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 Anno VII n° 3 MARZO 2011    -   FATTI & OPINIONI


Lo sbuffo
Il Papa predica bene, ma la sua Chiesa lo smentisce
La tolleranza religiosa, invocata in difesa dei preti cattolici, non è applicata nel rispetto della libertà dell'uomo proprio dai cattolici che si mostrano sempre intolleranti
Di Giovanni Gelmini


Nel consueto “discorso dell'Angelus” Papa Benedetto XVI ha oggi espresso una forte e legittima preoccupazione: “Seguo continuamente e con grande apprensione le tensioni che, in questi giorni, si registrano in diversi Paesi dell'Africa e dell'Asia. Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l'impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità”.

L'appello è coerente con gli insegnamenti del Vangelo, insegnamenti d’amore e rispetto per l'uomo e il suo credo, come legittima è la preoccupazione per il persistere nelle ideologie di discriminazione razziale, religiosa e di stato sociale, che ispirano le azioni d’oggi, purtroppo anche in Europa e in Italia.

Ben vengano quindi questi stimoli a ben interpretare la morale cristiana e l'etica che dovrebbe ispirare le nostre azioni; peccato che questi non corrispondano a quanto chiede a noi la CEI, il vertice dei Vescovi cattolici italiani. Infatti, sono forti, troppo forti e contro l'insegnamento del Vangelo le sue pressioni perché il pensiero etico della CEI diventi legge dello stato e quindi l'italiano sia per legge obbligato a contraddire il proprio credo, quando è diverso da quello preteso dalla Chiesa Cattolica.

Violenza non è solo uccidere, ma anche impedire la libera espressione del proprio credo. La legge civile ha solo il compito di impedire che la propria libertà leda la libertà degli altri. Legiferare sul diritto alle scelte della cura e al mantenimento in vita, oltre ogni speranza scientifica, o sulla procreazione assistita è necessario proprio per garantire il rispetto della persona ed evitare abusi, ma deve essere rispettosa delle volontà espresse.

Vi faccio un esempio pratico sul problema dell'osservanza del testamento biologico, in discussione nei prossimi giorni al parlamento. Il tenere in vita un essere umano o lasciarlo morire comporta un cambiamento delle status degli altri: il coniuge diventa vedovo o resta conugato, a seconda della scelta, perdurano o cessano situazioni patrimoniali e vincoli. Si deve quindi ben verificare che queste non siano le principali motivazioni per le scelte. Il ricorso deve essere valutato da persona in grado di giudicare: un giudice quindi che deve essere terzo; non può quindi essere il medico che troppo spesso non è terzo, anzi nel caso sia il medico della clinica in cui è ricoverata la persona in stato vegetativo è parte interessata al mantenimento in vita perché questa situazione produce reddito e contribuisce ai suoi emolumenti; a giudicare deve essere per forza un magistrato, perché solo lui può garantire l'indipendenza.

Ci si aspetterebbe, stando alle legittime richieste di Benedetto XVI, che la CEI optasse per il rispetto delle volontà liberamente espresse dalle persone e invece no, al contrario, come sappiamo, sostiene che si deve tenere in vita e basta; così le belle parole della predica vengono subito smentite dal razzolare male delle tonache. Sarà forse che le strutture che forniscono l'assistenza alle persone in stato vegetativo sono essenzialmente in mano alle organizzazioni cattoliche, ma se è così allora la CEI parla non per il bene comune, ma per il bene delle sue casse e mostra che rappresenta non l'insegnamento di Cristo, ma i mercanti del Tempio.



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