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 Anno VI n° 10 OTTOBRE 2010    -   TERZA PAGINA


Prosegue il nostro “viaggio” nel mondo della cultura
Il valore della cultura oggi
Una riflessione attraverso l’intervista al videomaker Pietro Annicchiarico
Di Giacomo Nigro


Con l’evoluzione della civiltà umana, alle abilità e competenze primarie (forza fisica, abilità, inventiva) si sono aggiunti altri valori meno essenziali da un punto di vista pratico ed esistenziale: il gusto del bello, cioè l'arte, in tutte le sue manifestazioni e il gusto del ragionamento, della logica, della speculazione intellettuale. cioè la filosofia e in definitiva la “cultura".

Il valore cultura, proprio per le sue peculiarità di bene non essenziale, importante solo quando fossero state gratificate le necessità primarie della vita, ha in pratica avuto un ruolo secondario, un lusso riservato alle classi dominanti. L'intellettuale, il filosofo, l'artista, il letterato ha per conseguenza quasi sempre avuto una funzione di supporto al potere sia perché coincideva con il potere, sia perché da questo dipendeva per il proprio benessere e la sopravvivenza fisica.

Le cose sono mutate solo in tempi recenti, dopo la fine della Prima e, ancor più, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quelle enormi ed insensate carneficine modificarono profondamente l'atteggiamento di condiscendenza generale nei confronti della gerarchia dei valori, come si era andata determinando nei secoli passati e la cultura cominciò ad essere il lasciapassare più adatto per la creazione di un mondo migliore, più attento alle esigenze “dell’altro” non più sottoposto, ma capace di contribuire alla propagazione e alla creazione di una rinnovata cultura. Si è avuta cioè un'apertura al sapere di classi sociali che fino a quel momento ne erano state escluse. Si è potuta diffondere la convinzione, direi la consapevolezza che la cultura fosse il miglior mezzo per raggiungere una promozione sociale e salire qualche gradino nella scala sociale. In effetti non possiamo dire che ci sia stato in passato un periodo di così grande divulgazione e diffusione della cultura come quello in cui viviamo da qualche generazione.

Abbiamo oggi una copiosissima produzione letteraria, sia a livello europeo che americano e russo. Paesi come l’India, la Cina, continenti come l’Africa e il mondo arabo e musulmano sono altrettanto attivi. Insomma, tutto si può dire tranne che la letteratura sia oggi in crisi. E questo vale anche per l’arte contemporanea, che gode di uno dei suoi periodi più fertili. Se poi si tratti di grande arte o meno, questo non lo sappiamo, né possiamo dirlo, ai posteri la decisione; di sicuro possiamo affermare che “la cultura” vive, anche se pare mostrare il fianco a un cedimento dovuto all'eccesso di offerta. Tutti abbiamo presente quanto, al tempo di internet, la cultura, apparentemente alla portata di tutti, pare essere in crisi di credibilità proprio a causa dell'eccessivo "esercizio" di essa senza un controllo di qualità sufficiente a controllarne l'autenticità. La velocità non favorisce la riflessione e spesso si cade in errore e la qualità del "prodotto" scema, si riduce.

Con queste premesse, per verificare la validità delle tesi esposte e dell'omogeneità culturale del nostro Paese alle soglie di un controverso anniversario unitario, ci accingiamo a rivolgerci a un uomo del nostro tempo, a un italiano tipico per il suo percorso di vita: Pietro Annicchiarico. Nato a Sud dove ha maturato la sua personalità, si è trasferito a Nord dove ha completato gli studi e il suo percorso di crescita …

L’epoca attuale è dominata dalla tecnologia, sembra lontana dalla cultura e dall’interesse per essa. Che fine ha fatto la cultura? C’è ancora spazio per le sue forme espressive: libri, film, pittura, musica, arte?
Parto dalla mia esperienza personale: ho avuto una formazione caotica, fino ad un certo punto scolastica, quindi regolare, poi da autodidatta.
Sono nato a Grottaglie, in provincia di Taranto e ho vissuto tra gli anni '70 e '80 la scissione tra gli acculturati e gli analfabeti. La spaccatura era molto sentita, fino a dividere in due sponde il viale del paese, di qua gli aristocratici che studiavano, di là i cafoni che andavano in campagna e che conoscevano solo la zappa.

Certo molto ha fatto l'idea che la scuola pubblica potesse essere per tutti, anche per le classi senza reddito certo, com'era quello dei contadini. Grazie alla scuola pubblica (concetto che in questo momento storico in Italia sta venendo meno, anzi sta per essere ribaltato) ho potuto alfabetizzarmi e quindi aspirare a un futuro differente da quello per cui ero stato programmato. Avevo di fronte a me due strade, l'istituzione scolastica e la fatica dei campi.

In seguito a una seria crisi adolescenziale avvenuta intorno ai 16/17 anni, decisi di scavarmi un solco alternativo, più profondo e abbandonai la scuola pubblica senza cedere al ricatto del lavoro/fatica senza prospettive. Decisi di intraprendere (anche se con una molteplicità di dubbi e insicurezze tipiche di chi non è supportato da nessuno) la via delle arti, della fotografia, del video e in seguito della scrittura, con incursioni nel disegno.

In questo percorso mi hanno aiutato le figure variegate che ho cercato come riferimento, ma più di tutto, quello che mi ha dato l'orientamento, la bussola, è stata ed è la politica. L'ideale utopistico, insieme alla lettura quotidiana de "il manifesto", mi hanno permesso di comprendere le contraddizioni strutturali di questa epoca (si pensi alla Costituzione Italiana e al desiderio costante da parte di alcune forze parlamentari che su di essa hanno giurato fedeltà, di smantellarla sin dalle radici), le sue ricchezze, le sue povertà, le sue bellezze.

Con queste premesse faccio fatica a capire cos'è Cultura e ogni volta che mi trovo davanti questa parola (che mi incute terrore e rabbia), vedo davanti a me un vuoto enorme, un abisso e allora mi aggrappo a questa parola ricorrendo a tutte le volte che l'ho sentita nominare, e chi l'ha nominata, a quei volti sprezzanti. In genere chi la nomina e la eleva in maiuscolo, vuole creare una gerarchia tra sé e gli altri non acculturati.

Io sono un anarchico, che si è fatto da sè rubando qua e là concetti, pensieri, suggestioni visive, che ha sempre sognato di essere altro, ma si ritrova ad essere se stesso, ovvero un mancato contadino e un ricercatore costante di senso, forzando tutti i tipi di segni, rompendoli, per capire cosa c'è dentro-dietro ai meccanismi (pratica infantile che mi portava a rompere ogni oggetto, sventrarlo, senza poi riuscire a rimetterlo in sesto). Poi mi ricordo di tutti gli assessori alla Cultura che ho conosciuto, gente rozza, ipocrita e per nulla curiosa (ecco forse la curiosità per l'altro è Cultura?), che sbava solo davanti al potere, al prestigio, al privilegio.

La Cultura dell'uomo che piega gli altri attraverso il predominio dell'alfabeto (mio padre era analfabeta, contadino), le lettere cioè che vergano le leggi soggioganti ignari, deboli, indifesi umani di fronte al caos che il potere crea (pretendendo e ottenendo ordine con la forza). Insomma la Cultura è un cumulo di inganni, pregiudizi e pretende di essere Unica, anche di fronte all'evidente esistenza delle culture altrui, millenarie, magari pacifiche e non belligeranti. La Cultura oggi, quella che insiste qua sotto casa mia, ad esempio, si fregia di non ospitare i nomadi e crede (e per questo delibera, ordina, esegue) di essere migliore di quella dei Rom, o dei Sinti, o degli africani o degli orientali che continuano a vagare (come me) alla ricerca del paradiso/tempo/spazio perduto.

Ci sono poi i prodotti culturali, quelli che conosciamo sono giunti a noi grazie all'industria, allo sfruttamento intensivo della cultura. Il cinema ad esempio fa parte dell'industria, della serialità. I film d'arte, si pensi a Pasolini, Fellini, Godard, Antonioni, Bunuel ecc, sono film che i produttori finanziavano per scaricare le tasse. Ogni quattro film commerciali, uno d'autore. Però nella storia del cinema, i film realizzati per fare cassa subito, sono stati dimenticati, invece quelli dei registi sopra citati attraversano lo spazio e il tempo, rimanendo eterni.

Questa è la grande differenza tra oggi e il passato: un tempo si finanziavano le opere d'arte durature, oggi invece solo quelle usa e getta. E' il capitalismo, ovvero le regole del profitto che non guardano in faccia ne' la storia, ne' il futuro, ma si auto generano solo nell'eterno presente.

Con internet le cose potrebbero cambiare, non più quindi la verticalità, la scelta da parte di produttori cinematografici/musicali, o editori o galleristi di chi deve emergere, ma l'orizzontalità che potrebbe dar voce ai senza voce, ai sovversivi, agli inventori del mondo nuovo, agli utopisti. Purtroppo tutto avviene lentamente, poiché internet è in mano alle grosse major (facebook, google, microsoft, apple) ed al controllo da parte dei governi autoritari (si veda il caso dell'Italia, della Russia o della Cina).
Basta dare un'occhiata ai contratti di licenza che nessuno, per praticità, legge. Sono sempre e solo a loro favore.
Per intenderci ho il terrore di mettere un mio scritto, un mio disegno, una mia opera fotografica, un video integrale su internet, perché le major, ma anche i furbi, possono mangiare te e le tue opere. Per il resto cerco di usarlo senza farmi usare, propago le mie iniziative, insomma è una lotta perenne. Lo spazio per i prodotti classici si sta restringendo sempre più, e tutto sta diventando, così dicono, liquido, informe, trasversale, ma anche più alla portata di tutti, anche se la qualità potrebbe risentirne notevolmente. Siamo in un'epoca di grandi stravolgimenti, l'avvento del digitale ha cambiato per sempre le nostre vite, il modo di informarci e di agire e mi chiedo se può cambiare incredibilmente le sorti della Cultura. La mia risposta è si, ma solo se saremo capaci di appropriarci di questa rivoluzione prima che il Capitale ci metta sopra le mani, per sempre.


Come docente di audiovisivi hai a che fare con i bambini. Che impressioni ti ha lasciato la loro passione e curiosità per l’arte visiva e pittorica?
Il mio lavoro è dedicato ai piccoli e ai vecchi. Al mio bambino interiore, che solo io posso coccolare, dargli le eventuali cure di cui ha (avuto) bisogno. Al mio vecchio interiore, che aspetta paziente la morte, sorride e aspetta, si muove lento, appoggia le mani sulle gambe, quelle mani che sono un aereo paesaggio desertico, seccato, cretto, arida pelle, acqua evaporata, carta topografica, pelle tamburo sul lutto permanente.

I bambini, i piccoli, sono grandi visionari, non tutti, ma se sono fortunati molti di loro hanno ancora l'immaginazione, che è la vera risorsa dell'Uomo. Cerco di tirar fuori la loro parte geniale, le risposte inattese create da domande che nessuno fa più loro. Sono davvero belli, puliti (se non hanno più di 8 anni). Dopo quella età sono irrimediabilmente inquinati, dai media, dai genitori, dalla società: folle, consumistica, questa società che non amo particolarmente, non che ce ne sia un'altra a disposizione, ma occorrerebbe immaginarne una nuova.


I pugliesi sono persone brillanti e generalmente calde e accoglienti, hai notato differenze con le persone incontrate al Nord?
Conosco una moltitudine di pugliesi opachi e burberi (a Grottaglie c'è un termine ad hoc per definirli, "li suski"). Questa dell'ospitalità potrebbe essere un residuo del passato, generalmente appartenente ai poveri, più che ad una etnia particolare. Poi sappiamo che ci sono diverse sub-regioni: la daunia, il salento (alto e basso), la murgia. Insomma la realtà non può mai essere catalogata e definita una volta per tutte, e le generalizzazioni spesso ci conducono non solo ad errare ma addirittura a creare figure leggendarie, mitiche che in realtà non esistono. Se è vero che i pugliesi sono caldi ed accoglienti, perché molti scappano via dalla Puglia? Negli ultimi venti anni abbiamo assistito ad un vero e proprio esodo verso il nord, e non è solo per ragioni economiche, a mio parere, che si scappa via, ma anche per scappare dall'ignoranza, che spesso sfuma in arroganza e violenza, che in Puglia è radicata.

Detto questo è chiaro che la maggior parte dei pugliesi è gente pacifica, ospitale, ma qualcosa è cambiato in trent'anni. E' scomparsa la comunità. Disintegrata con la morte degli ultimi vecchi e l'avvento dei giovani televisivi che hanno spazzato via, irrimediabilmente e acriticamente ogni forma di convivenza civica, sostituendola con i simulacri: i viali popolati da centinaia di giovanissimi, all'aperto, sono stati sostituiti dai locali; infatti l'ho chiamata ironicamente la rivoluzione "locale".
Tutti nei pub a bere fiumi di birra, chiusi nelle micro-comitive riunite attorno a un tavolo, un bancone, impossibilitati a scambiarsi esperienze verbali significative, anche per colpa dello stordimento sonoro ed alcolico.
Così i vecchi non si soffermano più con le sedie sul marciapiede e i bambini non giocano più in mezzo alla strada, ma tutti chiusi in casa a guardare e sentire la televisione, con la sua Verità Unica e impenetrabile ma soprattutto non criticabile. Persino le pizzerie hanno il televisore ad alto volume sintonizzato sulle reti "raiset".
Le strade sono occupate militarmente dalle automobili, che non fanno passeggiare, giocare, camminare, scambiare esperienze. Al sud, abbiamo sostituito la ricchezza della nostra vita, con quella dei petrolieri e costruttori di automobili.


Normalmente vivi ed operi a Bologna e dintorni: qual’è l’obiettivo della tua attività quando torni a Grottaglie?
La restituzione, come tutti i migranti. A Bologna (come nella rete) sono stato aiutato dai grottagliesi, dai meridionali ad emergere, piano piano. A Grottaglie sono rimaste le persone che mi sono più care e quando torno, grazie alla collaborazione con gli insegnanti e gli operatori culturali (raramente delle istituzioni locali), cerco di aprire il mio bagaglio di competenze e conoscenze acquisite nel mondo e condividerlo con chi è rimasto indietro. Sono principalmente gli incontri con i giovanissimi che mi emozionano e che mi danno la voglia di continuare a fare delle cose in Puglia.

Noti delle differenze nell’atteggiamento verso la cultura fra nord e sud? Quali?
Al nord hanno il colesterolo (rubo questa battuta al mio maestro di scrittura Gianni Cascone). Questo per dire che c'è un eccesso di offerta di iniziative, molto spesso snobbata. Ovviamente dipende dalle maggiori risorse economiche esistenti al nord, ma anche dal fatto che proprio per questo motivo c'è una massiccia presenza di artisti, soprattutto meridionali. Ho pensato che sarebbe bello se il nord regalasse anche solo l'1% di queste iniziative ai paesi del sud. Creerebbe curiosità, interazione, gratitudine, desiderio di confrontarsi e di crescere. Lancio questa ipotesi proprio da questa vostra testata.
Per il resto, mi sforzo incessantemente di capire se ci sono differenze, ed io ne ho trovato una immediata, vera per me. La differenza è che al nord sono tranquillo e c'è spazio per la mia realizzazione personale, artistica, lavorativa ed affettiva.
Inoltre esiste una rete civica spontanea o organizzata che mi commuove, un'idea di bene pubblico superiore, eccezionale, che fa coesistere il privato nel pubblico, tutto a favore del secondo. Al sud il rapporto è rovesciato, il pubblico diventa privato, il bene pubblico maltrattato, ignorato, stuprato e il singolo individuo avidamente arricchitosi è noncurante di chi e cosa lo circondi. Questo crea la disperazione tra gli abitanti che rinunciano in partenza a lottare perché le cose cambino. Senza l'apporto della popolazione ma soprattutto degli amministratori, anche gli uomini e le donne di buona volontà, dopo un periodo di "stage intensivo gratuito", sacrifici anche personali, rinunce di carriera, decidono di abbandonare il sud al suo terribile destino.


Nella tua vicenda culturale hai affrontato argomenti diversi: quale di questi ti è rimasto nel cuore?
Ognuno di noi ha i suoi argomenti personali, che saranno validi per tutta la vita. Il mio è di sicuro quello del sogno, studiato in tutte le sue sfumature, dalla trance (per questo ho lavorato sul tarantismo) all'onirico, passando per l'utopia, ovvero al sogno di una società pulita e giusta. I mezzi che uso sono quello cinematografico, quello fotografico, la scrittura e il disegno. Il tarantismo, grazie alla sua ricchezza espressiva, ha rappresentato l'apice dal punto di vista dell'efficacia simbolica e curativa nella mia esperienza personale. In fondo è grazie al tarantismo (che continua a dispensare i suoi benefici), che io e te ci siamo conosciuti, ma soprattutto che sono riuscito a superare ed elaborare il lutto per la perdita di mio padre contadino e grande affabulatore, alla cui memoria dedico questa bella intervista.



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