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 Anno V n° 10 OTTOBRE 2009    -   TERZA PAGINA



Tanai e il cantastore di Tiputà
Una fiaba raccontata per: 27° Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia. Echi di mari lontani, fiabe dall’Oceania
Di Folco Quilici


La lunga fiaba che ispirò il mio film Oceano, l’ascoltai, per caso, nel 1961, narratami da un vecchio polinesiano detto Grand-père: l’avventura di un giovane chiamato Tanai. Seppi così dell’interminabile navigazione attraverso il Pacifico di quella pahi, una piroga a vela; interminabile, perché negli spazi dilatati di quell’oceano e nel mosaico frantumato di isole e arcipelaghi, il ragazzo nel viaggio di ritorno non riusciva a ritrovare il suo atollo, la sua gente, la sua donna.

A farmi appassionare a quella fiaba, fu constatare quante versioni diverse si conoscessero, con adattamenti e varianti ideate dai vari cantastorie nelle diverse isole polinesiane. Negli anni Settanta ancora molti di loro animavano i mercati dei villaggi, eredi dei mitici huaré-po, memoria vivente dell’antica Polinesia. E narravano ognuno a suo modo, di quel pescatore e navigatore, adeguando ai tempi vicende in parte vere, in parte leggendarie.

«A lui occorreva qualche sacco di terra» raccontava William, che ascoltai nel villaggio di Tiputà. Il fantasioso cantastorie amplifica le sue parole con un microfono, alle spalle un cartellone dipinto dove spicca un Tanai in blue-jeans, per farci capire che, per lui, la vicenda si svolge ai tempi nostri. Non cambia, però, il motivo per cui quel giovane affronta l’Oceano «Lui desiderava costruirsi una capanna e piantarvi accanto le radici di un urù. Per questo gli occorreva un po’ di terra…»

A differenza dei cocchi e dei pandani, capaci di germogliare e crescere in aridi terreni, l’urù, l’albero del pane, chiede terra vera per attecchire. Quella che manca negli atolli, formati da strati di corallo morto, levigati dal vento e dall’acqua.

Chi li abita, se desidera piantare un albero del pane e coltivare un orto, deve acquistare qualche sacco di terra dalle golette che dalle Isole Alte trasportano merci e prodotti indispensabili.

Secondo il racconto di William, la goletta attesa dal giovane Tanai per acquistare la terra, piantare l’urù e costruirvi accanto una capanna dove vivere con Tihatiaà, rinviava di mese in mese il viaggio. Tanto da far perdere la pazienza al ragazzo e convincerlo a salpare con la sua pahi per giungere alle Isole Alte e riempire sei sacchi di terra per riportarli al suo atollo. Quando Tanai, con vento favorevole, punta a levante deciso a raggiungere Moorea, o Huahiné, affronta una navigazione che fa di lui l’ultimo vero oceaniano. Un erede dei padri dei padri, i protagonisti del popolamento di tutto il sud Pacifico.

Nelle case delle famiglie polinesiane rimaste fedeli a certe memorie, ho cercato strumenti di pesca e contenitori tradizionali (zucche vuote, disseccate) per i cibi e per l’acqua. Racconto del film che m’appresto a realizzare e molti mi prestano l’occorrente, nessuno pensa di vendere gli oggetti scelti; ed io giuro di restituirli, a lavoro concluso.

A casa di una vecchia matriarca di Papeete, troviamo un boa di piume di gallo lungo circa tre metri; sventolava sulla canoa del nonno, mi dice, gli serviva a indicare forza e direzione del vento. Me lo presta e dal momento in cui, dopo il varo, sull’albero della piroga issiamo quel boa e il vento lo tende, il passato si muta in presente.

Si apre la vela, un soffio da terra verso il mare imprime una leggera spinta alla pahi. Al secondo, solo poco più forte, lo scafo rizza la prua tra filo delle onde e orizzonte.

La prova a mare spetta al mastro d’ascia.
E lui, stringendo la pesante lama di legno con funzioni di timone, guida la sua imbarcazione oltre la laguna, nell’oceano. S’alza e s’abbassa la linea delle onde, vela e boa appaiono e scompaiono.

Un’ora di prova, poi il timoniere stringe di bolina e si riaffaccia nel canale della pass. La nostra pahi è pronta per consentirmi di narrare per immagini la favola di Tanai. Coraggioso trasmigratore di quella Polinesia che non esiste più.



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