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Il cattivo governo

Le riforme inutili

Il “federalismo” di Calderoli è un bell'esempio di incapacità a governare, ma anche le riforme Gelmini, non sono da meno

Di Il Nibbio

Questo doveva essere il Governo “costituente”, il Governo delle riforme, il “Governo del fare” e invece è il “Governo del nulla”. Nessuna riforma seria, quando, invece, avremmo un bisogno estremo di un forte rinnovamento del sistema della Pubblica Amministrazione. Lasciamo perdere la riforma della giustizia, perché ha come unico scopo quello di garantire l'immunità al Premier, quando ci sarebbe bisogno di una profonda riforma del processo civile.

Parliamo invece di riforme che non hanno alla base i motivi “ad personam

Le riforme Gelmini sulla scuola e sull'Università sono state un’occasione sprecata per dare una scossa ad un sistema di insegnamento basato sulla “proprietà delle cattedre” da parte degli insegnanti. Sono state, invece, un aborto, causato dall'obiettivo primario di ridurre drasticamente le spese: nessuna riforma si piò fare pensando di tagliare i fondi nella fase di avvio. I risparmi, se ci potranno essere saranno dopo.

Un discorso analogo si può fare per il “federalismo fiscale”; infatti, quanto predisposto, dopo l'accordo con i Comuni, per il “federalismo comunale” è risultato un sicuro aggravio del peso fiscale. Un “federalismo” fatto così non serve!

Se le riforme escono sbagliate da questo Governo è perché non sa governare. Crede di poter ordinare a sua volontà affermando di essere stato “eletto dal popolo” e per questo avere il potere assoluto.
Ma non è così!
A parte l'osservazione che questa maggioranza è stata votata solo da un terzo degli italiani e quindi non rappresenta neanche la maggioranza degli elettori, si deve ricordare che nessuno possiede tutta la verità. Per fare riforme serie si deve dialogare con le parti, ascoltarle, cogliere gli elementi base, i punti focali dei problemi, le interrelazioni, i limiti esistenti. Ogni scelta porta dei benefici e, nello stesso tempo, dei danni: si deve valutare se i benefici sono maggiori dei danni.

Questo Governo invece impone pacchetti preconfezionati, che devono passare in parlamento sempre con il voto di fiducia. Segno di debolezza del governo, di presunzione e di incapacità di cogliere la realtà; e, quando poi non passano, si levano alte grida di protesta.

Vediamo quali problemi ha il federalismo, così come è stato affrontato dal ministro Calderoli.

Quello che sta facendo il Ministro della Semplificazione burocratica è, in effetti, una riforma fiscale. L'idea di base, tutt'altro che sciocca, è che gli enti territoriali, Comuni, Province e Regioni, siano autonomi nell'acquisizione delle risorse finanziarie per il loro funzionamento.
Si ritiene giustamente che più è vicino chi impone le tasse a chi le paga e più chi paga controllerà che i suoi soldi siano spesi bene. Ottima idea, ma mi sembra decisamente sbagliato il modo in cui è affrontato il problema.

Uno dei problemi di base è che non si possono modificare le tasse comunali e basta, è evidente che se si alza il gettito per i comuni, di conseguenza si devono ridurre le tasse dello Stato.
Occorre quindi una riforma fiscale complessiva, che, tra le altre cose, sarebbe opportuno che riduca fortemente il peso del fisco sui redditi più bassi, per ridare fiato alle famiglie; ma di questo Tremonti non ne vuol parlare, anzi sembra che l'UE chieda ulteriori sforzi per un rientro rapido del debito pubblico.

Sarebbe anche necessario, prima di procedere allo sviluppo del federalismo fiscale, di relizzare una riduzione degli Enti che operano sul territorio, che sono una miriade e troppo spesso le loro competenze si sovrappongono. Lo stato attuale comunque comporta sempre ritardi e incertezze nel modo di operare, ma sembra impossibile pensare di cancellare enti.

L'unica cosa che i politici sono stati fino ad ora capaci di fare è di indicare a gran voce l'abolizione delle Province, anche se poi non la realizzano, forse perché sarebbe un lavoro costoso e complicato che non porterebbe ad alcun beneficio, anzi complicherebbe le cose.

Proviamo a vedere la realtà; primo punto quanto costano Regioni, Province e Comuni?

L'Istat ci dice che nel 2005 le spese di questi enti sono ammontate a 412,75 miliardi di euro. Una bella cifra di sicuro, ma la parte del leone la fanno le Regioni che, sempre nel 2005 hanno speso ben 297,736 miliardi di euro, seguite dai comuni con 98,472 miliardi. Le Province si collocano a gran distanza, solo 16,540 miliardi di euro. Certo che se si potesse cancellare questa spesa sarebbe un gran bel risparmio, ma se analizziamo perché sono spesi ci possiamo rendere conto che c'è poco da risparmiare.

Le spese correnti sono 8498, 75 miliardi di euro, gli investimenti sono 3956,96 miliardi, vi sono poi i ratei dei mutui e altre spese per complessivi 2549,53 miliardi di euro.
Se vediamo nella tabella come sono ripartite le spese correnti ci possiamo facilmente rendere conto che le Province non sono enti inutili, ma si occupano delle scuole superiori (bidelli, illuminazione, riscaldamento, manutenzioni, ecc), dei trasporti e della viabilità intercomunale, del territorio e dell'ambiente, della promozione del turismo e dello sviluppo economico. Ora è ipotizzabile che ci siano degli sprechi, ma l'abolizione di questi Enti comporterebbe solo che le spese delle Province sarebbero fatte da altri Comuni o Regioni e il risparmio, ammesso che non si sia una maggiore spesa, sarebbe ben poco.

Certamente è più facile pensare che si possa risparmiare consistentemente sulle Regioni, per prima cosa ridimensionando stipendi e numero dei consiglieri, che hanno stipendi di poco inferiore ai deputati al Parlamento (lo scandalo Ruby ha fatto sapere a tutti anche questo). Ma questo non si tocca; c'è da pensare che se i politici pensano di cancellare le Province sia perché non ci possono guadagnare abbastanza.

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