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 Anno V n° 11 NOVEMBRE 2009    -   TERZA PAGINA



Centri cerimoniali e rituali nell’antico Perù

Di Giuseppe Orefici



 

Bottiglia configurata con ansa a staffa in terracotta, Cultura Moche (100-750 d.C.), Lima, Museo Arqueológico Rafael Larco Herrera

Fin dalle prime fasi di popolamento delle Ande Centrali, l'uomo dovette impiegare strategie di sopravvivenza essenziali per l'adattamento alle eterogenee nicchie ecologiche che caratterizzavano il territorio.
L’esigenza di procurarsi alimenti lo costrinse a una forma di transumanza continua da un ecosistema all’altro, creando così dei percorsi prestabiliti da utilizzare nei diversi momenti dell’anno. La precoce domesticazione delle piante silvestri commestibili e il gran potenziale di risorse alimentari fornito dall’oceano lo indussero gradatamente a permanere sempre più a lungo nei luoghi in grado d'offrire tali mezzi di sussistenza.

Questi gruppi arcaici di cacciatori-raccoglitori, predecessori delle grandi culture che si svilupparono posteriormente, vivevano l’essenza del movimento e del tempo in modo diretto: gli spazi immensi che percorrevano, il paesaggio con cui si confrontavano, favorirono una sorta di comunicazione con flora, fauna, territorio e fenomeni celesti. Tali condizioni determinarono un’integrazione completa tra uomo e natura, alla quale fu attribuita una valenza soprannaturale e fecero sì che si creasse una totale dipendenza dai suoi cicli e dalle sue modalità per la sussistenza.
Uno degli elementi salienti dell’evoluzione culturale di questa fase fu lo sviluppo del pensiero rituale che, unitamente ad altre componenti dell’organizzazione sociale, contribuiva a rafforzare e legittimare la posizione del gruppo dominante.
Nel territorio peruviano, prima ancora che si sviluppassero centri urbani polifunzionali con valenze amministrative e che rappresentassero categorie specializzate in differenti settori produttivi o tecnologici, nacquero centri di culto e di pellegrinaggio, con funzioni diverse, ma con solidi principi religiosi e di sacralità.
La transizione da una vita nomade permanente a una più stanziale e con fenomeni migratori solo ciclici, in funzione a momenti di caccia o raccolta, determinò la nascita di luoghi sacri, che raccoglievano i valori di memoria collettiva e di ritualità. Questi siti, che per una serie di ragioni diverse furono considerati huacas1, potevano essere montagne, fiumi, laghi, o spazi vicini a fonti d’acqua permanente, in cui talvolta l’uomo lasciava traccia del suo passaggio con scene e simboli incisi nella roccia .2

Le società preispaniche svilupparono forme particolari e differenziate della concezione del mondo, con le quali cercarono di creare un ordine in senso cosmologico arricchendolo di contenuti simbolici: in questo modo, tentarono d’interpretare i misteri dell’esistenza e il significato della vita.
 

 
Corona e nariguera (ornamento nasale) d'oro Cultura Cupisnique (1250 a.C.- 100 d.C.) Lambayeque, Museo Arqueológico Nacional Brüning
Tutti i fenomeni naturali che l’uomo non riusciva a dominare, erano attribuiti ad esseri o spiriti divini a cui, tramite offerte rituali o sacrifici, si chiedeva di ottenerne il controllo: si aveva così l’illusione di governare elementi come il fuoco, la pioggia, il sole e la fertilità.
La visione cosmocentrica dell’uomo andino trovava la sua piena espressione nel rapporto con luoghi che riteneva sacri. Nell’universo delle antiche culture peruviane, il sacro interagiva con il mondo e gli conferiva una dimensione speciale, secondo una dinamica che animava il processo creativo in cui l’individuo, in quanto tale, partecipava consapevolmente.
In tempi remoti, quando ancora ogni processo lavorativo era realizzato in un ambiente domestico, senza l’apporto di categorie specializzate, alcuni personaggi ricoprirono una posizione sociale diversa, grazie a particolari doti spirituali e specifiche conoscenze, pur senza rivestire ancora una chiara distinzione nella scala gerarchica. La vera rivoluzione nel campo del pensiero religioso avvenne proprio con la nascita della figura dello sciamano, a cui fu attribuita la capacità di poter comunicare con le divinità e gli spiriti degli antenati.

All’interno di ogni collettività, gli sciamani divennero i custodi incaricati di conservare, trasmettere e rinnovare le rappresentazioni cosmogoniche grazie alle loro cognizioni sulla mitologia, l’interpretazione del passato, l’astronomia, i rituali e l’uso delle piante medicinali.
Con i loro cerimoniali, parole, gesti e oggetti sacri eseguivano una serie di attività simboliche che trasformavano il mondo per garantire la riproduzione della natura e il benessere sociale. Ciò portò progressivamente alla costituzione di gruppi elitari e di un clero, con la tendenza ad organizzare rituali e attività cerimoniali. Questo fece sì che il luogo sacro divenisse santuario, uno spazio dove organizzare rituali collettivi, in cui la presenza di mediatori tra il naturale e il soprannaturale fosse indispensabile.
 

Pettorale in metallo, Cultura Sicán (750-1375 d.C.), Lima, Museo Nacional de Arqueología, Antropología e Historia del Perú

In tempi successivi, sciamani, sacerdoti e governanti, ai quali era sempre attribuita un’origine divina, ebbero il ruolo di conservare e rinnovare le rappresentazioni cosmogoniche, tramite la trasmissione orale delle tradizioni ancestrali e l’utilizzazione di utensili, elaborati appositamente per favorire la comunicazione con il mondo ultraterreno. Per tale motivo, recipienti, ceste, tessuti, strumenti musicali, telai, fusaiole, manufatti d’oro o d’argento rappresentarono (e rappresentano ancora oggi) degli elementi metaforici in grado di raffigurare e diffondere l’ordine cosmologico stabilito all’interno di ogni società: una sorta di oggetti mnemonici sacri ricchi di significati simbolici e ai quali si attribuirono poteri speciali.

 
Bottiglia configurata con ansa a staffa in terracotta, Cultura Moche (100-750 d.C.) Lima, Museo Nacional de Arqueología, Antropología e Historia del Perú
Sotto il profilo religioso, viene spontaneo chiedersi quale fosse la nozione di sacro nella percezione andina e su quali concezioni si fondasse. Non esisteva un concetto astratto di Dio o una parola in grado di esprimerlo pienamente. Ciò non significa che non si venerasse una moltitudine di divinità e che ci fosse persino una forma di gerarchia tra esse. Queste entità divine erano indicate con un nome proprio, senza che esistessero altri termini che le identificassero come esseri soprannaturali.

Nelle credenze indigene tutto ciò che era sacro, era espresso con la voce “huaca” per cui, nella fase di conversione forzata effettuata dagli spagnoli, il maggiore problema che si dovette affrontare fu quello di convincere gli indigeni a non considerare Dio e i santi come delle “huacas” personali dei conquistatori. Per i nativi, si trattava di “huacas” estranee ai loro bisogni, incapaci di fornir loro ciò di cui necessitavano.

Un ulteriore rilevante fattore distintivo dell’ideologia andina era la comune credenza nei miti sull’origine dei diversi popoli. Secondo questa visione, gli uomini nacquero spontaneamente dalle proprie pacarisca o luoghi d’origine 3 per cui, nei loro racconti, gli indigeni affermavano di provenire da sorgenti, montagne, lagune o grotte, in cui erano “nati” già pronti per popolare l’universo.
L’abisso tra il modo di pensare degli antichi peruviani e la fede imposta dagli spagnoli si fece ancor più incolmabile per la carenza di vocaboli adatti a illustrare i principi sostanziali del Cristianesimo. Gli evangelizzatori furono obbligati a ideare o adeguare le parole per poter esporre la loro dottrina, determinando inevitabilmente una trasformazione e deformazione dei concetti, termini e significati originari della cosmovisione andina.


Note:
1) Luoghi sacri  
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2) In tutto il territorio peruviano esistono importanti giacimenti di arte rupestre, dei veri e propri santuari, in cui si nota come i segni e i simboli delle incisioni abbiano subito nel tempo sovrapposizioni e reinterpretazioni dovute interventi umani. Ciò attesta l'irrinunciabile intercessione di un officiante, responsabile dello svolgimento di atti liturgici e rituali in luoghi ritenuti sacri da tempi immemorabili.
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3) La voce
pacarisca proviene da un termine quechua, pacarishqam il cui significato letterale è “lo ha conservato, lo ha nascosto” ma si usa per indicare il luogo dell’origine mitica delle popolazioni andine oppure per designare una stirpe. torna



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