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 Anno VI n° 5 MAGGIO 2010    -   PRIMA PAGINA


La sentenza di assoluzione in Cassazione per i fatti di Brescia ripropone il problema
La stampa e i processi in piazza
La grave accusa viene rivolta spesso dai politici, ma i veri danni non sono per le accuse rivolte a loro. Chi subisce queste prepotenze da parte dei giornalisti è in genere gente comune
Di Il Nibbio


Da tempo la stampa è accusata di fare “processi in piazza”, cioè di sostituirsi ai magistrati nel processare e mettere alla gogna persone, prima che queste abbiano subito un regolare processo e che si siano potute difendere, formulando così condanne senza appello e, secondo chi solleva queste accuse, influenzando anche i giudici nel loro operato.

È però strano che queste accuse vengano sollevate, quando vengono coinvolti in indagini scabrose, da politici, sempre assistiti da uno stuolo di avvocati di prim'ordine, che troppo spesso evitano poi le condanne modificando le leggi. Se poi il processo si conclude con non luogo a procedere per prescrizione del reato, vantano una “assoluzione”, quando invece la sentenza è una conferma delle accuse.

In questi ultimi anni l'intreccio tra politica e malaffare ha evidentemente superato i livelli dell'accettabile, se in continuazione la stampa riporta fatti indecenti di corruzione, di abuso di potere e di comportamenti che non dovrebbero essere permessi a chi vuole rappresentare il “popolo italiano”. In questi casi, l'accusa alla stampa di fare “processi in piazza” è evidentemente una debole difesa, sollevata da chi vorrebbe essere libero di fare gli affari propri attraverso la cosa pubblica.

Ma non sempre è così. Ci sono casi in cui effettivamente la stampa esagera e produce danni incalcolabili; questo avviene, non per mettere in luce comportamenti anomali dei potenti, ma per vendere copie e per insipienza dei giornalisti che, forse per la fretta o forse per incapacità, accreditano come vere cose che non hanno un fondamento certo e danno per scontate semplici affermazioni. In questo caso è giusto mettere sotto accusa il comportamento incivile di un certo giornalismo che rincorre lo scoop a tutti i costi e istiga la “piazza” verso un giudizio sommario e ingiusto.

Un ennesimo esempio di questo gravissimo comportamento l'abbiamo avuto in questi giorni. La Cassazione ha assolto in modo definitivo tutti gli accusati di pedofilia, sei maestre, un sacerdote e un bidello, della scuola materna comunale "Sorelli". L'accusa data 2003 e le otto persone erano state incriminate per abusi sessuali nei confronti di 23 bambini, ma in nessuno dei tre gradi di giudizio tale accusa è mai stata provata. La pubblica opinione li aveva già condannati grazie ad una campagna di stampa svolta in un unica direzione, come in tanti altri casi avvenuti, anche se, come si è dimostrato nell'iter processuale, i fatti non sono “mai avvenuti”.

Oggi quelle otto persone sono state ritenute, ma cosa hanno passato in questi assurdi 7 anni? Oltre la galera sono stati sottoposto alla gogna mediatica, hanno perso la credibilità e oggi sono persone praticamente rovinate da quello che è successo. Chi potrà rendere loro quell'innocenza che il tribunale ha sancito a chiare lettere?

Dove sono adesso quei colpevolisti che hanno giurato sulla perversione di persone che non sono invece perverse? Li vorrei vedere sfilare con la cenere sopra il capo per le vie della Città, flagellandosi e chiedendo ad alta voce perdono, invece sono pronte ad accusare qualcun altro, nello stesso modo

La stampa ha tante colpe in queste vicende, perché, invece di mettere in evidenza i dubbi legittimi al fine di evitare i danni ai deboli, sbatte il mostro in prima pagina e, nella realtà, si sostituisce effettivamente ai giudici e pronuncia condanne senza sufficiente verifica della verità, solo sulla base delle accuse. Purtroppo sono tanti i processi in corso che subiscono “un processo mediatico” di questo tipo, dove le accuse, sbandierate per certezze da certa stampa, nell'iter del processo perdono di consistenza e appaiono lacunose se non false, ma il danno fatto agli innocenti, accusati pubblicamente con violenza, restano irreparabili.



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