocca. I pomi, i belli tra i belli a vedere, pendevano sopra la testa, e non v’era albero che li producesse. Di queste buone cose, ogni volta che uno ne mangiava e beveva, subito ne venivano su il doppio di prima”.
Nella tradizione fiabesca il cibo sta alla base di meccanismi ideologici molto importanti: sul piano sociale rappresenta il denaro (un tempo chi lavorava veniva ricompensato con una razione di cibo), sul piano morale simboleggia il messaggio di speranza cristiana (assenza di pane terrestre, oggi, presenza di pane celeste domani).

Se si cataloga la cucina delle fiabe per classi e condizioni sociali emergono quasi spontaneamente i modelli di alimentazione: quello della sussistenza e quello del superfluo.
Qualità, metodi di cottura, modi di presentazione dei cibi variano a mano a mano che si sale sulla scala sociale. Cucina di contadini e cucina di re: quando racconta la prima, la fiaba esalta la privazione, la moderazione, e affida al sogno la compensazione delle frustrazioni; quando descrive la seconda libera una straordinaria fantasia, illustrando tavole imbandite lussuosamente e sapientemente arredate in castelli pieni di personale di servizio.
Anche la preparazione della tavola rispecchia questo stato di cose. Si passa così dallo sfarzo della tavola della Bella Addormentata (in cui le posate tempestate da vetri preziosi sono contenute in un astuccio d’oro massiccio), alla modestia delle tavole dei contadini, preparate con semplici scodelle e spesso senza tovaglia. Nelle fiabe troviamo una cucina del tutto reale (e nella quale si trovano gli stessi alimenti e gli stessi sapori della realtà) ma anche desiderata, impastata di ingredienti di fantasia e di sogno.

Le fiabe documentano anche l’importanza che la gastronomia aveva nei giorni di festa e nelle grandi occasioni.
Ogni evento importante è sottolineato da un ricchissimo pranzo in cui sono previsti, in funzione propiziatoria. I pranzi tradizionali prevedevano nel menù buoi arrosto, ripieni di anatre e di polli, ciambelline e maritozzi. Vengono raccontate sfide gastronomiche, durante le quali venivano messi alla prova le disponibilità finanziare dei protagonisti e le loro capacità fisiche (chi mangia di più). Un pranzo, infatti, non è un semplice atto durante il quale ci si alimenta ma è un linguaggio. Le pratiche alimentari, i sistemi di nutrizione, le maniere a tavola costituiscono un modo di esprimersi attraverso il quale una società traduce le proprie inclinazioni fondamentali e rivela le proprie segrete contraddizioni.

Insomma il comportamento alimentare è un sistema di comunicazione. I cibi non sono solo sostanze, ma implicano, fatalmente, immagini, sogni, tabù, scelte, valori. I cibi sono anche segni delle situazioni in cui vengono consumati ed è l’uso che dà il significato a questi segni . Tanto è vero che il pane nero, per anni usato per esprimere semplicità, povertà ed indigenza, (vedi: “la bella Caterina”) è oggi simbolo di raffinata agiatezza.

Il pranzo ricorda, ad esempio, anche che la società è un ordine fondato sulla differenza. Il posto a tavola è determinato in base all’importanza ed ai rapporti esistenti tra chi partecipa, ad esempio, la maggiore o minore vicinanza al padrone di casa rappresenta il grado di potere del singolo. In ogni pranzo importante l’assegnazione dei posti, che segue un protocollo ben preciso, è rigorosa e molto indicativa.

La tavola nelle fiabe è anche luogo di punizione e di incidenti. Il re del monte d’oro, dell’omonima fiaba dei fratelli Grimm, per punire la moglie infedele le fa scomparire le vivande, dopo aver indossato un mantello che rende invisibili. Nella “bella addormentata nel bosco”, per un posto non segnato a tavolo, la principessa rischia addirittura di morire. Il re e la regina dopo anni di attesa hanno avuto una figlia e festeggiano con un banchetto sfarzosissimo il lieto evento. Purtroppo il re dimentica di far invitare una fata che vive da anni chiusa nella sua torre. Il pranzo è veramente degno di re e di fate, tanto che i posti a tavola sono stati apparecchiati con astucci d’oro massiccio, dove trovano posto cucchiai, forchette e coltelli d’oro finissimo e tempestati di diamanti. La fata arriva e non trova il suo coperto; offesa decide di vendicarsi uccidendo la principessa. La fata più giovane riesce, però, a mitigare la sentenza, trasformando la condanna a morte in un lunghissimo sonno di cento anni.

La preparazione della tavola, che nei banchetti regali richiede un grande dispendio di energia, a volte è magicamente semplificata: ad alcuni basta dire: “Tavolino apparecchiati!” per vedere apparire vassoi di lesso e di arrosto, vino rosso e cibi squisiti. A volte basta una tovaglia alla quale impartire una formula magica: “Apriti tovaglia”, per vedere comparire a volontà vivande che fumano ben calde. Anche il personale addetto alla preparazione della tavola muta con le circostanze: a volte sono camerieri, a volte servitori invisibili, a volte animali magici. Nelle fiabe vi sono alcune descrizioni che fanno pensare a vere e proprie messe in scena di cibi. Per quanto riguarda i partecipanti ai banchetti non c’è da meravigliarsi di nulla: uomini, animali, sirene, gnomi, orchi, streghe, principesse educate e raffinate e rozzi villani. Insomma le fiabe ci raccontato del cibo e ce ne spiegano i significati nella maniera più completa e intrigante.

Ecco un ricetta “da favola”:


Mele del Principe Azzurro

Ingredienti:
Farina (100g), zucchero (150g), burro (70g), nocciole tritate (50g), due mele, cannella, noce moscata. Panna e confetti celesti per la guarnizione.

Preparazione:
Mescolate farina e zucchero, incorporate del burro tiepido a pezzetti e impastatelo fino al totale assorbimento. Poi aggiungete nocciole tritate.
Disponete delle fette di mela su una piastra da forno imburrata e infarinata, cospargendole di cannella e noce moscata.
Coprite poi il tutto con l'impasto e cuocete.
Servite le mele del Principe Azzurro con guarnizione di panna e confetti celesti.

Buon appetito!



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