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 Anno VI n° 5 MAGGIO 2010    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi



Lavoro, Governo e Sindacati
Gli annunci e le indiscrezioni sulla manovra finanziaria imposta da Bruxelles all’Italia preoccupano Epifani. Il governo procede parlando solo con le sigle “allineate” ignorando il principale sindacato dei lavoratori
Di Giacomo Nigro


Dopo l'anestesia non proprio riuscita, ecco l'operazione a corpo semicosciente. Si potrebbe, forse, definire così il cambio di rotta del nostro Governo in relazione alla crisi economica e i suoi sviluppi improvvisamente accelerati delle ultimissime settimane.

La manovra economica allo studio del Governo Berlusconi passa infatti da 25 a quasi 28 miliardi ed è giustificata dalla bassa crescita dell'economia e dall'aumento della spesa sul debito. Il ministro della Funzione Pubblica Brunetta ha annunciato lo stop ai rinnovi contrattuali per 3,5 milioni di statali, il blocco del turn over e ha detto che è allo studio il blocco di una delle due "finestre" per le pensioni di anzianità previste per il 2011.

Facciamo un esame della situazione dal punto di vista sindacale, in particolare del più grande sindacato dei lavoratori: la Cgil. Il leader Guglielmo Epifani ritiene, in prima istanza, che si debba parlare degli sprechi e di chi ha di più, altrimenti l'effetto sarà di deprimere consumi, redditi ed investimenti; insomma giù le mani dal lavoro dipendente e dai pensionati. Bisogna ripristinare l'equità sociale della manovra che ora colpisce lo stato sociale e la condizione dei lavoratori e tralascia le grandi ricchezze patrimoniali e l'evasione.

Epifani non nasconde l'irritazione per la mancata convocazione della Cgil ai recenti incontri con il Governo, dove invece erano presenti Cisl, Uil e Confindustria, e attribuisce le responsabilità della stangata in arrivo allo stesso Governo, che ha fornito fino ad oggi una rappresentazione ottimistica della realtà, e alla speculazione internazionale, che nessuno è stato in grado di arginare e che ora presenta il conto della crisi ai soggetti più deboli.

Intanto, secondo Epifani, sta maturando il forte rischio che si decida tutto a Bruxelles, anche in nostra vece, per l'incapacità di opporre un altro punto di vista. Sono stati fatti due anni di errori profondi, andava impedito di far cadere il Pil, bisognava sostenere di più i consumi e l'innovazione. La prima cosa da fare ora è avere un quadro chiaro: non si può fuggire dopo che si è fuggiti per due anni.
Dov'è la grande riforma fiscale?
I lavoratori dipendenti pagano più tasse e l'area dell'evasione è cresciuta.
Si continuano a colpire i diritti dei lavoratori: arbitrato, statuto dei lavori, diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Durante il recentissimo congresso della Cgil Epifani aveva proposto al Governo un patto per il triennio su un piano straordinario, che poggia su incentivi fiscali alla ricerca, l'allentamento del patto di stabilità per gli enti locali e la riapertura del turn over nella scuola e nella pubblica amministrazione per creare 400mila posti di lavoro.
Una manovra di questa portata, con un terzo di nuova occupazione da creare nel Mezzogiorno, secondo il numero uno della Cgil abbasserebbe la percentuale di disoccupazione dal 10% (4 trimestre del 2010) al 7,5% del 2013. In cambio il sindacato si è detto pronto ad armonizzare i rinnovi contrattuali da definire nel settore pubblico per evitare un aggravio dei costi.

Inoltre, attrezzarsi per un'economia green, produrrebbe in tre anni 70.000 posti di lavoro, con una forte propensione negli anni a venire. Un piano di micro-opere infrastrutturali da realizzare a livello comunale, tramite una flessione intelligente del Patto di Stabilità interno, aggiungerebbe altri 150.000 posti.

Ricordiamo che Epifani, in quel congresso, è stato rieletto con l'87% dei voti (l'82% contando astenuti e schede bianche), ma il XVI congresso si è chiuso senza unità. La maggioranza e la minoranza (17,9%) sono divise su alcuni punti cruciali, il sistema contrattuale, il rapporto con Cisl e Uil, come reagire agli attacchi del Governo e delle imprese.

Siamo cioè di fronte a un sindacato logorato dalle divisioni fra sigle e addirittura interne al più grande. Tutto ciò determina una ulteriore incertezza per il destino dei lavoratori attivi e in quiescenza che da sempre, in Italia, sono i più deboli, oltre che i più "munti" dallo Stato.



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