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 Anno VII n° 2 FEBBRAIO 2011    -   MISCELLANEA


Vini da meditazione, ma non solo
I passiti: un uso da riscoprire

Di Luana Scanu


Il passito. Nettare degli dei, croce e delizia dell'enogastronomia, vino che porta ad emozioni estreme: o lo si ama oppure lo si odia.

Nel mondo sono tanti i passiti famosi per il loro ampio bouquet e per il grande prestigio, ma in Italia, ahimè, il grande impulso è arrivato solo nel secondo dopoguerra, quando finalmente si ha iniziato ad amare questo prodotto dalle mille sfaccettature.

Il Sauternes in Francia, il Tokaji in Ungheria, l'impronunciabile Trockenbeernauslese (abbreviato TBA) in Germania, le vendemmie tardive alsaziane e renane sono solo alcuni esempi di passiti famosi in tutto il mondo.

In Italia il vino dolce è sempre stato apprezzato, soprattutto dai contadini che, nei giorni di festa o in caso di visite importanti, brindavano con questo nettare d'uva, mentre veniva quasi ignorato dai ristoranti e dalle enoteche perché relegato solo a fine pasto, in abbinamento ai dolci.

Bisogna inoltre considerare che, in assenza di una profonda conoscenza enologica, non era facile ottenere un buon passito, quindi i contadini dei primi decenni del '900, spesso e volentieri non ottenevano grandi risultati.
D'altronde le conoscenze enologiche erano limitate per lo più alla produzione di vini secchi, l'igiene delle cantine e dei fruttai, dove le uve appassivano, lasciava a desiderare, le cure in vigna e i metodi di vinificazione non erano certo al livello odierno; ne conseguiva che i vini ottenuti erano spesso tutt'altro che limpidi, di colore ambra scarico che ricordava più un'ossidazione anziché un vino speciale e dal sapore spesso disturbato da un sentore di aceto.

Con l'avvento dell'era moderna, della conoscenza, della tecnologia, si è invece riusciti ad affinare la tecnica della vinificazione in cantina, ma soprattutto la tecnica dell'appassimento delle uve che è fondamentale.

Ecco però che, a cavallo tra gli anni '60 e '70, un'altra crisi colpisce i vini passiti italiani: il diffondersi dei pregiatissimi Champagne.

A questo punto si inizia a diffondere l'abitudine di affiancare le nobili bollicine a torte, crostate oppure panettoni e pandori o qualsiasi altro tipo di dolce, e, visto e considerato che i passiti erano relegati solo all'ultima parte del pranzo, quella del dessert, si vedono sostituire da altri prodotti che, seppur ottimi e pregiati, in realtà facevano un po' a pugni con il sapore dolce.
Insomma, un'eterna crisi per dei vini, che in realtà, dovrebbero essere amati per la loro complessità, per gli aromi che sono un assoluto piacere sia per il naso che per il palato!

Finalmente, in questi ultimi due decenni, grazie ad una cultura più raffinata, ma soprattutto a tecniche di abbinamento più evolute, si è assistito ad una nuova ascesa dei vini passiti con conseguente crescita di importanza e valore di numerose etichette presenti in Italia, quindi un vino considerato importante non può limitarsi ad accompagnare una sola portata.

Ecco dunque che, anche in Italia, si inizia ad “azzardare” e ad abbinare questi vini non solo ai dolci, ma anche a piatti tendenzialmente dolci, come zucca, peperone e crostacei, oppure, in contrasto, a piatti con sapori forti e tendenzialmente amarognoli come foie gras, pâtè di fegato, formaggi erborinati e piccanti.

Come si produce questo vino così particolare?

Tutto dipende dalle uve che vengono lasciate appassire e che quindi, in seguito a disidratazione, concentrano nell'acino aromi e sapori.
Tutte le uve possono essere sottoposte ad appassimento, anche se spesso vengono privilegiate quelle aromatiche, come moscati, malvasie, gewürtztraminer, bracchetto oppure semi-aromatiche, come sauvignon, riesling, prosecco, chardonnay, Müller Thurgau, aglianico ecc.

Esistono vari tipi di appassimento, a seconda soprattutto della zona vitivinicola nel quale si vuole produrre il passito. Il più utilizzato è “l'appassimento forzato”.

Nelle zone settentrionali dell'Italia le uve si fanno appassire per lo più nei fruttai, dotati di un sistema di ventilazione artificiale con aria riscaldata intorno ai 30° C, distese sui graticci e controllate quotidianamente in modo da evitare l'attacco da parte di muffe spiacevoli.

A volte però, queste muffe non sono spiacevoli, ma nobili: è il caso della Botrytis Cinerea, muffa che colpisce gli acini solo in particolari condizioni climatiche (predilige il clima continentale e atlantico), che provoca l'appassimento per evaporazione e la conseguente concentrazione di tutte le sostanze estrattive. Produce glicerine e sostanze aromatiche e soprattutto consuma alcuni acidi, donando così eleganza al vino.

Nelle zone più calde invece si preferisce far appassire le uve all'aria aperta, quindi alla luce diretta del sole, come avviene per la produzione del Greco di bianco in Calabria e del Moscato di Pantelleria.

Infine, caso più raro, l'appassimento può avvenire direttamente sulla pianta, con un ritardo della vendemmia. Questo è il caso dell'Aleatico di Gradoli, vino rosso laziale per il quale si parla di “appassimento naturale”.

Insomma, non importa quale tipo di appassimento subiscano gli acini o quale tipo di vinificazione venga applicata al mosto, fondamentale dev'essere la riscoperta di questi vini, che in Italia vengono prodotti in tutte le regioni, ma che hanno bisogno di un mercato che li ami ancor di più.



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