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 Anno VI n° 12 DICEMBRE 2010    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010
Gli intrecci perversi
Debito pubblico ed evasione fiscale sono certamente i problemi primari, ma anche l'uso dell'urbanistica come finanziamenti dei comuni, il disservizio idrico, la mancanza di attenzione al problema energetico e la green economy
Di G.G.


Tra i punti che impediscono la ripresa c'è sicuramente l'eccesso di debito pubblico e l'evasione fiscale. Il debito pubblico ogni anno drena risorse per il 4,7% del Pil, e l'evasione fiscale è valutata almeno 100 miliardi di euro l’anno.

Le stime segnalano inoltre che l’economia irregolare, dopo un lungo periodo di frenata, ha ripreso a crescere, registrando tra il 2007 e il 2008 (N.d.R. Coincide col ritorno di Berlusconi al Governo!) un aumento del valore del 3,3%, portando l’incidenza sul Pil dal 17,2% al 17,6%. A trainarla, secondo il Censis, è stata la componente più invisibile, legata ai fenomeni di sottofatturazione e di evasione fiscale (+5,2%), la cui incidenza sul valore complessivo del sommerso raggiunge ormai il 62,8%. Di contro, il valore imputabile al fenomeno del lavoro irregolare resta sostanzialmente stabile (+0,1%) e la sua incidenza scende dal 38,4% al 37,2%.

Ma gli italiani iniziano a guardare con preoccupazione al dilagare di questi fenomeni, su cui da sempre si è chiuso un occhio, anche per convenienza personale. Secondo un’indagine del Censis, il 44,4% degli italiani individua nell’evasione fiscale il male principale del nostro sistema pubblico, il 60% ritiene che negli ultimi tre anni l’evasione fiscale sia aumentata, il 51,7% chiede di aumentare i controlli per contrastare l’evasione. Tuttavia, di fronte a un esercente che non rilascia lo scontrino o la fattura, ancora più di un terzo degli italiani (il 34,1%) ammette candidamente di non richiederlo, tanto più se questo consente di risparmiare qualche euro.

Sicuramente, tra gli intrecci perversi, rilevante e preoccupante è quello tra criminalità e politica. Il Censis scrive: “Perché, se è vero che la criminalità organizzata ha ormai allargato i suoi interessi ben oltre il Sud d’Italia e al di fuori dei confini nazionali, è altrettanto vero che nel Mezzogiorno i suoi effetti restano decisivi, in quanto al Sud si crea un circuito perverso con l’economia, la politica, la società civile, tale da bloccare le iniziative di sviluppo nella legalità.

La sua analisi si concentra su Campania, Calabria, Puglia e Sicilia e trova questa situazione: “sono 448 i Comuni in cui sono presenti sodalizi criminali, 441 quelli in cui si trovano beni immobili confiscati alle organizzazioni criminali, 36 quelli sciolti negli ultimi tre anni per infiltrazioni mafiose. Complessivamente si tratta di 672 territori comunali, che occupano il 54,8% della superficie delle quattro regioni, dove vive il 79,2% della popolazione (più di 13,4 milioni di persone, che rappresentano il 22,3% dell’intera popolazione italiana).

E prosegue: “Gli enti locali ove la pressione mafiosa sembra essere maggiore risultano concentrati principalmente in Campania, nelle province di Napoli e Caserta; in Calabria, nella provincia di Reggio Calabria e in particolare nella piana di Gioia Tauro; in Sicilia, nella provincia di Agrigento. Si tratta di circa 380.000 persone che vivono subendo il pesante condizionamento delle mafie.

Conclude il Censis con quest’interessante osservazione: “L’indicatore segnala la presenza di attività criminali a diverso livello d’insediamento, con l’ambiguità che dove più si perseguono le mafie ce n’è maggiore evidenza. Tuttavia, la pervasività nel territorio meridionale della criminalità organizzata viene confermata in crescita.

Tra gli “intrecci perversi” non può certo mancare la politica, che, secondo un'indagine del Censis, ben il 34% degli italiani ritiene che la sua litigiosità sia il principale ostacolo che grava sulla ripresa economica del Paese, ma l'argomento merita un approfondimento apposito.

Leva urbanistica e scambio pubblico-privato: il rischio della deriva immobiliarista.

Il Censis segnala un intreccio perverso tra urbanistica e finanziamento degli interventi pubblici da parte dei privati. Già è stato segnalato da “Report” come, a differenza degli altri paesi europei, la pianificazione urbanistica italiana sia pilotata dagli interessi degli immobiliaristi. Il taglio dei finanziamenti agli enti locali e lo scellerato “patto di stabilità”, che non permette agli stessi di utilizzare fondi provenienti da avanzi di gestione precedenti, impedisce ai comuni di finanziare con il gettito ordinario le opere infrastrutturali necessarie. In questo modo le entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione rappresentano una modalità di finanziamento straordinario per i Comuni “una dinamica che ha portato non poche amministrazioni locali a favorire, per fare cassa, una forte produzione edilizia e un notevole consumo di suolo”.

Il Censis identifica due modalità di partnership: quella classica, ormai collaudata, quando, a fronte di una compartecipazione del mercato alla realizzazione di un’infrastruttura, il rientro dell’investimento per i soggetti privati cofinanziatori risiede nella gestione diretta dell’opera per un tempo dato e all'incasso conseguente da parte del privato di canoni o pedaggi da parte degli utenti e una più sbrigativa che vede come moneta di scambio, per recuperare l’investimento effettuato dal privato, non più la gestione dell’infrastruttura, ma la possibilità di realizzare nuove volumetrie su terreni pubblici o in deroga al piano urbanistico.

Un pessimo esempio di gestione pubblica dei servizi è quello idrico.

Nonostante sia oggetto da alcuni anni di un’incessante attività di riforma – scrive il Censis - gli utenti sono cronicamente insoddisfatti, gli investimenti ristagnano, i processi di modernizzazione restano al palo e non si consolidano sistemi di gestione di tipo autenticamente industriale. L’11,5% degli utenti denuncia irregolarità nell’erogazione dell’acqua (nel 1995 questa percentuale era simile, il 14,7%). In alcune regioni, come la Calabria, si supera il 30% e nel periodo estivo la media nazionale arriva al 42,7%. In più, il 32,2% delle famiglie utenti dichiara di non fidarsi dell’acqua che sgorga dal rubinetto di casa.

La centralità dell’industria energetica.

La valenza sociale di un settore fondamentale della nostra economia produttiva come quello energetico è spesso poco considerata. Ma i benefici che si originano all’interno della filiera della produzione energetica per il sistema-Paese, per le imprese e per i cittadini sono notevoli. Assorbe un’occupazione diretta consistente (circa 118.000 addetti) costituita dal personale dipendente delle compagnie, di elevata qualificazione. Alimenta importanti settori collegati, sia industriali (dall’impiantistica alle costruzioni, dalla siderurgia all’industria elettromeccanica), sia nei servizi (dalla progettazione ai trasporti, dalla ricerca alla formazione), anch’essi di elevata specializzazione. Produce un fatturato annuo rilevante, che supera i 230 miliardi di euro. Determina importanti investimenti sul territorio (dell’ordine di alcuni miliardi di euro l’anno), in parte legati all’esigenza di aderire a una normativa tecnica, ambientale e relativa ai temi della sicurezza in continua evoluzione. Produce un gettito considerevole per lo Stato anche in termini di imposte indirette, quali le accise, che solo per il settore dell’autotrasporto ammontavano nel 2008 a oltre 23 miliardi di euro.

Opportunità imprenditoriali e occupazionali dalla «torsione verde» dell’economia.

Il segmento dell’energia rinnovabile, oltre a simboleggiare la natura intrinseca della green economy, ne rappresenta la componente industriale più dimensionata e più promettente in termini di sviluppo potenziale. L’energia prodotta in Italia da fonti rinnovabili si approssima al 20% del totale. La crescita del comparto, alimentata dalle politiche europee e nazionali, è stata decisamente rapida. In soli quattro anni è aumentata del 39%. Quanto alla distribuzione sul territorio, la produzione, come anche la potenza degli impianti, si concentra nelle regioni settentrionali, dove è determinante il contributo della fonte idroelettrica.


Tutte le tabelle esposte sono tratte dal 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/ 2010



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