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 Anno V n° 9 SETTEMBRE 2009    -   PRIMA PAGINA



Gli altri corrono, noi camminiamo... come i gamberi
La crisi dello sport italiano è ormai evidente
Di Silvano Filippini


Ci eravamo lasciati, prima delle vacanze, parlando della crisi dello sport italiano e durante l’estate la situazione dell’Italia è peggiorata.
A parte il successo della nazionale di nuoto, dovuta soprattutto alle performances di alcune femmine, dobbiamo senz’altro segnalare la debacle della nazionale di Basket maschile, che ha perso anche la possibilità di agguantare in extremis l’ultimo posto disponibile per gli europei, facendosi surclassare dalla Francia. E pensare che abbiamo potuto disporre di due dei tre atleti che giocano nell’NBA; ciò nonostante non hanno inciso più di tanto e non sono riusciti a trascinare i compagni anche perché, oltre oceano, raramente risultano titolari nei rispettivi quintetti. Contrariamente alla Francia che dispone di quattro atleti di colore protagonisti anche negli Stati Uniti.

Per ciò che concerne il Volley femminile la pausa estiva ha consigliato Lega e Federazione di ridurre la serie A-1 a 12 squadre, per via delle defezioni di alcuni club, tra cui il blasonato sestetto di Perugia, a causa di pendenze economiche irrisolte. Così, dopo aver conquistato tre scudetti, due Champions League, quattro Coppe Italia negli ultimi dieci anni, Perugia scompare! Si è pure deciso di non affidarsi ai ripescaggi considerati poco sportivi: meglio meno squadre ma con bilanci garantiti.
Tra l’altro la Federazione ha deciso di formare due squadre (maschile e femminile) che raccolgono i migliori atleti emergenti italiani. Le femmine prenderanno parte al campionato di A-2 e i maschi a quello di B-1. Ciò al fine di creare due serbatoi di giovani in grado di rimpolpare nel futuro le rispettive nazionali. Del resto nei loro club avrebbero poche possibilità di migliorare, avendo davanti molti stranieri e veterani. Una situazione che si manifesta in tutti gli sport di squadra italiani e mina alla base le imprese delle rappresentative nazionali.

Anche il calcio ha trascorso l’estate rimpolpando le squadre con altri stranieri, come non ce ne fossero abbastanza in Italia : ad esempio l’Inter ha iniziato il campionato senza alcun italiano in campo. E poi hanno il coraggio di chiamarlo campionato italiano!
Ma la trovata migliore è parsa quella di Berlusconi che ha proposto il Tetto dei salari, cioè il salary cap, di cui avevo scritto nell’ultimo appuntamento con i lettori. Chissà perché, quando il Milan vinceva grazie al fatto di poter disporre delle ingenti risorse economiche profuse dal presidente, il problema degli eccessivi ingaggi chiesti dai calciatori non si poneva. Infatti negli anni ‘80 i 10 miliardi di lire che chiedeva Gullit non gli sembravano esagerati! Ora che il premier ha deciso di stringere i cordoni della borsa, gli stipendi sono diventati inammissibili. Mi ricorda tanto la favola della volpe e l’uva….

In effetti, anch’io sono d’accordo sull’immoralità di certe cifre, ma lo sono sempre stato ed è per questo che da almeno vent’anni propongo di imporre il tetto massimo per ogni squadra come fanno negli USA, in Australia o nel Rugby inglese. Anche per bilanciare meglio i massimi e i minimi degli oltre tre mila professionisti che giocano in Italia e per fare apparire meno “accattoni” gli atleti che, purtroppo, hanno scelto gli altri sport, mantenuti in gran parte dallo Stato attraverso le squadre delle varie forze armate.

Sono proprio curioso di vedere se Platinì riuscirà ad imporre le proprie idee e introdurre le prospettate “licenze economiche” che verranno assegnate solo ai club con i conti in ordine, anche se in UEFA hanno già messo le mani avanti dichiarando che il salary cap e la limitazione al numero di stranieri in Europa sono impossibili per legge. Basterebbe cambiare la legge, adottando quelle che lo hanno consentito in altre nazioni.!

Nel frattempo la Germania è riuscita a dimostrare che si può restare ad alto livello anche senza tanti stranieri e, nel contempo, inserire gradualmente parecchi giovani coltivati nei vivai. Al punto che quest’anno i tedeschi sono riusciti a vincere contemporaneamente i titoli europei under 17, 19 e 21. Non solo hanno ottenuto un record mai raggiunto in precedenza. ma hanno pure gettato le basi per una prossima generazione di calciatori autoctoni di ottimo livello. Il fatto più clamoroso, che evidenzia ancor più la sofferenza dello sport nazionale, riguarda la nostra Atletica che è uscita dai mondiali di Berlino senza neppure una medaglia. E dire che negli ultimi anni anche la nostra nazionale ha potuto disporre di atleti di colore pur se non nella stessa quantità di quelli schierati da Francia e Gran Bretagna.

Del resto, dopo Berruti e Mennea (due autentici talenti nati per caso e in epoche diverse) non abbiamo più velocisti all’altezza di una specialità sempre più riservata agli uomini di colore, decisamente avvantaggiati da madre natura in quanto possiedono una prevalenza di fibre muscolari bianche che hanno reazioni più rapide di quelle rosse, adibite agli sforzi di resistenza. Purtroppo abbiamo fatto cilecca anche nella maratona e nella marcia dove la scuola italiana ha sempre mietuto successi.

E’ vero che non si tratta del peggior piazzamento (19°) in quanto ai mondiali di Helsinki del 2005 abbiamo fatto peggio (23°) e che, oltre tutto, siamo riusciti a mandare in finale otto atleti (4 in più rispetto a Pekino); tuttavia qualche cosa dovrà cambiare e non solo nel mondo dell’atletica.

Innanzitutto il rapporto tra sport e scuola.

Lo sport dovrebbe essere un diritto del cittadino, al pari dello studio. Ma non lo è, anche perché la scuola italiana e la maggior parte dei genitori si preoccupano soprattutto di sviluppare la mente degli studenti e non hanno mai esercitato pressioni sul ministero affinché potenziasse l’educazione fisica e sportiva nelle scuole di ogni ordine e grado. Tuttalpiù ci si limita ad iscrivere il figlio a qualche attività pre sportiva o sportiva organizzata al di fuori della scuola. ma che impegna per un tempo limitato e determina troppi abbandoni durante la fase puberale o negli anni immediatamente successivi.

Del resto a giugno il presidente del CONI ha inviato una lettera al ministro Glemini nella quale si invitava il Governo ad introdurre ufficialmente l’attività sportiva nella scuola, cominciando con aumentare le ore di educazione fisica per portarci, almeno, al pari del livello minimo degli stati europei. Invece pare che il ministro si sia risentita, quasi che la causa dell’insufficiente attività motoria e sportiva scolastica fosse dovuta a lei e non a cinquant’anni di trascuratezza da parte dei suoi predecessori, che non hanno mai applicato appieno il principio mens sana in corpore sano, così caro ai latini.

Fatto sta che, per ora, c’è soltanto un evanescente progetto di introdurre (era ora!) un insegnante di educazione fisica nella scuola elementare sull’esempio di quanto fatto in Trentino durante l’anno scolastico appena concluso.

Considerando la non facile riforma scolastica in atto, che dovrà risolvere problemi dovuti al taglio del personale e al conseguente aumento degli alunni per ogni classe, nutro seri dubbi che la proposta potrà essere messa in atto da subito.

Tuttavia il problema è serio e deve essere affrontato prima di ritrovarci con una popolazione giovanile costituita da un numero eccessivo di obesi e soprappeso, falcidiati da malattie metaboliche e cardio vascolari in età adulta.

Del resto sarebbe sufficiente varcare i confini per osservare che là, dove lo sport viene ampiamente praticato a scuola, prima o poi i risultati si ottengono, anche ad alto livello, per una semplice legge statistica che aumenta la possibilità di scoprire talenti soltanto se viene ampliata la base dei praticanti. Persino in Giamaica, divenuta ormai l’isola dello sprint mondiale, la scoperta di quei talenti è affidata da molti anni alla scuola che svolge un’attività intensa e capillare in ogni sport. Se in Italia il discorso non riguarda il calcio, che è praticato assai più diffusamente rispetto al resto del mondo, non altrettanto si può dire per gli altri sport che, oltre a tutto, dispongono di mezzi assai limitati e non possono competere sul piano economico con sua maestà il calcio, che offre ingaggi ben più allettanti, e non solo ad alto livello.



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