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 Anno VI n° 5 MAGGIO 2010    -   RECENSIONI


Parole del gusto, linguaggi del cibo
“Misticanze” di Gian Luigi Beccaria
Parole del gusto, linguaggi del cibo
Di Cricio


Gian Luigi Beccaria è uno storico della letteratura e in questo libro ci porta ad approfondire le usanze e il significato del cibo attraverso gli scritti, le testimonianze in romanzi e il lessico domestico . Cose non banali che possono stimolarci anche nella nostra cucina di ogni giorno.
Non è facile immaginare come possa essere interessante un simile libro. Provo a spiegarvi come si articola.

Sono sette i capitoli che compongono il libro e affrontano “il cibo” con diverse impostazioni.

il primo capitolo “Fantasie e invenzioni” l'autore racconta l'evoluzione del modo di apparire della cucina. Trae spunto dal primo ricettario, scritto nel quattrocento da Mauro Martino, per descrivere l'epoca delle cucina che deve “stupire” con cose incredibili come “il gran trionfo di pavoni 'rivestiti' che sembrino vivi pure loro, e facciano la ruota, e gettino fuoco per il becco”.
Riporta la ricetta di un simile piatto e a me sembra che sia molto lontana dalla attuale cucina “igienica”. In questo corposo capitolo, Beccaria ci presenta l'evoluzione del pensiero di “cucina” da allora fino ai giorni nostri.
Le “invenzioni” su come presentare i piatti non sono una banalità. L'occhio vuole la sua parte e oggi sappiamo che l'appetito è stimolato, oltre che dagli odori, anche dalla vista.

Nel secondo capitolo “Simboli, il convito, e il vino” affronta l'aspetto sociale del cibarsi: Con-vivio “esprime l'uomo sociale... è simbolo dell'unione che nasce dal mangiare e bere in comune”. L'intreccio letterario inizia con Omero e prosegue, con intrusioni di tradizioni regionali, verso la contrapposizione odierna tra slow-food e fast-food. L'autore dedica però, in questo capitolo, ampio spazio al vino e la caffè, elementi che assumono un significato simbolico importante.

Il terzo capitolo “Cibi e cultura, consuetudini e identità” affronta il significato che il cibo assume come status simboldi una classe sociale. Il suo significato cambia con le consuetudini, quindi si evolve nel tempo e nello spazio in cui ci muoviamo, e quello che noi consideriamo chic, non lo è per altri popoli e in altri tempi.
Ci presenta la “Golosità” come peccato capitale, il mito della frugalità al suo opposto, le abitudini religiose che ispirano la cucina e in fine il pane nel suo significato simbolico.
Legati al pranzo ricorda riti scaramantici e di buon auspicio. Per esempio: “nel ragusano... quando si imbandiva la tavola, si diceva «cala l'ángilu» convinti che intorno alla famiglia riunita un angelo scendesse dal cielo per assistere al pasto, e alla fine... si ripiegava un angolo della tovaglia per dare licenza all'angelo d’andarsene”.

“Cibi poveri” è l'argomento del quarto capitolo. Parte dal “pane”, con cui si chiude il capitolo precedente, e racconta come questo alimento cambi nelle regioni.
Il pane, proprio perché “povero”, non si può buttare; così i “poveri” hanno inventato un’infinità di modi per riutilizzarlo e ne sono nati piatti molto interessanti e gustosi, chi non conosce la bruschetta?
C'è poi il “cibo per strada” e il cibo povero per eccellenza, la pizza, e la sua concorrente, la piadina.

Il discorso legato ai cibi poveri, in particolare al pane, prosegue nel capitolo quinto “Polenta e castagne, pane nero e pane bianco” e nel sesto “Il pane e i dolci”. Il pane assume nomi e forme diverse, ma, a questi nomi e forme, corrispondono anche “sapori” diversi che vengono dalla tradizione panificatoria. Legati all'attività di panificazione esistono poi i dolci: dalle ciambelle ai panettoni, dai dolci dei morti ai dolci pasquali, dal “pan pepato” alle forme ripiene.

Grandi varietà di cibi che trova la sua logica conclusione nell'ultimo capitolo “Il mosaico Italia ”, in cui troviamo questo brano che credo sia una buona sintesi di tutto il libro:
“Un vero mosaico (il mosaico Italia), sfolgorio di forme e di colori. La lingua della cucina italiana, per tutta una serie di ragioni, almeno sino all'Artusi (“La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, 1891), è stata una lingua domestica, municipale, ricchissima di voci e coloriture dialettali popolari regionali, scarsamente unificata “Che linguaggio strano si parla nella dotta Bologna!" annotava; "Nelle trattorie poi trovate la trifola, la costata alla fiorentina ed altre siffatte cose da spiritare i cani", un misto di gergo francesizzante e con alto tasso di dialettalità. Una qualche unificazione all'interno della "bizzarra nomenclatura della cucina" l'Artusi riuscirà a operare. Il suo trattato rivolto alla nascente classe borghese dell'Italia unita ha avuto un suo rilievo non solo per la storia della cucina, ma anche nell'ambito della storia della lingua: era uno spaccato esemplare del fiorentino d'uso della borghesia di fine Ottocento, ed ebbe una qualche influenza sull'italiano nazionale dell'uso scritto e parlato.”
Questo libro coniuga in modo straordinario cultura, tradizione , letteratura e cucina. I più famosi cuochi ripetono in continuazione che per fare una buona cucina si devono sempre aver presenti le tradizioni. In “Misticanze” non troviamo ricette, ma certamente idee per ripercorrere la conoscenza necessaria per fare e per gustare buoni piatti.


Misticanze
Parole del gusto, linguaggi del cibo
Gian Luigi Beccaria

Prezzo di copertina: € 15,00
Listino: € 15,00
Editore: Garzanti
Collana: Saggi
Data uscita: 03/12/2009
Pagine: 240, brossura
Lingua: Italiano
ISBN 978881174069-8
EAN 9788811740698


I sontuosi banchetti dei signori rinascimentali e la provocatoria cucina futurista; la ghiottoneria mentale ed estetica che ha ispirato pagine di letterati e filologi; golosi storici, smoderatezze, eccessi in contrasto con frugalità, sobrietà; i sogni dell'abbondanza cibaria nella cultura popolare, la fame, la carestia e il paese di cuccagna; feste, ritualità del cibo e sua valenza simbolica; ricerca dei cibi genuini, i cibi poveri, pane nero e pane bianco… linguaggi del presente e del passato sono chiamati a colorire il ricco e singolare mosaico di queste Misticanze.
La cucina ha scatenato da sempre invenzioni e fantasie, sorpresa e spettacolo. Il cibo è nomenclatura, varianti, ricchezze verbali. Contrassegna identità culturali, religiose, di classe, è prescrizione, divieto, comportamento. Intorno a questi temi Gian Luigi Beccaria, infaticabile esploratore della lingua e della letteratura (da Cervantes a Gadda, da Folengo a Joyce, da Belli a Calvino), mette in tavola gran messe di parole del cibo e intorno al cibo, attraverso un viaggio compiuto tra la selva dei nomi regionali e le mille varianti dialettali, tra i nomi del pane, le denominazioni locali dei dolci e i cibi
Dalla Garzantina di Letteratura
Insegna storia della lingua italiana all'università di Torino. Ha pubblicato “Ritmo e melodia nella prosa italiana” (1964), “L'autonomia del significante” (1975), il saggio su Beppe Fenoglio “La guerra e gli asfodeli” (1984), “Italiano. Antico e nuovo” (1988), “Le forme della lontananza” (1989), “I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole scomparse” (1995), viaggio alla ricerca del vocabolario dell'ormai scomparsa cultura contadina e, nel 1999,” Sicuterat”



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